domenica 21 aprile 2024

Frederik SORENSEN



Nel 1998 Frederik aveva solo sei anni e difficilmente sarà andato a vedere il film “Sliding doors” – scrive Giuseppe Gattino su “Hurrà Juventus” del marzo 2011 eppure, la storia di questo ragazzo, che fino a pochi mesi fa calcava i campi della Serie B danese, ci ricorda l’importanza del caso, delle “porte scorrevoli” che possono aprirsi o chiudersi improvvisamente, determinando esiti anche imprevedibili.  Perché se è vero che nello sport, come nella vita, il destino si costruisce con l’impegno, con il sacrificio e con il talento, è altrettanto vero che se Sørensen oggi è un giocatore della Juventus si deve anche a un insieme di casualità e che, davvero, le cose per lui sarebbero potute andare in modo assai diverso. «Sapevo dal mio agente – racconta – che Paratici mi stava seguendo già quando era alla Sampdoria. Poi è venuto alla Juventus ed eccomi qui».
Era il 31 agosto, giorno di chiusura del mercato. Distratti dagli ultimi arrivi e dai titoli di coda dell’esperienza juventina di un altro danese, Christian Poulsen, i tifosi e i giornalisti non diedero molto peso all’arrivo dal Lyngby, in prestito, di questo ragazzone di diciotto anni. «Era previsto che andassi a giocare con la Primavera, dove al primo allenamento a Chiusa Pesio mi ruppi il naso. Poi in tutto ho fatto 5 partite perché Del Neri mi ha voluto con i “grandi”».
Ed ecco l’altra “porta scorrevole”: la sfortuna che si accanisce a inizio stagione sulla difesa della Juve diventa un’opportunità: il 7 novembre 2010 Sørensen viene schierato titolare contro il Cesena e dopo le prime comprensibili emozioni si dimostra degno della fiducia del Mister. Da quel giorno si sono susseguite le presenze, fino alla partita contro l’Inter, nel corso della quale ha servito l’assist vincente a Matri: «Per me è stata un’esperienza incredibile. Mi sono trovato di fronte Eto’o, che con Menez della Roma è l’avversario più difficile che abbia mai incontrato. Ce l’ho fatta, però, perché non ho pensato a lui ma non ho mai smesso di guardare la palla. E alla fine è andata bene».
Per non venir meno ai luoghi comuni sul temperamento degli scandinavi, Sørensen parla poco e si racconta – in un ottimo inglese e in un italiano sempre migliore – con l’esitazione di chi non può fare a meno di sorprendersi per l’attenzione che lo circonda da quando veste il bianconero.
IL CALCIO. «Ho cominciato a giocare grazie a mio padre che allenava i Pulcini della squadra della mia città, Roskilde, trenta chilometri da Copenaghen. Poi sono andato nell’altra squadra della città, l’Himmelev. Da lì, a quindici anni, mi sono spostato al Lyngby. Ho sempre giocato in difesa e i miei idoli sono Rio Ferdinand e Vidić. Il primo mi piace perché gioca di più la palla, il secondo ha una straordinaria fisicità. Sono due modelli, anche perché nonostante finora abbia giocato sulla fascia, io mi considero un centrale. La Nazionale? Sono stato convocato nell’Under 19 ma ho preferito non accettare e concentrarmi sulla Juve, perché è qui che devo dare il massimo. D’altronde rispetto alla Danimarca la differenza è enorme: qui c’è una professionalità e un’intensità che non avevo mai vissuto. È un altro mondo».
LA JUVE. «Ovviamente conoscevo questo club e guardavo in TV i suoi campioni, come Del Piero e Buffon. Giocare qui è incredibile: i miei amici mi chiedono di raccontargli i segreti di questi campioni. Al momento vivo nell’albergo che ospita i ragazzi della Primavera. Divido la camera con Camilleri, mentre in trasferta sto con Chiellini: parla inglese e quando non capisco mi aiuta, ma soprattutto mi aiuta con consigli utili per crescere come giocatore. La Juve, poi, è stata la squadra del più grande giocatore danese di tutti i tempi, Michael Laudrup, che per noi è una leggenda».
LA FAMIGLIA. «Mio padre Peter fa il carpentiere: è appassionato di calcio, ma non mi ha mai messo pressione per diventare calciatore. Con lui continuo a confrontarmi sul mio modo di giocare, oltre che su tanti altri temi. Mia madre Lone viene a trovarmi almeno una volta al mese: ci piace passeggiare per la città e scoprire Torino, che è bellissima. In particolare mi piacciono i portici e il fiume. Ho anche un fratello, Andreas: ha 15 anni e gioca anche lui a calcio. Mentre sono qui sto finendo gli studi superiori in economia, mi manca un anno».
L’ITALIA. «La cosa più incredibile è il calore della gente, la passione che si respira intorno al calcio. Entri in uno stadio e senti un frastuono che in Danimarca è impossibile trovare, malgrado il calcio sia lo sport più popolare. In questi mesi non ho ancora avuto tempo di visitare il vostro paese, mi sono limitato a una puntata a Milano con i miei. Mi piace la pizza, soprattutto, e studio italiano 3 volte alla settimana con Giada, l’insegnante che segue me e tutti gli stranieri della squadra».
TEMPO LIBERO. «Studio, parlo con i miei amici su Skype, gioco alla Playstation (soprattutto a calcio), guardo qualche serie TV (in italiano per impararlo) e poi ascolto musica: Guetta, Rihanna, Eminem, oltre che i danesi Nik & Jay e Alphabeat. Ho la patente da pochi mesi e la macchina – un’Alfa Romeo Mito – da pochi giorni. Adesso posso anche muovermi meglio e andare più spesso in città, visto che l’albergo dove stiamo è a Moncalieri, più vicino a Vinovo che al centro di Torino».

Spesso il calcio ci regala vere e proprie favole, da raccontare ai nipoti davanti al cammino acceso. Ma una storia come quella di Frederik Sørensen ha veramente dell’incredibile. Senza aver mai giocato una partita tra i professionisti, questo lungagnone biondo nato in Danimarca si trova catapultato, a soli diciotto anni, in quel di Torino. Un vero colpo di genio di Fabio Paratici (coordinatore dell’aria tecnica juventina e braccio destro del direttore generale Marotta), che lo prende in prestito per soli 20.000 euro (nemmeno fosse un’utilitaria), con diritto di riscatto fissato a 130.000 euro.
La società del Lyngby, Seconda Serie danese ma fresca di promozione, è ben lieta di farlo partire per l’Italia, come conferma l’allenatore Christian Nielsen: «Questo trasferimento è perfetto per Frederik, gli dà la possibilità di provare il suo talento ai massimi livelli in uno dei club migliori in assoluto in Europa. Avrà l’opportunità di sperimentare la vita da professionista in un top club. Frederik ha l’esperienza e le competenze necessarie per far bene con la Juventus. Sono contento che il Lyngby sia riuscito a sfornare un altro talento che si trasferisce in un grande club europeo. Ciò sottolinea ancora una volta il buon lavoro svolto dalla società, poiché ben 16 ex nostri giocatori oggi giocano in squadre d’élite».
Lago, questo è il suo soprannome, è aggregato alla Primavera. È un difensore centrale: bravo con entrambi i piedi, forte fisicamente, non teme gli attaccanti piccoli e svelti, potendo contare su una discreta velocità. Fornisce ottime prove con i suoi coetanei, ma niente fa presagire a quanto sta per accadere.
Domenica 7 novembre 2010, la Juve è di scena all’Olimpico contro il Cesena. La compagine bianconera è incerottata: Bonucci a parte non ha un solo difensore arruolabile. Non sono disponibili nemmeno Ferrero e Camilleri compagni di squadra di Lago nella Primavera. Delneri si vede così “costretto” a chiamare Sørensen e ad affiancarlo all’ex barese. All’inizio le gambe tremano, i romagnoli vanno in vantaggio, i compagni di reparto gli passano la palla col contagocce e lui cerca di fare le cose più semplici: «Ho pensato che era la cosa peggiore che potesse capitare, il gol di Jimenez, ma poi ho cercato di pensare alla partita. E mi sono detto: stai concentrato e arriva in fondo».
Partita da ampia sufficienza ed esame superato. Passano sei giorni ed ecco la Roma, dopo il turno infrasettimanale a Brescia. Delneri non ha Motta, squalificato dopo il giallo rimediato al Rigamonti, tocca ancora a Sørensen, questa volta da terzino destro. Si disimpegna benissimo, fa i movimenti giusti, è più sicuro rispetto al match precedente. Si va a Marassi contro il Genoa, Motta si riprende la fascia destra, ma dopo cinquanta minuti lascia il campo a Lago, presenza numero tre con la Juve a diciotto anni e sette mesi. Nei quaranta minuti è assoluto protagonista: per la prima volta mostra a tutti che è in grado di usare benissimo il proprio fisico, che ha tempi di anticipo eccellenti, lanci in profondità (l’assist per Iaquinta, che spreca una facile occasione, nasce proprio da un’intuizione del danese) e cambi di gioco.
Non si ferma più: Catania, Lazio, Chievo, Parma, ancora Catania in Coppa Italia, Bari, Cagliari, sempre da terzino destro. Poi, arriva il 13 febbraio: si gioca Juve-Inter e non è una partita ma la partita. C’è equilibrio in campo, la truppa bianconera tiene testa allo squadrone nerazzurro. Poi, alla mezz’ora, solita sgroppata di Sørensen sulla fascia e perfetto cross a centro area. Irrompe Matri e Julio Cesar non ha scampo: Juventus 1, Inter 0. Il risultato non cambierà più, fra il tripudio del mondo juventino e la felicità di Frederik: «È un sogno. Certe cose fino a poco tempo fa le facevo solo con la Playstation! Il periodo peggiore della squadra è passato, ne sono sicuro. Continuando così possiamo arrivare a conquistarci un posto nella prossima Champions League. Mi piacerebbe affrontare il Manchester United perché è la squadra del mio idolo Vidić. Uno dei difensori più forti del mondo insieme a Piqué del Barcellona e a Chiellini, naturalmente».
Non sarà così per la Vecchia Signora che terminerà con un deludentissimo settimo posto. Per Lago, invece, una grandissima stagione con ben 18 presenze e la conferma per l’anno successivo. Ma, a volte, anche le favole non hanno un lieto fine. Arriva Conte sulla panchina bianconera e per il danesino non c’è più spazio. Una presenza in Coppa Italia e il trasferimento a Bologna, alla ricerca della gloria sotto le Due Torri.

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