Personaggio scomodo, appena ventenne, Strel’cov viene tacciato di un’accusa infamante: stupro. La stampa si scatena. Condannato a 12 anni in un processo “farsa”, è mandato in un gulag, prima a trasportare tronchi d’albero, quindi a lavorare uranio e poi in una miniera di quarzo. Ridotta la pena a cinque anni per volontà di Brežnev, indossa nuovamente la maglia della Torpedo nel 1965 e vince il campionato. Ritiratosi nel 1970 dopo un infortunio, Strel’cov fino alla scomparsa, avvenuta nel 1990 per un cancro ai polmoni, insegna calcio ai bambini. Il suo caso viene riesaminato nel 2001 da un comitato composto, fra gli altri, dal campione di scacchi Anatolij Karpov, dal sindaco di Mosca, Jurij Lužkov, da scrittori e giuristi come Sergej Korolev, Ėdvard Maksimovskij, e Andrej Suchomlikov. Si rilevano diverse anomalie nello svolgimento del processo: testimoni oculari inesistenti o rivelatisi lontani diversi chilometri dal luogo del misfatto, richieste di aiuto della vittima mai comprovate da testimonianze dirette. Il comitato chiede all’autorità russa di riaprire il caso, ma non ci sarà nulla da fare. Ancora oggi Strel’cov attende una riabilitazione.
Un libro scritto bene, scorrevole e molto accurato nei particolari. Descrive nel migliore nei modi l’assurda storia di Strel’cov e di come si viveva in Russia in quegli anni tragici e così lontani dal nostro modo di pensare come uomini liberi. Per chi ama il Pallone con la “P” maiuscola e per chi vuole saperne di più sul regime sovietico del durante e dopo Stalin.
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