L’idea del libro nasce da una duplice considerazione; la prima, quella forse principale, è data dal forte sentimento di radicalizzazione della Juventus nel tessuto storico-sociale torinese: la Juventus è la squadra di Torino ed è la squadra che da sempre ha rappresentato Torino fuori dalle mura domestiche.
La seconda considerazione nasce con le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Come ben sappiamo l’Italia unita nasce ufficialmente nel 1861, mentre la Juventus è del 1897 e dunque ha condiviso molto del cammino nazionale. Ma nei primi decenni del Novecento la Juventus smette “soltanto” una squadra di calcio e diventa un fenomeno sociale; se l’Italia ha continuato a soffrire del “peccato originale” su cui basa la propria nascita, ovvero l’unione di più campanili, la Juventus del quinquennio, attraverso il suo tifo, contribuisce ad unire le varie parti del Paese. In una nazione in cui le divisioni sono la regola, la Juventus ha contribuito, e contribuisce tuttora, ad unire genti di diversa estrazione sociale, di diversa residenza, di diverso orientamento politico e di diverso censo sociale.
Parimenti la Juventus ha contribuito, tra gli anni Sessanta e Settanta, a rappacificare una città, Torino, travolta e completamente impreparata a fronteggiare l’ondata migratoria dal Sud del Paese. Servizi pubblici all’orlo del collasso se non inesistenti, letti affittati ad ore agli operai a seconda del turno in Fiat, diffidenza diffusa verso i nuovi arrivati: questo era l’impatto che aveva della città chi scendeva con la valigia di cartone dai treni della speranza a Porta Nuova. Si può ben dire che l’integrazione dei nuovi torinesi è passata anche attraverso le gesta dei Causio, dei Furino e degli Anastasi per i meridionali, così come quelle di Zoff e Capello per i veneto-giuliani: per loro un modo di riscattarsi agli occhi dei torinesi, per gli altri un modo per scoprire che i nuovi arrivati erano persone che potevano contribuire a dare lustro alla città.
Eppure la città di Torino ha dato poco alla Juventus pur ricevendo molto in termini economici (l’indotto del tifo) e moltissimo in termini di immagine: Fiat, Sindone e Juventus sono state per lunghissimi anni le tre icone torinesi all’estero.
“Torino è bianconera” è una guida della città di Torino attraverso i luoghi che parlano della Juve; non aspettatevi quindi di leggere del Museo Egizio, ma piuttosto della stazione ferroviaria di Porta Susa perché lì lavorava come capostazione il padre di Pietro Rava, e se si parla di piazza Castello lo si fa perché Giampiero Combi vi aprì un bar, così pure scoprirete che le carceri “Le Nuove” ospitarono (si fa per dire) un portiere bianconero legato alla Resistenza, scoprirete le zone in cui sorgono gli stadi in cui sono scese le formazioni juventine, i luoghi delle sedi... e quello che verrà.
In ogni caso una città che varrebbe la pena visitare anche soltanto per vedere giocare la Juventus, la squadra che da sola ha vinto tanti scudetti come le milanesi e che dopo il 2006 probabilmente ne avrebbe vinti altri: per questo hanno inventato farsopoli.
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