Adrien Rabiot-Provost, due cognomi, una storia – racconta Riccardo Despali su gianlucadimarzio.com del 29 giugno 2019 – due genitori che hanno avuto un peso decisivo nella vita del proprio figlio e che il fato ha diviso. Il suo modo di giocare a calcio è la diretta conseguenza delle dure prove che la vita gli ha messo davanti. Da quando realizza che il padre fatica tremendamente a muoversi e a parlare, colpito da una malattia neurologica, il piccolo Adrien si sente perso. Ma la passione di papà Michel per il calcio lo contagia. E inizialmente tirare calci a un pallone è l’unica via di fuga dalla realtà. «Sto combattendo anche per lui», dichiara in una delle prime interviste.
Comincia ad allenarsi sui campi di periferia cercando di imitare le giocate del suo idolo Zinedine Zidane. Dopo aver girato per vari club viene notato dall’Academy del Manchester City, che lo invita a vestire la propria maglia. Il rapporto con Michel si fa sempre più forte nonostante la malattia. Gli sguardi ormai valgono più delle parole: «Quando ho detto a papà che stavo diventando un professionista ho capito dai suoi occhi che era orgoglioso».
Mamma Veronique lo segue ovunque. Sotto la sua supervisione Adrien è libero di giocare e di pensare il meno possibile alla sua situazione familiare, fino a quando entra nelle giovanili del PSG. Si comincia ad allenare a Camp de Loges, nord ovest di Parigi, a pochi chilometri da casa sua. Così Veronique può prendersi cura di lui e del marito allo stesso tempo. Presto però il rapporto madre-figlio diventa ossessivo e la presenza materna risulta ingombrante. Pretende di assistere a ogni allenamento e gestisce gli affari, che anno dopo anno crescono.
Dopo sei mesi in prestito al Tolosa nella stagione 2013-14 torna a Parigi dove si fa notare da Laurent Blanc, diventando titolare con venticinque presenze in Ligue-1 e sei in Champions League. Nello stesso anno aiuta Ibra a diventare capocannoniere del campionato. Anche se la convivenza con lo svedese non è sempre idilliaca. I due si scontrano spesso e nessuno vuole darla vinta all’altro: «Siamo venuti alle mani in allenamento, ma quel giorno Ibrahimovic mi aveva un po’ preso di mira. A lui piacciono i tipi di carattere, come me».
Forte dell’esplosione del figlio, nell’estate 2014 mamma Veronique rifiuta inizialmente il rinnovo di contratto proposto dal PSG intavolando una trattativa con la Roma per il suo trasferimento. All’allora DS Walter Sabatini espone la volontà di parlare direttamente con l’allenatore Rudi Garcia prima della firma. Sabatini non acconsente, si infuria e tutta l’operazione sfuma. Anche il Milan con l’allora DS Rocco Maiorino fa due blitz da Veronique per cercare l’intesa. Ma la trattativa salta perché Rabiot decide di rinnovare con il PSG.
Rabiot, il ragazzo tranquillo che si può innervosire rapidamente soprattutto se vede ingiustizie, come lui stesso si definisce, non ha alcun timore reverenziale e corre per la strada che porta al successo. Ma rimane lo stesso ragazzo di sempre, con gli amici di sempre e un legame indissolubile con la sua famiglia. Lui che se non avesse sfondato con il calcio, avrebbe fatto il panettiere. Giocatore di talento, ha imparato molto dai suoi compagni di reparto al PSG Verratti e Thiago Motta. È riuscito a ritagliarsi il suo spazio sgomitando tra le stelle che si sono avvicendate nel club di Nasser Ghanim Al-Khelaifi anno dopo anno.
Classe 1995, mancino puro e centrocampista box to box, il «duca» come lo chiamano i tifosi, può giocare come uno dei due centrali in un centrocampo a quattro. Anche se il ruolo dove esprime meglio le sue qualità è quello di mezzala in un centrocampo a cinque. L’ex-centrocampista blaugrana Xavi lo considera un calciatore completo: «Potrebbe giocare tranquillamente nel Barcellona, si adatterebbe senza problemi. Lui è capace di organizzare bene il gioco: sa difendere, dribblare e attaccare».
Nel 2018 la mamma-agente apre una trattativa con il club per il rinnovo del contratto di Adrien che scade il 30 giugno 2019. Ma non va a buon fine e si crea una frattura tra l’entourage, il giocatore e la società. Questa situazione porta a una fase in cui il numero venticinque viene lasciato in panchina o in tribuna, per finire fuori rosa. «Un professionista come lui non può stare senza allenarsi eppure gli negano l’accesso al campo d’allenamento. Presto sarà in prigione a pane e acqua», dichiara Veronique a «L’Equipe».
Il 2019 di Rabiot si apre con una notizia tremenda. Papà Michel non riesce più a resistere e dopo dodici anni di malattia muore, a distanza di sole due settimane dalla nonna materna. Rabiot chiude la stagione con solo quattordici presenze in Ligue-1 e due gol. La scomparsa del padre può aiutarlo a lasciare la città in cui è cresciuto. Un capitolo lungo otto anni sta per esaurirsi per lasciare spazio a una nuova avventura tutta da scrivere.
Il primo luglio 2019 viene ufficializzato il suo ingaggio a parametro zero da parte della Juventus, con la quale sottoscrive un contratto quadriennale. Dopo una prima parte di stagione difficoltosa, nella seconda il rendimento cresce, tanto che il 7 luglio 2020 realizza il suo primo gol, ovvero il provvisorio 1-0 nella sconfitta a San Siro contro il Milan, dopo un cavalcata solitaria e un tiro irresistibile. Adrien mette in evidenza, con questa rete, quello che caratterizzerà tutta la sua avventura bianconera, ovvero l’alternanza di prestazione imbarazzanti con exploit degni di un campione del quale lui avrebbe tutte le qualità: fisico, corsa, progressione, tiro, colpo di testa. «Ho avuto qualche difficoltà all’inizio, ma ora sono ottimista. Mi piace la concorrenza e mi sono battuto per guadagnarmi un posto tra i titolari e me lo sono tenuto stretto, pensando appunto che, giocando in un grande club, possono aprirsi anche le porte della Nazionale. Sono soddisfatto di come è andata, personalmente è andata bene nonostante qualche difficoltà iniziale. Lo dimostra anche il gol al Milan, che fai solo se stai bene fisicamente e moralmente. Il campionato italiano è superiore, più difficile per intensità e ritmo agli altri, anche negli allenamenti».
Campionato 2020-21: Andrea Pirlo è il nuovo allenatore juventino e Adrien ne è felice: «Ho avuto modo di lavorare solo una settimana con il nuovo allenatore, ma da quel che ho visto si capisce subito che è stato un grande giocatore. I principi di gioco che vuole mettere in pratica sono adatti alle mie caratteristiche e penso sia solo un vantaggio avere uno come Pirlo, per tutti noi e soprattutto per i centrocampisti. È davvero il massimo essere allenati da uno come lui. Anche se ho lavorato poco con il nuovo mister, sono cambiate molte cose. Si vede che ha giocato nella Juve, il suo staff è composto da molti ex-giocatori ed è più giovane rispetto a quello di Sarri, ma anche più vicino al club e a quel che rappresenta. Mi auguro davvero che funzioni, spero che Pirlo ci porti sul tetto d’Europa».
TIMOTHY ORMEZZANO, DAL “CORRIERE DELLA SERA” DEL 19 LUGLIO 2021
Se fosse un film? «Rabiot 2, la vendetta». La prima stagione non ha mantenuto le alte aspettative bianconere. Di più: ha deluso la platea. Ma la seconda annata, specialmente dalla primavera in poi, ha visto il centrocampista diventare un attore protagonista della Juventus di Pirlo. Due gol nelle ultime tre giornate fondamentali per la volata Champions. Decisivo nella delicata partita in casa del Sassuolo, quella della rinascita dopo il pesante KO contro il Milan. Il «Duca» ha chiuso con cinque gol all’attivo, uno in meno del top scorer della mediana McKennie. E con 3.254 minuti sulla scena bianconera: quarto juventino più utilizzato dopo Danilo, Cristiano Ronaldo e Szczesny.
Bene, bravo, bis agli Europei, dove Rabiot è stato uno dei giocatori più positivi della deludente Francia. Sempre in campo nelle quattro partite disputate dai suoi, nonostante una concorrenza molto folta e agguerrita. Sempre bravo a mantenere le consegne, anche quando il CT Deschamps lo ha testato come terzino sinistro (contro il Portogallo) e Rabiot ha fatto colpo su Allegri, che a sua volta aveva già fatto colpo su Adrien: «Ha vinto tantissimo con la Juve, due anni fa firmai anche perché sapevo che ci sarebbe stato lui in panchina». Poi invece trovò Sarri.
Il ventiseienne arrivato dal PSG a parametro zero ma con ricco ingaggio da sette milioni annui è atteso tra meno di una settimana alla Continassa, dove i primi nazionali a rientrare, a brevissimo, saranno Demiral e Szczesny. La Juve ha declinato le avances dell’Arsenal per Rabiot, che le ultimissime voci (ri)danno anche nel mirino del Manchester United nel quadro di un (complesso) scambio con Van de Beek. Il centrocampista francese non è incedibile, ma l’idea è comunque quella di trattenerlo e di rimandare la cessione con ricca plusvalenza. Anche nel caso (probabile) di arrivo di Locatelli, nella Juve di Allegri c’è spazio per lui. Specie se in versione Rambo-Rabiot. Ha il posto fisso sia in caso di una linea mediana a tre (4-3-3) che di una linea a due (4-2-3-1), per la gioia della vulcanica mamma-agente Veronique.
Terza stagione e terzo allenatore: questa volta tocca a Massimiliano Allegri. Nonostante la grande fiducia che il tecnico livornese ripone in lui («Ha nelle gambe almeno una decina di gol» dice Allegri), Rabiot non riesce a trovare mai la via della rete e la sua stagione è alquanto deludente.
Estate 2022, il Rabiot che non ti aspetti. O forse sì, considerato che ci sono da preparare i Mondiali del Qatar che si disputeranno in novembre. Adrien è tirato a lucido ed è il vero condottiero di una Juventus tartassata dalla giustizia sportiva. La squadra fatica, minata nelle fondamenta dal rimpasto societario, ma il francese sembra non accorgersi della situazione e regala prestazioni sempre più convincenti. Undici reti in quarantotto partite il suo bottino, davvero non male.
E siamo ai titoli di coda. Nonostante indossi la fascia di capitano in più di un’occasione e resti immutata la fiducia di Allegri, Rabiot ha poco da dare alla Juve. Svuotato da un Mondiale finito in modo deludente per la Francia, le prestazioni sufficienti si contano sulle dita di una mano. E a fine stagione – nonostante la vittoria della Coppa Italia – decide di non rinnovare il contratto col sodalizio bianconero.
GIUSEPPE DI TERLIZZI, DA ILCATENACCIO.COM DEL 23 AGOSTO 2024
Adrien Rabiot, il duca disarcionato. Con un epiteto del genere sarebbe perfetto per ampliare la celeberrima trilogia «I nostri antenati» vergata per mano di Italo Calvino, adeguandosi, «Le duc», ai protagonisti della medesima per i profondi dissidi interiori che ne scandiscono l’agire.
Così si potrebbe descrivere la situazione di Adrien Rabiot, classe 1995 svincolatosi dalla Juventus, che, verosimilmente, ipotizzava per il proprio futuro un groviglio di trattative di mercato che gli consentisse di giungere nuovamente in un top club, soddisfacendo anche, se non in primis, le esose richieste d’ingaggio.
Il quinquennio ai piedi della Mole si è concluso con l’immenso onore della fascia da capitano, riuscendo – in parte – a insidiarsi nel cuore dei tifosi di madama dopo un biennio iniziale tutt’altro che esaltante.
Decisiva, per la sua crescita, la guida tecnica – ed emotiva – di Massimiliano Allegri, che nel parigino identificava un giocatore ideale per prestanza fisica, notevoli capacità in interdizione ed una buona gamba per quelle ripartenze che, per una Juventus – eufemisticamente – poco creativa, rappresentavano la più nitida manifestazione di velleità offensive; crescono, difatti, sotto la gestione del tecnico livornese, le statistiche del parigino, giungendo, nella stagione 2023-24, alle otto marcature in campionato (undici in tutte le competizioni), confermando quanto di positivo aveva palesato vestendo la maglia del PSG e che sembrava ormai un vago, opaco ricordo.
L’incognita, da sempre legata al talento parigino, corrisponde all’elemento di correlazione con il protagonista de «Il visconte dimezzato», Medardo di Terralba. Similmente al visconte, fisicamente scisso in due metà antitetiche, quali il Gramo e il Buono, da una palla di cannone, Adrien manifesta, nel corso della carriera, da un lato scarsa caparbietà e assenza di carattere, dall’altro una volontà d’azione piuttosto turbolenta. È questa sua tendenza, riconducibile all’intemperie dell’agire di Menandro il Gramo, a far saltare, prima dell’approdo a Torino, la trattativa d’ingaggio col Barcellona, cui imponeva di ricoprire il ruolo di mezzala box-to-box per non ridimensionare le sue (illo tempore ridotte) doti offensive ed è la stessa a indurlo, ancor prima, a rifiutare la convocazione per il Mondiale 2018, in cui la compagine transalpina salirà, vent’anni dopo la prima volta, sul tetto del mondo.
Proseguendo l’itinerario attraverso la trilogia calviniana, approdiamo all’elemento di analogia tra il francese e il protagonista de «Il cavaliere inesistente», tale Agilulfo, con il quale condivide l’inquietudine legata all’assenza di certezze, specificamente identitarie. Questa correlazione coadiuva l’analogia con Cosimo Piovasco de Rondò e permette di interpretare alcuni ombre della carriera del francese. Cosimo è il protagonista de «Il barone rampante», il cui agire si connota per un distacco, anzitutto fisico, risiedendo su un albero, dalle vicende umane, e per una non indifferente eccentricità.
Il francese, complice la partenza del tecnico livornese, ha deciso di recidere il proprio legame con la squadra bianconera, nella cui identità sembra si sia gradualmente calato nel corso di questo quinquennio, vanificando i tentativi della società di premiarne l’impegno e i risultati, seppur rivedibili, conseguiti nelle ultime stagioni sportive; queste dinamiche ricalcano quanto verificatosi nella precedente avventura parigina, palesando come il francese non abbia valutato, e quantificato, l’apporto, per il proprio rendimento, di un ambiente stimolante come quello bianconero (e parigino prima). La ferrea scelta del francese, o dell’ingombrante figura della mamma-agente Veronique, tuttavia, lo ha portato a essere ancora svincolato a circa dieci giorni dalla fine del calciomercato, mentre la società bianconera ha egregiamente sostituito il centrocampista con il connazionale Thuram, di cui si sono già apprezzati dinamismo e caparbietà nella prima, vincente, uscita stagionale della fluida Juventus di Thiago Motta.
Ciò che resta è il dubbio di come sarebbe potuto migliorare nello scenario tattico disegnato dal tecnico bianconero che, con un calcio fluido e di posizioni variabili, avrebbe decisamente favorito un incursore come Rabiot, ma verosimilmente resterà, al pari di Cosimo, rintanato saldamente su un ramo, attendendo un «progetto» soddisfacente, salvo dover poi fare i conti con se stesso.
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