Il giovane centrocampista della Juventus uruguaiano – scrive Tommaso Giagni sul sito ultimouomo.com l’8 marzo 2019 – sembra destinato a grandi cose. Se il talento è luminoso, nella scintillante Juventus di questa stagione c’è un autentico “oggetto stellare giovane”, come l’astronomia definisce le stelle in via di formazione. A ventuno anni è il più giovane titolare del suo club e della nazionale uruguayana. Arrivato in Italia nell’operazione che ha riportato Tevez al Boca, Rodrigo Bentancur si sta dimostrando un centrocampista sempre più prezioso, un profilo di assoluta modernità per completezza tecnica e fisica. Un ragazzo maturo, che già prima di raggiungere l’Europa aveva capito quanto fosse meglio tenere la testa all’asciutto dalla critiche, non badare ai rumori di fondo («Criticano Messi, come potrebbero non criticare me?»).
30 giugno 2018, stadio Olimpico Fist di Soci, Russia, ottavi di finale della Coppa del Mondo. Bentancur ha appena compiuto ventuno anni, viene da una stagione di ambientamento nella Juventus, ha giocato alcune partite in Champions League ed è stato in campo la notte della rovesciata di Cristiano Ronaldo a Torino. Adesso l’Uruguay ha appena battuto il Portogallo, lui ha servito l’assist del gol decisivo. Nella pancia dello stadio, al controllo antidoping, c’è anche Cristiano, che lo saluta e lo chiama «Rodrigo». Bentancur non si capacita del fatto che conosca il suo nome. «Non so come facesse a saperlo» insisterà a distanza di tempo, quando già saranno diventati compagni.
Viene alla luce a Nueva Helvecia, una cittadina di neanche quindicimila abitanti, fondata da emigranti europei in Uruguay che la chiamarono appunto “Nuova Svizzera” e le diedero una vocazione a un’economia di latte e prodotti caseari. La famiglia di Bentancur non compra il latte al supermercato, va a prenderlo nella stalla. Svizzera è anche l’origine del nome del Club Lucerna, il club dove lui da bambino iniziò a giocare.
Viene alla luce da un uomo di calcio, Roberto, e da una madre, Mary, che morirà quando Rodrigo ha quattro anni. La figura materna e il calcio sono i gas e le polveri che generano la stella. Le torte dei suoi compleanni erano a forma di pallone. Il ricordo di Mary lo accompagna nella vita, con l’angelo tatuato sul braccio, e in campo, con il numero trenta sulla maglia a indicare il giorno in cui la madre nacque.
Una volta, durante una partita in trasferta col Club Lucerna, entra nello spogliatoio e si accorge di aver dimenticato gli scarpini. Gli succede spesso. È un ragazzino «distratto» e più alto dei coetanei, nel ricordo del suo allenatore di allora. Talmente alto che i genitori degli avversari mettono in dubbio la sua età dichiarata.
Un’altra volta, più avanti, Bentancur gli scarpini ce li ha e deve metterseli in fretta. È uscito da scuola e sulla strada del ritorno si è fermato al campo del Club Artesano per salutare il padre. Roberto Bentancur è un ex giocatore e ora dirigente della squadra, e quel giorno ha un ospite, “El Profe” Horacio Anselmi, un preparatore vicino al Boca Juniors, invitato lì per un corso di formazione per allenatori. Dal momento che Anselmi intende dare anche una dimostrazione pratica, Rodrigo viene tirato dentro. Va a cambiarsi, si presta agli esercizi coi birilli e al termine della dimostrazione “El Profe” dice: «Questo è un diamante grezzo». E invita il ragazzo a fare un provino con gli “Xeneizes”. Un provino che andrà bene.
A dodici anni Rodrigo, che gli intimi chiamano “El Lolo”, attraversa l’ultimo tratto del Rio de la Plata ed entra nelle giovanili del Boca.
Nel 2013 è entrata in servizio una linea che collega Buenos Aires a Montevideo. Una nave che si chiama “Francisco Papa” e impiega poco più di due ore di viaggio. Prima di allora, anche quando Bentancur fu ammesso nel vivaio del Boca, bisognava impiegare più tempo per coprire gli ottanta chilometri che separano le capitali.
La compagna del padre, Cecilia, è argentina e aveva la famiglia in città. Questo ammorbidì in qualche modo il passaggio dalla campagna uruguayana a una metropoli come Buenos Aires. Rodrigo andò a vivere da un’altra, affettuosa figura di madre («Lo sento come un figlio mio», dirà lei), a Liniers, il barrio del Velez Sarsfield.
Una manciata di anni dopo, nell’aprile 2015, lui è ancora un ragazzino ma già debutta con la squadra maggiore in una gara ufficiale. Una partita del girone di Libertadores, proprio a Montevideo, nel mitico Estadio Centenario che nel 1930 ospitò la prima finale di una Coppa del Mondo, con il trionfo dell’Uruguay padrone di casa.
Quei venti minuti in campo si riveleranno solo un inizio. Bentancur a diciott’anni diventa titolare di uno dei maggiori club del Sudamerica, insostituibile tanto col tecnico Arruabarrena quanto col successore Schelotto. Due anni di crescita e conferme.
Poi non si tratterà più di attraversare il Rio de la Plata, ma l’Oceano.
L’Uruguay è una terra che si perde nella dimensione dell’infanzia. Bentancur ormai ha vissuto nel suo Paese quasi meno tempo di quanto ne abbia trascorso fuori. Ma c’è un filo che mantiene il ragazzo unito alle sue origini: la Nazionale di calcio.
Con la selezione Under 20, accanto ad Ardaiz e Fede Valverde, nel 2017 si è laureato campione del Sudamericano di categoria, superando l’Argentina di Lautaro Martinez e il Brasile di Richardson. Subito dopo è tornato a Nueva Helvecia e ha sfilato per le sue strade con una camiseta della Celeste addosso, sopra a un vecchio truck scoperto, accolto come un figlio illustre della cittadina.
Tutto avviene in fretta, a quel punto.
In estate è leader dell’Under 20 che arriva quarta ai Mondiali (il bronzo perso ai rigori con l’Italia di Favilli e Orsolini). Nell’autunno di quello stesso anno viene chiamato in nazionale maggiore. Rodrigo ha vent’anni e si impone subito come titolare. Tolto il debutto assoluto, da quando è entrato nel giro ha sempre trovato posto dal primo minuto, incluse le gare del Mondiale («Non avrei mai pensato di riuscire a giocarne uno così giovane»).
All’inizio di ottobre, a Udine, è arrivato anche il primo gol in Italia. Rodrigo Bentancur l’ha dedicato a sua madre, guardando in alto.
In una lettera del 1883, Emily Dickinson ha scritto: «Non quello che le stelle hanno fatto, ma quello che faranno, è ciò che fa durare il cielo».
Le prime due stagioni del giovane uruguagio sono ad alto livello: «Questa società è incredibile, quando arrivai mi dissero che avrei trovato una famiglia e me lo hanno dimostrato in questi anni. La Juventus è una delle tre migliori squadre d'Europa e per me è un onore restare ancora cinque anni qui. Dove voglio arrivare? Voglio vincere tutto il possibile con questa maglia e poi, come ogni giocatore, sogno di conquistare un Mondiale con la mia nazionale: lavorerò duramente per realizzarlo. Mi piace giocare a centrocampo, il ruolo non è importante. Mi adatto rapidamente a giocare in ogni posizione anche in nazionale, non ho problemi: in questo calcio bisogna cercare di giocare in tutte le posizioni che servono al mister. Il mio primo gol con la Juve a Udine? Ricordo il cross di Cancelo, c'era Cristiano Ronaldo dietro di me ma sono arrivato prima io. Fu un giorno molto speciale per me, il primo gol con questo club meraviglioso. Poi ho segnato anche a Firenze: lo scambio con Dybala, Ronaldo mi ha portato via il difensore e ho incrociato il tiro. Nella prossima stagione spero di segnare tanti altri gol».
Poi, comincia un lento declino, dovuto anche a parecchi equivoci tattici. Fatica la Juve di Sarri e ancora di più quella di Pirlo. Inevitabilmente, anche Rodrigo non riesce più a trovare la brillantezza dei primi tempi in bianconero. L’impressione generale è che non abbia fatto il salto da “giovane promessa” a “giocatore vero”.
FEDERICO AQUÈ, DA ULTIMOUOMO.COM DEL 13 MAGGIO 2021
Cosa è successo a Rodrigo Bentancur? Il centrocampista della Juventus sta vivendo una stagione difficile. Ha commesso diversi errori e la conclusione sembra scontata: Bentancur non può giocare da solo davanti alla difesa. È il pensiero ad esempio di Massimiliano Allegri, che lo ha allenato per due anni. «Non può giocare davanti alla difesa, al massimo una partita», aveva detto Allegri al tavolo di Sky Calcio Club. «Rodrigo ha giocato tante volte con me davanti alla difesa, ma poi ne giocava dieci da mezzala. Davanti alla difesa ha un tempo di gioco uno-tre, nonostante sia un giocatore importante».
Magari ha ragione Allegri, e in effetti Bentancur in questi mesi ha mostrato di non essere ancora abbastanza rapido di pensiero, pulito a livello tecnico, efficace negli smarcamenti per imporsi in una posizione così delicata, che richiede uno stile sobrio, poco appariscente, ma che è di vitale importanza per una squadra che ambisce a controllare le partite tenendo il pallone per la maggior parte del tempo. Bentancur non sembra cioè il tipo di centrocampista che fa sempre il passaggio giusto al momento giusto a inizio azione, una qualità rara e facile da trascurare, di cui sono specialisti giocatori spesso incompresi come Busquets, Jorginho o Thiago Motta.
Di certo Bentancur non è un centrocampista di quel tipo ma non è nemmeno il giocatore insicuro e impreciso visto negli ultimi mesi. Delle sue qualità con la palla aveva parlato con entusiasmo proprio Allegri quasi quattro anni fa, dopo le prime partite di Bentancur con la Juventus: «Ha grande personalità e gestione della palla. (…) Lo aveva dimostrato a Barcellona, aveva fatto una partita importante fino a che ha retto, aveva contro Iniesta e ci sono quindici anni e mille partite di differenza a grandissimi livelli. Però aveva fatto una partita con una tranquillità, con una serenità, con una gestione della palla straordinarie».
In quattro stagioni Bentancur ha avuto tre allenatori diversi, ognuno con la propria idea sulle sue caratteristiche e sulla posizione in cui poteva esprimerle meglio. In questi anni ne ha cambiate molte e ha giocato in pratica in ogni ruolo, nel centrocampo a due o a tre, da mezzala, da mediano e anche da trequartista con Sarri. Un ruolo che però lui non sentiva nelle sue corde: «Quando gioco sulla trequarti cambia tanto perché avere il campo alle spalle è difficile, so che devo lavorare per migliorare. È una bella posizione perché sei più vicino alla porta e agli attaccanti, mi piace quel passaggio forte tra le linee, fare i cambi di gioco lunghi. In quel ruolo mi piaceva moltissimo Riquelme, non ce n’è un altro come lui. Anche Recoba era uno che guardavo quando ero più piccolo. Ora è difficile trovare un trequartista con quel carattere».
Una cosa però ha messo d’accordo ogni allenatore passato dalla Juventus negli ultimi quattro anni: Bentancur avrebbe dovuto segnare di più, essere più presente nell’area avversaria. Ne ha parlato lui stesso più o meno un anno e mezzo fa, quando era allenato da Sarri e aveva fatto il confronto tra le richieste di quest’ultimo e quelle di Allegri: «L’altro giorno ho parlato col mister (Sarri, nda) e mi dice le stesse cose di Allegri. Ha detto: “tu puoi diventare uno dei centrocampisti più forti al mondo, ma per fare la mezzala ti manca il gol”. Mentalmente penso che sia meglio fare il passaggio al compagno messo in posizione ottimale piuttosto che calciare in porta, devo essere più egoista».
Tre mesi fa anche Pirlo ha ripreso il discorso e gli ha chiesto di tirare di più in porta: «Stiamo cercando di lavorare su questo, visto che spesso i centrocampisti possono trovarsi in quella zona e concludere con un tiro. Siamo contenti di quello che sta facendo però».
È un tasto molto battuto, evidentemente, visto che lo stesso Bentancur lo ha indicato a gennaio di un anno fa come uno degli aspetti da migliorare: «Ho iniziato a lavorare un po’ di più su questi inserimenti che non sono ancora nelle mie corde ma nel primo tempo con la Roma credo di averli fatti bene, è arrivato anche il gol e sono contento. Il mio modello deve essere Sami Khedira, credo sia il migliore in questa situazione di gioco, è sempre lì con sette-otto gol a stagione e il mister (Sarri, nda) dice di guardare lui».
Prima Sarri e poi Pirlo, però, non hanno continuato a sviluppare il senso di Bentancur per gli inserimenti, avanzando il suo raggio d’azione per farlo arrivare di più in area. Al contrario sia Sarri che Pirlo lo hanno spostato a giocare davanti alla difesa, a occuparsi quindi della prima costruzione. C’entrano anche le scelte di mercato della società, e in particolare la cessione di Pjanic al Barcellona nello scambio con Arthur. Già prima dell’accordo con i catalani Sarri aveva arretrato Bentancur davanti alla difesa al posto di Pjanic. Era capitato ad esempio in campionato nella gara di ritorno contro l’Inter, una partita in cui Bentancur, aiutato anche dalle tante linee di passaggio create dai compagni, era stato preciso con la palla e determinante in fase difensiva nel tagliare le connessioni dell’Inter tra la zona di costruzione e le punte.
Quando poi, alla ripresa del campionato, è arrivata l’ufficialità dello scambio tra Pjanic e Arthur, lo spostamento di Bentancur davanti alla difesa è diventato ancora più urgente per Sarri. A quel punto trovare un’alternativa a Pjanic era necessario, soprattutto in vista della stagione successiva, e la mossa più sensata era appunto l’arretramento di Bentancur, visto che in prospettiva nemmeno Arthur sembrava poter giocare da mediano.
Bentancur ha poi continuato a giocare davanti alla difesa anche con Pirlo, dopo l’esonero di Sarri, all’inizio in coppia con un altro centrocampista e poi sempre più come unico riferimento davanti ai difensori. È una delle mosse fatte da Pirlo nel corso della stagione, dopo aver cambiato idea sulle caratteristiche dei suoi centrocampisti. A inizio stagione infatti l’allenatore bianconero era stato categorico: «Abbiamo giocatori adatti per giocare a due. Non abbiamo registi e non abbiamo mezzali, sono tutti adatti a giocare a due. Arthur e Bentancur non sono né registi né mezzali, come del resto Rabiot. Forse solo McKennie è una mezzala, ma nel complesso sono giocatori più adatti a giocare a due».
Col passare del tempo Pirlo è diventato più flessibile e la squadra ha preso una forma diversa: da una costruzione con tre difensori e due mediani, con un esterno di centrocampo che si spostava tra le linee lasciando l’ampiezza a un terzino, a una costruzione con un solo uomo davanti alla difesa in un centrocampo a tre, e quindi con un giocatore in più sulla trequarti. «Non avevo avuto modo di provare i giocatori nelle amichevoli», aveva spiegato Pirlo a fine dicembre. «In allenamento ho capito che le posizioni di alcuni potevano cambiare. Abbiamo cambiato la nostra disposizione e da due siamo passati a tre».
Col tempo però la stagione ha preso una brutta piega e i meccanismi, già fragili, si sono definitivamente inceppati. Sono state abbandonate le scalate che permettevano alla squadra di alternare sistemi diversi a seconda delle fasi, i reparti sono rimasti scollegati, la zona di rifinitura si è svuotata e far risalire la palla è diventata un’impresa.
Man mano che la squadra cambiava forma, che il gioco si faceva più confuso, Bentancur ha perso riferimenti e non è più riuscito a stare al passo con i diversi compiti che gli venivano chiesti. Pulire l’uscita dalla difesa, ma anche fare da collegamento con la zona di rifinitura, inserirsi senza palla, senza trascurare ovviamente l’equilibrio da garantire nelle transizioni a palla persa e la protezione del centro nelle fasi di difesa posizionale.
Bentancur non ha però mai fatto vedere di poter essere ciò che Pirlo era da giocatore, un riferimento che decide da solo ritmo e direzione della manovra, e non ha più potuto fare ciò che gli riesce meglio, rinforzare il possesso, aggiungere un passaggio in più nello sviluppo dell’azione, usare il suo dinamismo per dare soluzioni comode a chi ha la palla in diverse zone del campo, anche intervenendo più volte nella stessa azione. Il meglio di sé, nella seconda stagione con Allegri e in parte con Sarri, Bentancur lo ha dato quando non si è occupato del primo passaggio e poteva muoversi a diverse altezze per far continuare la circolazione, senza mai mostrare una visione illuminata, ma restando preciso e gestendo bene la pressione anche in situazioni difficili.
È il ruolo che l’uruguaiano sente più suo: «Mi trovo meglio come mezzala destra e lo sto dimostrando», aveva detto quando ancora giocava di fianco a Pjanic, nei primi mesi con Sarri. In una delle migliori partite dello scorso anno, quella vinta a San Siro contro l’Inter, Bentancur era entrato nella ripresa e si era fatto notare in occasione del gol decisivo, segnato da Higuain dopo una lunga azione di ventiquattro passaggi che aveva coinvolto tutta la squadra. Bentancur aveva dato l’ultimo, l’assist decisivo per Higuain, ma prima era intervenuto con un passaggio facile all’indietro per Cuadrado a centrocampo, poi si era abbassato di nuovo per far continuare la circolazione ricevendo dal terzino colombiano e subito dopo si era alzato dietro il centrocampo dell’Inter, per chiudere il triangolo con Pjanic e Ronaldo e giocare la palla rivolto verso la porta. A quel punto l’ultimo passaggio non era stato un filtrante visionario ma un tocco pulito di prima a destra per Higuain.
Nemmeno il ritorno di Allegri serve a rivitalizzare Rodrigo. Così, inevitabilmente, nel mercato di gennaio si arriva al divorzio. L’uruguagio emigra a Londra, sponda Tottenham, dove trova ad attenderlo Antonio Conte. «La Juve è stata la mia famiglia, il sentimento non muta né cambierà mai. Auguro loro trionfi in serie e ogni bene, ma la realtà era che, dopo essere rimasto alla Juve così a lungo, avevo bisogno di un cambio. Di aria, di campionato, di obiettivi, di tipo di calcio. Arrivare in Premier è stato un salto di qualità importante: se non avessi fatto le cose per bene, adesso non sarei qui».
Nessun commento:
Posta un commento