giovedì 7 marzo 2024

Bruno LIMIDO


Arriva da Avellino, – scrive Gianni Giacone su “Hurrà Juventus” del novembre 1984 – come altri personaggi che han fatto la gloria recente della Juventus. Si potrebbe dire che la provenienza, questa provenienza, è di per sé un certificato di garanzia. Ma non sarebbe serio metterla su questo piano, con Bruno Limido, del quale qui parliamo. Perché Limido è ragazzo giovane ma già assai maturato e quindi ben cosciente del ruolo che gli spetta, e che potrebbe spettargli, in prospettiva, nella squadra bianconera.
La chiacchierata con Limido parte da orizzonti vasti, quasi praterie, e finisce poi nel particolare, magari secondario, ma comunque utile al lettore per capire il tipo, apprezzarlo, cominciare a misurarlo sulla lunghezza d’onda della squadra.
Limido è del ‘61, e dunque ha cominciato prestissimo, visto che si ritrova con alle spalle già un curriculum di tutto rispetto. «Ho iniziato nel Varese – dice Bruno – quando avevo 15 anni. La scuola era assai buona, lo è tutt’ora, e dunque sono stato avvantaggiato, tanto che a 17 anni già mi trovavo in prima squadra, con Fascetti allenatore. Poi, naturalmente, ho dovuto adattarmi alle più svariate incombenze, ma tutto sommato credo di essermela cavata bene, visto che ho messo insieme, tra serie B e serie C, una trentina di presenze, e tre gol, se ricordo bene».
Limido ricorda benissimo. È un ragazzo meticoloso, sa dove vuole arrivare, e conosce il prezzo, in termini di sacrificio, di questo obiettivo. Chiusa la parentesi, microfono nuovamente a Bruno. «Dopo Varese, Avellino una prima volta, poi nuovamente Varese, e infine Avellino in pianta stabile. Qui comincia la mia storia recente».
Nasce l’Avellino matricola spregiudicata, provinciale schietta e agguerritissima. La squadra che al «Partenio» sempre pieno di calore e di ribollente passione fa passare brutti quarti d’ora anche alle squadre più blasonate, sissignori anche alla Juve. Limido è parte non secondaria di quell’Avellino. «In due stagioni – prosegue Bruno – ho giocato 50 partite, quindi quasi tutte, e ho anche segnato cinque gol. Diciamo che è stata la mia consacrazione a livello di serie A, il salto di qualità. In una squadra, oltretutto, ricca di talenti giovani, e dunque con sensibili margini di miglioramento. Di lì son partiti prima Vignola e Tacconi, e poi il sottoscritto e Favero. E ti assicuro che nella squadra irpina, di giovani forti, ce ne sono altri ancora».
Ma il passato è passato. Oggi Limido è nella «rosa» del Trap, e deve farsi valere in un contesto tecnico di primissimo ordine. Sentiamo dunque innanzitutto la sua scheda tecnica. «Posso ricoprire diversi ruoli – dice – e credo di essere stato preso proprio per questo. Quello che preferisco fare è comunque marcare la mezz’ala avversaria, oppure il cursore. Meglio ancora se, per fare questo, vengo gravitato sulla fascia sinistra, visto che sono un mancino. Comunque, se mi dicono che devo giocare a destra, nessunissimo problema, ci mancherebbe altro».
E veniamo al particolare. Hobby; tempo libero, insomma di tutto un pò, al di fuori del pallone. Con Limido, la premessa è d’obbligo. «Sì, in effetti, essendo sposato, con un figlio di quattro anni, i miei hobby e in genere il mio tempo libero sono legati a filo doppio alla famiglia. Passo la maggior parte del mio tempo in casa, ascoltando musica e vedendo film».
Vogliamo qualche dettaglio; i tuoi gusti, musicali e cinematografici. «Nella norma, direi. Mi piacciono i cantautori italiani, un po’ tutti, mentre per i films ho un debole per i western classici, alla John Wayne».
Andata buca, o quasi, la divagazione fuori del pianeta calcio, rieccoci a parlare di campionato, di stranieri, di giovani italiani. Un gran minestrone di attualità, parole e musica di Bruno Limido. «Sono portato più ai fatti che alle parole, e dunque non do mai troppo peso ai discorsi teorici. C’è chi dice che gli stranieri portano via spazio e attenzione ai nostri giovani, cioè a noi, visto che mi sento parte in causa. Non sono affatto d’accordo: credo che gli stranieri, quando sono validi, siano utilissimi, anche e soprattutto come esempio per noi. Un giovane ha sempre tutto lo spazio per emergere, naturalmente se ha i mezzi per farlo, cioè le doti tecniche. Personalmente, mi sento più che stimolato da gente come Platini e Boniek, e credo che il discorso valga anche per i miei colleghi di altre squadre».
Finalino in stile-Juventus. Da Avellino a Torino, potrebbe anche essere dura. Cambia tutto. O no? «Sì – conclude Bruno senza farsi pregare –, in effetti cambia proprio tutto. L’ambiente è completamente diverso, le attese dei dirigenti e dei tifosi pure. Ma è un cambiamento che ho assimilato benissimo, senza traumi, e soprattutto subito, al primo impatto. Anche perché sono stato accolto davvero bene».
Insomma, un Limido che ha capito tutto e senza perdere tempo. Sarà altrettanto rapido a trovare posto, oltre che in panca, sul terreno di gioco? A giudicare dal debutto in Coppa Campioni, contro i finlandesi, la risposta dovrebbe essere affermativa.
Ma Bruno ci ha appena detto che preferisce i fatti alle parole, e dunque lasciamo al campo, e al Trap, di dare una risposta.

NICOLA CALZARETTA, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 1-7 LUGLIO 2003
«Il calcio è una brutta bestia. Ti dà tanto: fama, soldi, protagonismo. Poi tutto sparisce e inizia il difficile. Allora bisogna essere forti dentro, se no ti perdi».
Bruno Limido, oggi simpatico quarantaduenne, detta la ricetta per il “day after” del calciatore professionista. E lo fa a pieno titolo, viste le oltre 200 partite tra A, B, C1 e C2 al suo attivo. Migliaia di chilometri macinati, quasi sempre solcando la fascia sinistra, tra il ‘79 e il ‘93 con le maglie, tra le altre, di Varese, Avellino, Bologna e Juventus. «Finita la carriera, per qualche tempo sono rimasto nell’ambiente. Ho seguito i giovani del Varese e per un anno ho fatto l’osservatore per il Parma».
Si copre il volto con le mani: «Dopo aver visto tre volte Pippo Inzaghi, all’epoca all’Atalanta, ma di proprietà del Parma, scrissi che non era poi un granché, dato che finiva sempre in fuorigioco. Un’altra volta manifestai grossi dubbi sui gemelli Filippini... e lì terminò la mia carriera da osservatore. Se rimani nel calcio devi avere la possibilità di crescere. In troppi invece sono costretti ad accontentarsi di ruoli di secondo piano. Allora ho preferito seguire altre strade. Senza rimpianti, né dolori».
È un fiume in piena, Limido. «Se parlo troppo, dimmelo. Il mio mestiere è vendere e di parole ne devo usare parecchie».
Grassa risata e riparte. «Con il calcio di un certo livello ho chiuso nell’89 dopo l’ultimo anno in A con il Cesena: venticinque partite, un malleolo fratturato, un rientro in tutta fretta dopo solo quindici giorni dall’incidente, con tanto di gesso tolto con le mie mani perché “dovevo” giocare, per ottenere la riconferma. A quel punto, anche per motivi familiari, ho deciso di tornare a Varese».
La svolta di Bruno e datata 1995. «Un amico ebbe l’idea di creare una cooperativa di servizi, di quelle che offrono ai clienti manodopera per tutta una serie di attività, dalle pulizie alla logistica. Avevo altri progetti: mi sarebbe piaciuto aprire un agriturismo, magari con un laghetto per la pesca sportiva. Comunque dissi di sì. Mi affidarono i rapporti con i clienti e la gestione del personale».
Comincia per Limido la seconda carriera di... cursore. «In un anno arrivo a centomila chilometri. La cooperativa è cresciuta, oltre alla sede principale di Varese abbiamo uffici a Milano, Torino, Bassano del Grappa e Modena. I soci lavoratori sono milleduecento, impiegati soprattutto nei servizi di logistica e magazzinaggio. I nostri clienti più importanti appartengono al settore alimentare e a quello dell’abbigliamento».
Bruno è soddisfatto e non lo nasconde. «Dal ‘99 la cooperativa viaggia da sola sotto l’insegna del CIS, Consorzio Italiano Servizi. Il lavoro c’è, quella che manca, purtroppo, è la manodopera. Se potessi contare su un centinaio di braccia in più, sarei felice perché i clienti tendono ad aumentare: segno che faccio bene il pressing».
In Limido il carattere aperto, gioviale lascia intravedere una certa robustezza d’animo. «È quello che ti dicevo prima: ci vuole forza interiore. Solo così riesci a trovare l’equilibrio vincente. E lo sport ti forgia».
Il pensiero corre all’estate dell’80, quando il diciannovenne Limido da Varese finisce dritto dritto ad Avellino. «Non mi ero mai allontanato da casa, prima. Sibilia (storico padre-padrone dell’Avellino, ndr) era amico di Colantuoni, presidente del Varese e avellinese d’origine. Affare fatto per tutti, anche per me: dalla C1 andavo in A. Pensavo che Avellino, essendo al Sud, fosse una città piena di sole. Errore: trovai un freddo bestiale. Ma i tifosi ti facevano sentire tutto il loro calore. Solo a Lecce ho provato sensazioni simili. L’Avellino è rimasto nel mio cuore: ho esordito in A dal primo minuto alla terza di campionato. Ci ho giocato per tre stagioni conquistando tre salvezze e poi sono andato alla Juventus. Grandi soddisfazioni, ma anche profondo dolore per il dramma del terremoto del novembre ‘80».
Bruno lascia il Sud per la Vecchia Signora nell’84. Un trasferimento da raccontare. «Il 6 maggio giochiamo a Torino. Con un punto a testa la Juve vince lo scudetto e noi ci salviamo. È quello che succede, con festeggiamenti negli spogliatoi. A un certo punto mi trovo in mezzo a Boniperti da un lato e Sibilia dall’altro. In mano hanno il mio contratto, un triennale. Tu che avresti fatto? Non avresti firmato? E a quei due come glielo spiegavi? Il fatto è che non sarei dovuto rimanere a Torino. Il mio cartellino era stato inserito nella trattativa per Giordano. Ma saltò l’accordo, invece che alla Lazio rimasi alla Juventus, giocando poco. Col Trap parlavo in dialetto, tra lombardi ci si capisce. Ogni tanto gli chiedevo “Mister, mi mette titolare?”».
Alla fine furono soltanto quattro le gare in campionato e ben tre in Coppa Campioni, quella vinta all’Heysel. «Un incubo. A un certo punto ho visto un uomo con un bambino ferito in braccio. Veniva verso gli spogliatoi e voleva uscire dallo stadio. Ma c’era un cancello chiuso con catena e lucchetto. Non so come, ma è riuscito a spezzare la catena e a portare via di lì suo figlio. Eravamo scioccati e non è vero che festeggiammo negli spogliatoi».
A Limido toccò anche un compito ingrato. «Facevo parte della delegazione della Juve che andò all’aeroporto ad accogliere le salme dei tifosi morti a Bruxelles. E non aggiungo altro».
Giriamo pagina, la parentesi juventina regala anche una singolare gara di fine allenamento. «Qualche volta il Trap metteva un paletto tra palo e traversa, in modo da creare un triangolo all’altezza del sette. Bene, chi infilava il pallone in quel triangolo, andava a fare la doccia. Platini era il primo a uscire dal campo. Io, Caricola e Pioli gli ultimi».
In coda un curioso dettaglio. Diventato col tempo un ricordo prezioso: «Non sarò stato bravo come Platini o Maradona, ma sono l’unico calciatore che ha segnato direttamente dal corner sia di destro che di sinistro: il primo gol l’ho fatto in Udinese-Avellino, nell’84-85, l’altro in Fiorentina-Cesena, ‘88-89».
Chapeau, monsieur Limido!

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