DI FABIO ELLENA, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MAGGIO 2004:
Capitolo 1982/83, da ripercorrere tutto ad un fiato. È una squadra che parte imbottita di Campioni del Mondo, da Zoff a Rossi passando per Gentile, Cabrini, Scirea e Tardelli, rinforzata da due fuoriclasse stranieri quali Platini e Boniek e che può sempre contare sull’esperienza di un certo Roberto Bettega, che il Mundial di Spagna ha dovuto guardarlo da casa per infortunio. In panchina il condottiero di mille battaglie Giovanni Trapattoni. Una Juventus che rispetta la tradizione e prova a regalare un’altra stagione indimenticabile ai propri tifosi. C’è uno scudetto da difendere (anzi due) e l’ennesimo assalto alla Coppa Campioni da dare. E fino a maggio tutto rientra nei piani. Ma, purtroppo, al momento di rispondere presente all’appuntamento con la storia, si mettono in mezzo la Roma e l’Amburgo che privano i bianconeri dello scudetto e, soprattutto, del massimo trofeo continentale, sfumato nella sfortunata finale di Atene.
Quando si entra nel mese di giugno, invece di pensare alle vacanze, c’è ancora una Coppa Italia da onorare. La Juve che ha superato brillantemente la prima fase (a spese di Milan, Catania, Pescara, Catania e Genoa), ed estromesso il Bari negli ottavi, si getta a capofitto sul trofeo nazionale. C’è la Roma nei quarti, eliminata nettamente nella prima rivincita post campionato. Poi I’Inter in semifinale. Ed in finale ecco spuntare il Verona che ha compiuto già un’impresa al Comunale strappando la qualificazione dalle mani del Torino.
Dopo un tour de force di quattro gare in due settimane, scaligeri e torinesi si trovano di fronte, domenica 19 giugno, al Bentegodi per la prima finale. Decidono le reti del futuro bianconero Penzo e Volpati, contro una Juve ridotta in dieci nella ripresa per l’espulsione di Galdersi. È un 2-0 che fa pendere la bilancia dalla parte della formazione di Bagnoli. Non passano neppure tre giorni ed è subito tempo di retour match. Mercoledì 22 si replica al Comunale. Inutile dirlo: serve una gara perfetta per ribaltare lo svantaggio ed impedire che la Coppa Italia prenda la strada del Veneto. Detto, fatto. Paolo Rossi insacca già all’8° minuto il goal che riapre il discorso. L’1-0 rimane fino all’intervallo e poi fino all’ultimo quarto d’ora. Quando manca una manciata di minuti alla fine, ecco la stoccata di Le Roi Michel Platini: 2-0, stesso punteggio dell’andata e tutti ai supplementari.
La fatica accumulata nelle ultime settimane, ma in generale in un’intera stagione, si fa sentire. Sembrano prospettarsi gli spettri dei calci di rigore, ma quando manca un solo giro d’orologio dal termine ci pensa ancora Platini a chiudere nel migliore dei modi la sua prima annata bianconera: sgroppata di Cabrini a sinistra e tocco vincente del francese che completa l’impresa e regala la Coppa Italia alla Juventus. È festa grande al Comunale.
In quella doppia finale di Coppa Italia, a difendere la porta juventina c’era Luciano Bodini. Un anno dopo aver alzato da capitano la Coppa del Mondo in Spagna, Dino Zoff diede l’addio e lasciò la platea al suo fedele secondo per l’ultima incredibile cavalcata.
Ecco il ricordo di uno dei più grandi numeri dodici della storia bianconera tratto dal libro “Secondo me” di Nicola Calzaretta: «La fase finale della Coppa la feci io, da titolare. Trapattoni avevo deciso così, anche se prima di darmi l’annuncio, chiese a Zoff cosa ne pensasse. Superammo la Roma nei quarti, quindi l’Inter in semifinale ed il Verona in finale. All’andata perdemmo 2-0 e Penzo fu il vero mattatore, ma noi giocammo tutto il secondo tempo in dieci per l’espulsione di Galderisi. Al ritorno andammo in campo motivati al massimo e con la giusta dose di rabbia. Volevamo assolutamente vincere quel trofeo che avrebbe reso meno amara la grande delusione di Atene. Rossi e Platini firmarono il 2-0 che ci porto all’overtime. Ormai mi ero già mentalmente preparato ai calci di rigore visto che stava scadendo anche l’ultimo minuto del secondo tempo supplementare e nessuno aveva segnato. Ma arrivò il guizzo finale di Michel per il 3-0. Vincemmo col cuore, con la grinta, con il carattere. Ricordo ancora Scirea che alzò il trofeo ed il giro d’onore in un Comunale in festa».
Della rosa di quella Juventus faceva parte anche un giovane torinese, non ancora ventiduenne, frutto del settore giovanile bianconero: Massimo Storgato. L’attuale tecnico degli Allievi Nazionali entrò a gara iniziata sia a Verona, al posto di Prandelli, sia al Comunale, per Brio. Dopo lo scudetto della stagione 1980/81, ecco un’altra grande gioia. Un ricordo ancora vivo: «Io ero uno dei giovani che faceva parte di quel magnifico gruppo di campioni ed in particolare in Coppa Italia ebbi maggiori possibilità di mettermi in luce e dare il mio contributo. A Verona perdemmo malamente, ma tre giorni dopo, a Torino, facemmo davvero un recupero incredibile, una vera impresa, vincendo 3-0 dopo i supplementari. Ancora oggi, ho nella mia testa un’azione di quella incredibile gara di ritorno. lo entrai e mi piazzai sulla fascia sinistra. Ad un certo punto, Platini andò a prendere palla davanti alla nostra area, alzò la testa come faceva sempre, mi vide scattare e con un lancio di 80 metri me la mise sui piedi. Impressionante. Conservo ancora oggi a casa le fotografie della premiazione, con particolare affetto quella che mi ritraeva con il trofeo in mano».
Tra i reduci dell’indimenticabile notte di Madrid del luglio 1982 in campo anche in quel 22 giugno c’è anche Antonio Cabrini. Il Bell’Antonio saltò la sfida giocata in Veneto e tornò a disposizione di Giovanni Trapattoni per la seconda decisiva sfida con gli scaligeri. Un ritorno importante. Questo il ricordo dell’ex terzino, oggi tecnico del Pisa: «Eravamo reduci dalla finale di Coppa dei Campioni di Atene contro l’Amburgo ed in campionato non eravamo riusciti a confermarci Campioni d’Italia. Per questo c’era un’atmosfera pesante e tra i tifosi aleggiava anche sfiducia e malumore. Inoltre lo 0-2 patito a Verona rischiava davvero di far fallire la stagione. Invece ci furono la giusta reazione e la giusta rabbia per centrare l’unico obiettivo rimasto. Ed infatti non fallimmo. Il ricordo più nitido che ho di quella partita al Comunale è l’azione che ci portò alla vittoria finale, quella del 3-0. Partii sulla fascia sinistra, arrivai sul fondo e riuscii a mettere in mezzo il pallone che Platini insaccò. Mancava un minuto alla fine dei supplementari e quello scatto non era solo l’ultimo sforzo di quella partita, ma di un’intera faticosissima stagione».
Un anno dopo per Paolo Rossi sembra riscriversi una storia meravigliosa. La Coppa Italia non ha e non può avere il fascino e l’importanza di una Coppa del Mondo. Eppure Pablito arriva di nuovo all’atto finale con un cinque nella casella delle reti segnate nella manifestazione (per la precisione, due contro Genoa e Milan nella prima fase ed una nei quarti contro la Roma). E contro il Verona, al Comunale, non può che arrivare il sigillo numero sei, tanti quanti quelli realizzati in Spagna. «Partendo da uno 0-2 da recuperare, trovare il vantaggio dopo pochi minuti diventava importante e fortunatamente riuscimmo a segnare all’8’. Noi prendemmo fiducia, loro forse persero un po’ di sicurezza. Platini fece poi il resto segnando gli altri due goal che ci fecero vincere il trofeo. Era l’ultima partita di una stagione particolare, come quasi tutte quelle post Mondiale. L’esito del campionato e, soprattutto, della Coppa dei Campioni, rendevano quella Coppa Italia un obiettivo importante per noi. Ci mettemmo determinazione e tanta voglia, cioè l’atteggiamento giusto per ribaltare il risultato negativo dell’andata».
Tra gli elementi di spicco di quella Juventus 1982/83 c’era anche Roberto Bettega. Ma l’attuale vicepresidente bianconero non prese parte alla doppia finale con il Verona, così come alle doppie sfide contro la Roma nei quarti e con l’Inter in semifinale. «La mia storia da giocatore juventino era finita all’indomani della finale di Coppa Campioni di Atene. Quando ci furono le due partite con il Verona io ero già in Canada per iniziare la nuova avventura. Quindi direttamente a Toronto venni a sapere dell’impresa dei miei compagni, capaci di ribaltare alla grande lo 0-2 patito all’andata. A distanza di quasi vent’anni da quel successo posso solo dire che, scorrendo i nomi dei giocatori di allora, era davvero una grande Juve, una delle più forti di sempre».
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