mercoledì 2 aprile 2014

COSMOSTARS

FRANCO SPICCIARIELLO, “GS” SETTEMBRE 2013:
In questo agosto è tornato a giocare la squadra di calcio più famosa degli Stati Uniti. Quella che negli anni Settanta fu di Pelé e Chinaglia, di Beckenbauer e di Carlos Alberto. Chiaro: nulla a che vedere con allora, quando le grandi stelle provavano a lanciare il Soccer negli USA e di notte ballavano allo Studio 54 con Mick Jagger, Andy Warhol e Kissinger.

Il 16 giugno 1985, mentre i giovani yuppies americani ballavano con la musica degli Wham e di Madonna, nel cielo sopra il Giants Stadium di East Rutherford, terra del New Jersey, diluviava a catinelle. Davanti ad appena 8.677 spettatori si chiudeva l’incredibile epopea dei Cosmos, al termine di un match perso 2-1 contro la Lazio di Bruno Giordano e di Lionello Manfredonia. Era un’amichevole, anche se per modo di dire visti i cinque ammoniti e i due espulsi per una rissa provocata dall’acredine del brasiliano Joao Batista (per l’occasione insieme a Vincenzino D’Amico in maglia Cosmos) nei confronti degli ex compagni di squadra. Una triste fine nel bel mezzo degli edonistici anni Ottanta, l’epilogo di una squadra che aveva segnato anche il costume della New York di fine anni Settanta, quelli della febbre dal sabato sera.
Tutto aveva avuto inizio nell’anno di Italia-Germania 4-3, del colpo di stato di Gheddafi e dell’ultimo album in coppia di Simon & Garfunkel: “Bridge Over Troubled Water”. Nel dicembre 1970, quando la Warner Communications era divenuta l’orgogliosa proprietaria di una nuova squadra: i New York Cosmos. All’inizio l’organizzazione rifletteva quella della NASL (North American Soccer League) degli esordi: preso in affitto e adattato per il calcio lo stadio dei New York Yankees, team di baseball, fu costruita una squadra con calciatori raccolti tra le leghe locali, insieme a qualche giramondo. Le stelle del gruppo che arrivarono a vincere il Soccer Bowl 1972 contro i St. Louis Stars, di fronte a soli 6.102 spettatori, erano Jozef Jelinek, vicecampione del Mondo con la Cecoslovacchia nel 1962, e il centravanti delle Bermuda dalla pettinatura afro Randy Horton, che trent’anni dopo diventerà Ministro del Lavoro del suo Paese. Fa capolino in campo anche un brasiliano di trentasette anni un po’ appesantito (ma lo era anche da giovane), ancora presente nei ricordi dei tifosi di Modena, Catania, Lanerossi Vicenza e, principalmente, Juventus, con la quale vinse prima la Coppa Italia poi lo scudetto. Il suo nome? Sidney Cunha, detto Cinesinho.
Ma né la squadra né la NASL riuscirono a decollare e il management dei Cosmos decise di dare una svolta. Del resto, una società come la Warner Communications non poteva certo permettersi un’immagine perdente. Ecco quindi l’idea di mettere sotto contratto un calciatore straniero dal gran nome. Il General Manager Clive Toye era determinato a portare una stella internazionale a giocare per i New York Cosmos a partire dalla stagione 1975. E che stella!
Mentre Bill Gates e Paul Allen usavano per la prima volte il nome Microsoft per la loro nascente azienda, le folle di giovani americani inondavano i tour di Led Zeppelin, Bob Dylan, Doobie Brothers e Who, in Italia Mina cantava che “L’importante è finire”, nella Grande Mela sbarcò nientemeno che il leggendario Pelé, tre volte Campione del Mondo, il quale decise di ritornare al calcio giocato proprio con la maglia dei New York Cosmos.
Nel gennaio precedente, Toye aveva annunciato anche l’acquisto del Pallone d’Oro 1968, George Best, la stella del Manchester United. Racconterà Best nella sua autobiografia: «Andare in America avrebbe voluto dire ricominciare da capo, trovarmi in un posto dove potevo andarmene in giro senza che nessuno mi riconoscesse. Ma volevano che prestassi la mia immagine a molte campagne pubblicitarie che mi trasferissi a New York in pianta stabile. La cosa non mi andava».
E, infatti, George Best non indosserà mai la maglia dei Cosmos. Ma Toye non era tipo da arrendersi. E, dopo una lunga corte, il 10 giugno 1975 i Cosmos presentarono ai media americani il più grande della storia del calcio: Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé, convinto dai soldi della Warner (avrebbe guadagnato più in tre anni che nell’intera carriera), a lui necessari a causa di alcuni guai finanziari in cui era finito in Brasile.
Nonostante il lungo stop dalla sua ultima partita ufficiale col Santos, Pelé scese in campo con la maglia dei Cosmos cinque giorni dopo contro i Dallas Tornado nel decrepito Downing Stadium di Randall’s Island, un residuo della grande depressione degli anni Venti, dove per non far vedere i buchi del campo in TV, i giardinieri arrivarono a spruzzare vernice. «Pelé sembrava avere un fungo sulla gamba», ha scritto Toye nel suo libro “A Kick in the Grass”, «pensava di essersi ammalato, ma era solo vernice».
L’impatto di Pelé fu enorme, anche se più fuori che dentro il campo, dove venne circondato da giocatori spesso incapaci di comprenderlo. O’ Rei si trasformò in una sorta di missionario del calcio negli Stati Uniti, dando credibilità a uno sport sino ad allora negletto rispetto a baseball, basket e football americano. Portò grande interesse anche attorno alla stessa NASL, che si trasformò grazie a lui in un centro di attrazione per giocatori di tutto il mondo in cerca di dollari. E Pelé fu solo l’inizio, anche perché i Cosmos dovevano vincere.
E così l’anno successivo arrivò Giorgio Chinaglia, in cerca di pace dopo gli anni di “pistole e palloni” nella Lazio di Tommaso Maestrelli. Capello lungo, basettoni, pantaloni a zampa d’elefante sempre alla moda, Chinaglia a ventinove anni era al top della carriera e aveva chiaro in mente chi fosse la stella della squadra: lui. Anzi Chinaglia, come avrebbe detto Giorgione amando assai parlare in terza persona. I due si scontrarono spesso, e Long John non si faceva problemi ad affermare che forse sarebbe stato meglio se Pelé si fosse spostato all’ala per lasciargli spazio. Long John poteva farlo perché era diventato presto amico personale di Steve Ross, presidente della Warner e dei Cosmos, con accesso libero al suo ufficio e al suo whisky. Sarà Chinaglia a decidere il destino di allenatori e compagni grazie alla confidenza che lo legava a Ross.
Ma non è finita qui, ovviamente. Nel 1977 atterrarono nella brulicante New York il capitano del Brasile 1970, Carlos Alberto, e subito dopo il grande Franz Beckenbauer, fresco di Pallone d’Oro, per completare una squadra che non poteva che vincere.
E, infatti, il Soccer Bowl 1977 fu vinto dai Cosmos, nel giorno dell’ultima partita ufficiale di Pelé, seguita poco dopo dal suo match di addio contro il Santos, trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo e presentato da Muhammad Alì. Intanto i Cosmos, per soddisfare le richieste del pubblico sempre più numeroso, si erano trasferiti oltre il fiume Hudson, nell’enorme Giants Stadium appena costruito in New Jersey, ma erano al contempo sempre più presenti nella vita di New York. Dell’estate 1977, sotto l’Empire State Building, si ricorda soprattutto il blackout elettrico che colpì una città al culmine di una lunga fase di decadenza, prossima alla bancarotta, duramente colpita dalla delinquenza di strada e preda delle gesta del serial killer “Son of Sam”. Ma i Cosmos vivevano in un altro mondo, il cui centro restava la mitica discoteca Studio 54 di Steve Rubell e Ian Schrager, inaugurata nel 1977, dove ogni sera si teneva “la festa più grande del mondo”.
E i protagonisti della festa del lunedì erano loro, i campioni dei Cosmos, per cui lo Studio 54 diventava una sorta di spogliatoio frequentato dalla stessa gente che vedevano anche allo stadio. Solo che non erano calciatori ma personaggi quali Mick Jagger, Elton John, John Travolta, Barbra Streisand, Robert Redford, Rod Stewart (noto tifoso del Celtic e quell’anno in testa alle classifiche con la splendida “Tonight’s the night”) e persino l’ex segretario di Stato di Nixon e Ford, Henry Kissinger, grande appassionato di calcio e amico dell’avvocato Agnelli. Il tutto sotto l’immagine, che fece storia, di Bianca Jagger nuda in groppa a un cavallo bianco. Ma per tutti il vero spettacolo erano i Cosmos e in particolare Pelé, immortalato persino da Andy Warhol in un famoso ritratto, e chiamato a interpretare il campione di una squadra di ex calciatori alleati rinchiusi in un campo di prigionia nel film di John Houston, “Fuga per la vittoria”, insieme al capitano Werner Roth e a Bobby Moore, Kazimierz Deyna, Paul Van Himst e Osvaldo Ardiles, con Sylvester Stallone nel ruolo di portiere. Ma l’età dell’oro dello Studio 54 durerà appena tre anni, come i Cosmos.
Ritiratosi Pelé, i Cosmos continuarono a ballare le hit dei Bee Gees sull’onda dell’entusiasmo delle vittorie e dei campioni: si videro per un paio di partite il “Profeta del Gol” Johan Cruijff e Rivelino, e arrivarono giocatori di ottimo livello come Johann Neeskens, il regista della Stella Rossa Vladislav Bogicevic, il capitano della Lazio dello scudetto 1974, Pino Wilson, e il terzino brasiliano Francisco Marinho, mentre in panchina arrivò a sedersi il tedesco Hennes Weisweiler, ex di Borussia Mönchengladbach e Barcellona. Addirittura venne sfiorato l’ingaggio di Diego Armando Maradona.
Ma con “gli anni del riflusso” (e dopo tre Soccer Bowl in quattro edizioni) iniziò anche il declino dei Cosmos. Declino acuito dalla crisi della Warner, indebolita da un tentativo di scalata da parte di un già aggressivo Rupert Murdoch. Inevitabile la scelta della corporation di cedere le attività non strategiche, a cominciare da una società di calcio che perdeva milioni, lasciata gratuitamente nel 1983 a Giorgio Chinaglia, che proprio quell’anno abbandonava il pallone, chiudendo con 242 gol in 254 partite con i Cosmos (tuttora top scorer negli USA). L’italiano diventò nel frattempo proprietario della “sua” Lazio appena tornata in Serie A. Un compito troppo grande per Giorgione, che in poco tempo vide fallire i Cosmos e con essi l’intera NASL ormai ridotta a sole nove squadre, e incapace di sopravvivere. Pelé, a ricordo del trattamento riservatogli da Chinaglia, infierì: «Che la situazione sia irrecuperabile lo dimostra il signor Giorgio Chinaglia, che non a caso è anche presidente della Lazio, che occupa gli ultimi posti del campionato italiano».
La lapide sul calcio a stelle e strisce venne, infatti, messa dalla decisione della FIFA (che non aveva mai accettato alcune iniziative della NASL come il fuorigioco limitato o la decisione di non partecipare ai tornei continentali) di consegnare al Messico, invece che agli Stati Uniti, l’organizzazione dei Mondiali 1986.
Da allora l’identità dei Cosmos è stata preservata da un uomo solo. IL suo nome è Peppe Pinton, un calabrese all’epoca assistente personale di Chinaglia, che decise di conservare in un magazzino maglie, divise, palloni e trofei. Finché nel 2010 non ha accettato le offerte per il marchio dell’imprenditore inglese Paul Kemsley, deciso a provare a rilanciare i Cosmos. E la prima mossa di Kemsley è stata quella di svuotare i magazzini di Pinton, una sorta di viaggio nel tempo: «Era come la grotta di Aladino. Scatola dopo scatola. Peppe aveva tenuto tutto, incluse le giacche delle divise dei giocatori, in cui abbiamo trovato numeri di telefono di ragazze. Ne ho persino chiamata una», ha raccontato al “New York Times” nel 2011, mente i trofei oggi sono esposti nel nuovo quartier generale dei Cosmos, posto in un vecchio palazzetto di Lower Manhattan.
Kemsley ha però durato poco, e oggi il club è nelle mani della società saudita Sela Sport e guidata dal manager Seamus O’Brien, con Pelé presidente onorario e Carlos Alberto nel molo di ambasciatore. I piani sono ambiziosi: come sponsor è arrivata Fly Emirates, che ha impresso il marchio sulla maglia Nike, ed è già stato presentato il progetto per uno stadio da 25.000 posti a Long Island (400 milioni di dollari). Obiettivo: l’ingresso in MLS entro il 2020.
Il 3 agosto, ventotto anni dopo quell’ultima partita contro la Lazio, i Cosmos sono tornati in campo per la prima volta affrontando i Fort Lauderdale Strikers. Nel 1977, alla semifinale tra le due squadre, furono in 77.691 al Giants Stadium. Stavolta sono stati 12.000 a esaurire l’Hofstra University Stadium. Non è la stessa cosa. Anche perché sul campo, invece di Pelé e Beckenbauer, c’erano Marcos Senna (Campione d’Europa 2008 con la Spagna) e l’ex bresciano Szetela. Quando i Cosmos sono scesi in campo con le stesse maglie biancoverdi di trent’anni fa, invece di Rod Stewart e KC & the Sunshine Band, come colonna sonora, hanno trovato i Daft Punk e Robin Thicke. Un colpo al cuore.

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