martedì 8 dicembre 2015

Francesco DELLA MONICA


Ci sono infiniti modi per parlare di giovani talenti – scrive Gianni Giacone su “Hurrà Juventus” dell’ottobre 1978 – ed è fin troppo facile cadere nel luogo comune della paura di sbilanciarsi troppo in complimenti, così il ragazzo si monta la testa e non se ne fa più nulla.
Un luogo comune, si badi, che ha mille e una ragione di esistere. La storia, recente e non, di questo nostro piccolo grande calcio italiota è zeppa di talenti giovani bruciati verdi anche da certa prosa ridondante di attributi pomposi nei loro riguardi.
Si sono costruiti miti di cartapesta su una partita, un gol, perfino un dribbling, come se il fuoriclasse girasse con l’aureola, fosse insomma un predestinato alla gloria.
Tutto sbagliato, nella maggior parte dei casi. Ma non bisogna generalizzare all’eccesso. L’eccezione è in agguato, sempre la storia insegna. La prima rovesciata di Parola lasciò intendere luminosi destini per questo centromediano lungagnone dallo stacco perentorio, e così la prima parata di Combi detto fusetta.
Magari Della Monica, salernitano diciottenne, appartiene alla regola, o magari ne rappresenta la rara eccezione. Chissà.
Cerchiamo qui di indagare, di presentarlo intanto ai molti o pochi che ancora non lo conoscono bene, o non lo conoscono affatto.
Siamo stati, per questo, a Casale, una sera di piena estate. La Juve era fresca reduce dal lavoro di Villar, Trapattoni cercava conferme e spunti di interesse dalla prima autentica partita della stagione, contro i nerostellati casalesi. Casale era splendidamente estiva, calda ma non soffocante, verdissimo il prato e strapieni ma discreti gli spalti del vecchio e glorioso «Natal Palli».
Non vedevamo Della Monica da più di un anno. Era il ragazzino che aveva entusiasmato pubblico e tecnici in più di una rassegna giovanile, il ragazzino per cui un giornalista ricco di umanità e onusto per esperienza aveva scomodato, come pietre di paragone, niente meno che Haller il vichingo e Causio detto Brazil. Un paragone curioso, a prima vista assurdo, tremendo comunque.
Non avevamo visto più Della Monica nella passata stagione, la prima con i colori della Juniorcasale. Ne avevamo, tutt’al più, letto le imprese.
Il ragazzo del vivaio bianconero era diventato l’idolo dei casalesi, e la sua consacrazione nella Nazionale juniores era la conferma di un valore in forte crescita.
L’erba del «Natal Palli», il campo che consacrò il grande Caligaris detto Caliga, stava forse per consacrare un talento, una certezza?
La storia casalese di Della Monica comincia in un modo singolare, assolutamente atipico. Con un gran rifiuto, poi rientrato.
Succede alla fine della stagione ‘76-77, quella del duplice successo bianconero in campionato e Coppa UEFA.
Della Monica, che deve avere un considerevole appoggio dalla fortuna, trova, a sedici anni appena compiuti, addirittura un posto in prima squadra per la fase finale della Coppa Italia, in una squadra dove la maggior parte dei titolari ottiene un supplemento-premio di vacanze, lasciando quindi spazio ai più giovani della «primavera». Il ragazzino incanta il «Comunale» una bella sera di fine giugno, infilando il Vicenza con prova araldica, e concludendo il tutto con un gol che lascia estasiati. Un esordio con i fiocchi insomma.
In casa bianconera decidono di valorizzare il ragazzo, e lo cedono in prestito alla Juniorcasale, per farsi le ossa in Serie C. Della Monica storce il naso e punta i piedi, non afferra subito il senso del trasferimento che non è per nulla esilio. Ci vuole tutta la persuasione di Giuliano e Trapattoni per convincere il ragazzo che si sta costruendo al meglio il suo futuro.
«Avevo sedici anni – ricorda l’interessato – e certe sfumature non le capivo proprio. Per me il trasferimento significava una cosa sola: non indossare più la maglia bianconera, andarmene via proprio nel momento in cui cominciavo a farmi conoscere. Ma il dottor Giuliano e il signor Trapattoni mi spiegarono tutto per bene, e non ci misi molto a rendermi conto che era tutto il mio interesse andare a Casale».
Ecco. Abbiamo iniziato la chiacchierata. Si impone una rapida presentazione. «Sono nato a Vietri sul Mare, in provincia di Salerno, il 23 giugno del ‘60. Ho quindi poco più di diciotto anni. Alla Juve sono arrivato a quattordici. È stato meraviglioso, proprio un bel sogno...».
Franco Della Monica è ambidestro, usa indifferentemente i due piedi, dribbla e tira con grande disinvoltura. Frequenta zone del campo note a lui solo, rendendo tremendo il compito del suo marcatore. È mezz’ala nel senso antico, rifinitore e uomo di spola al tempo stesso. «Ho sempre giocato in questa posizione, diciamo sulla trequarti. Mi sento più rifinitore che marcatore, ma penso di adattarmi bene a qualunque compito».
Ti sei ispirato, ti ispiri a qualcuno, nel tuo modo di giocare? «Da ragazzino stravedevo per Rivera, poi per Causio. Ma sinceramente, non credo di assomigliare a nessuno in particolare».
Vero. È assurdo paragonarlo a questo e quello. Fisicamente, dà l’impressione di una certa fragilità, ma è impressione fuggente, che svanisce al primo contrasto. Sembra pure portato all’individualismo, ma in realtà ha una visione di gioco tutt’altro che da disprezzare, e riesce a «pescare» il compagno smarcato con lanci lunghi di rara precisione. Ma la caratteristica che più impressiona è la sua facilità nel dribbling, la sua rapidità e fantasia nell’eludere l’intervento del diretto avversario. Una dote che, in serie C, gli attira le attenzioni quasi mai benevole di difensori che non vanno per il sottile. «Non credo che le cose, in C, vadano peggio che nei campionati superiori. È vero che si prendono molte botte, ma con un minimo di esperienza si possono benissimo evitare. Certo, l’anno scorso, il primo impatto con il calcio semiprofessionistico è stato duretto...».
Il fatto che la Juve, attraverso i suoi osservatori, ti tenga costantemente sotto sorveglianza ti crea più stimoli o più preoccupazioni? «Senz’altro più stimoli. Mi lusinga che la Juve mi segua con tanto interesse, e questo è per me il migliore incentivo a far bene».
Che cosa rappresenta per te la Juve? Un traguardo, un chiodo fisso... «Chiodo fisso proprio non direi: sarebbe un guaio grosso se mi ponessi quell’unico traguardo. Potrei, infatti, non essere ritenuto idoneo a rientrare nella squadra bianconera, ed essere dirottato altrove. In quel caso, dovrei forse ritenermi un fallito? Certo, però, la Juve rappresenta per me, come per tutti, credo, il massimo traguardo della mia carriera. E tornarci, per restare con la prima squadra, sarebbe magnifico...».
Quali sono, Franco, i tuoi obiettivi più immediati? «Disputare un buon campionato qui a Casale, dove tutti mi vogliono bene, e mi trovo magnificamente. Purtroppo, quest’anno, sono escluso per via dell’età dalla Nazionale Juniores, e quindi mi mancherà quell’utilissima esperienza che ho fatto l’anno scorso. Infine, sarebbe splendido se, alla fine del campionato, la Juve mi chiamasse a giocare la fase finale della Coppa Italia. Sarebbe il premio più bello...».

Della Monica non ritornerà più a Torino, se non come avversario. Una carriera onesta la sua, non sicuramente consona alle qualità e al talento che possedeva. Troverà spiccioli di gloria nell’Empoli, nella prima avventura della compagine toscana in Serie A.



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