venerdì 24 maggio 2013

18.5.1977: COPPA UEFA



DI ANGELO CAROLI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL DICEMBRE 1988:
Era arrivato da poco meno di un anno e già riempiva i saloni di Galleria San Federico con la sua smisurata ambizione. Senza ambizione non si arriva, nella vita e nel calcio. Chi rifiuta questo concetto si nasconde dietro diplomatiche ipocrisie. Giovanni Trapattoni era stato prescelto in mezzo ad un gruppo di giovani tecnici pieni di avvenire e di buoni proponimenti. Era la primavera del 1976 ed aveva alle spalle soltanto una fuggevole esperienza nel Milan di Duina e di Nereo Rocco detto il Paròn. All’epoca, la società rossonera non riusciva a liberarsi di una certa confusione di ruoli che generava nella critica più di un equivoco. Trapattoni mi parve il meno disorientato, lo conobbi a Bruges, una città ricca di squisitezze architettoniche, in occasione di una partita di Coppa. Usava maniere dolci e decise al tempo stesso, e possedeva l’arte preziosa di stabilire amichevoli rapporti con l’interlocutore. Ed era sostenuto da continue spinte agonistiche. Aspirava al successo come se questo fosse uno scopo irrinunciabile, anche se non è facile stabilire fino a che punto un particolare del genere fosse in lui connaturato oppure esaltato dallo stesso desiderio di vittoria che sospingeva, con movimento perpetuo, Giampiero Boniperti e Pietro Giuliano.

Il Trap arrivò a Torino e si ambientò in fretta, capì subito come fosse mortificante bere nell’amaro calice di un derby perduto con il Torino. E concluse la stagione in modo trionfale, un’annata sconcertante soltanto nel periodo delle amichevoli di precampionato. Quanto bastò per autorizzare i giornalisti e i tifosi a definire molto rischiosa l’operazione “vecchietti” che aveva riportato in bianconero un’antica conoscenza, Benetti, e che aveva assegnato il ruolo di Anastasi, un ex beniamino della curva Filadelfia, ad un campione non più giovane, Boninsegna.
Furono valutazioni fallaci, quelle emesse dalla critica in precampionato. Le ragioni di Boniperti e di Giuliano si fecero largo a poco a poco. Mai, probabilmente, la Signora aveva permesso di frequentare i propri salotti da un manipolo di gente tanto solida. Basta procedere nella lettura dell’11 titolare per rendersi conto di come quella Juventus somigliasse più ad una corazzata che ad uno yacht di lusso: Zoff, Cuccureddu, Gentile, Furino, Morini, Scirea, Causio, Tardelli, Boninsegna, Benetti e Bettega. Superfluo ogni commento. Quella squadra costituiva la stupefacente sintesi di forza e duttilità, di tecnica e di agonismo. La parte nevralgica era una Linea Maginot invalicabile. E si trasformò in un autentico rullo compressore.
Al fianco dei risultati acquisiti in campionato, non fece mancare ai propri sostenitori il gusto di successi in campo europeo. Eliminò, in stupenda successione, due formidabili club inglesi (Manchester City ed United), i tedeschi orientali del Magdeburgo, i sovietici dello Shakhtar ed i greci dell’Aek prima di approdare alla doppia finale con i baschi dell’Athletic di Bilbao.
Attorno alla “Vecchia Signora” si condensarono le speranze di un’Italia che cercava nuovi successi internazionali dopo quelli consegnati alla storia dal Milan, dall’Inter e dalla Roma in epoche lontane.
L’andata fu una festa contenuta, poiché l’entusiasmo del pubblico si incendiò alla vista di Tardelli, che schizzò nell’aria in acrobazia per deviare, di testa, uno spiovente lunghissimo di Scirea. Però la partita si coagulò successivamente in una schermaglia sterile di mosse tattiche. I baschi, per tradizione spavaldi e focosi, si sentivano appagati da quel passivo limitato e desistettero, anche perché la Juventus non riuscì a dare incisività alle proprie manovre.
Frattanto procedeva, pieno di suspense, il terribile braccio di ferro con il Torino, Campione d’Italia in carica. All’ultima giornata il calendario sembrava dare una mano a Graziani e Pulici, i quali ospitavano il Genoa in casa mentre la Juventus, dopo il ritorno in coppa a Bilbao, si sarebbe trasferita a Marassi per respingere la disperazione della Sampdoria, in odore di retrocessione. Boniperti e Trapattoni non fecero scelte, giocarono ai due tavoli del poker sempre alla ricerca del massimo traguardo.
A Bilbao si era creata una complessa situazione politica e si respirava l’acre sapore dell’ansia in ogni strada. Problemi e tensioni non sfiorarono però la Juventus; il popolo basco, orgoglioso e civile, fu accogliente con gli italiani.
Lo stadio San Mamés era un pozzo di composto delirio che Bettega gelò subito con una rete bellissima, un tradizionale colpo di testa. Sempre un colpo beneaugurante, quasi un “upperkut” decisivo. Ma i baschi non si arresero, e si avventarono, quasi moltiplicandosi in tutto il campo, verso la porta di Zoff. Sei minuti dopo Irureta siglò il pareggio.
La Coppa era tutt’altro che assegnata! Bastava distrarsi ed i baschi avrebbero dilagato, come un fiume in piena. La Juventus disputò un match gagliardo ma apparve carica di ansie e di responsabilità. In passato aveva sempre fallito l’ultimo assalto. Ed il peso di questi ricordi forse turbò l’inconscio di molti juventini.
Il secondo tempo fu un tormento. Boniperti fumò un numero inquantificabile di sigarette, torturò i bottoni dell’impermeabile, quel pressare continuo dell’Athletic non gli concesse tregua. Ebbe animo di resistere qualche minuto ancora nel suo posto di tribuna, poi la sua figura si dileguò nell’ombra della notte, sotto una pioggia torrenziale e tiepida. Si rifugiò in un bar, ordinò un cognac di marca, si portò il transistor all’orecchio e rimase in ascolto.
Mancavano circa 18 minuti alla fine. Un incubo. Gli assalti dell’Athletic erano portati con manovre aggiranti, che si concludevano con traversoni sui quali Zoff e Morini, Scirea e Gentile si avventavano per chiudere spiragli ai baschi. Che splendida partita giocò Bettega! Un capolavoro tecnico e tattico. Palloni e flash di fotoreporter bombardavano l’area piccola della Juventus. Poi Carlos, all’improvviso, spuntò in mezzo ad un grappolo di uomini e riuscì a praticare un foro nella difesa bianconera: 2-1, lo stadio si accese come una torcia immensa. Boniperti fu folgorato dalle urla che gli arrivarono dallo stadio, lo sostenne però la grande fiducia che ha sempre riposto nei suoi uomini. Ed ebbe ragione.
I bianconeri tennero duro fino al 90’, il punteggio (2-1) e l’ardore dei baschi non bastarono. La Coppa fu assegnata alla Juventus. Fradici di pioggia e di sudore, i protagonisti di quell’indimenticabile serata sollevarono al cielo il trofeo europeo, il primo della storia juventina. Ed arrivò Boniperti, pallido come un lenzuolo, provato dalla tensione ma felice come un bambino. Chi lo conosce sa che in quei momenti di gioia totale avrà accompagnato i complimenti e gli abbracci ai giocatori con una raccomandazione specifica: «E ora voglio vincere anche lo scudetto a Marassi».
Fu come una profezia. Il ritorno in Italia si presentò complicato dalle condizioni atmosferiche. Dopo la notte di festeggiamenti, che furono contenuti nonostante lo champagne scorresse come un fiume, il giorno spuntò in un panorama infernale. Su Bilbao il cielo aveva disteso una coperta di nuvole basse e gonfie di pioggia.
Era impossibile volare. Gli aerei rimasero inattivi negli hangar. L’aeroporto restò chiuso per molte ore. La comitiva avrebbe dovuto trasferirsi in pullman fino a Madrid (dieci ore di viaggio) eppoi dirigersi verso Torino con volo di linea. Il problema fu risolto con un tocco di classe dell’avvocato Giovanni Agnelli, il quale si mise in contatto con Boniperti e gli prospettò un programma alternativo: «Raggiungete Biarritz in pullman, ci sarà il mio aereo ad aspettarvi e vi riporterà a Torino».
Detto e fatto. Il resto della storia la conoscete. Il goal di Bettega (un capolavoro eseguito con il tacco) e di Boninsegna resero inutili i tentativi della Sampdoria a Marassi e quelli del Torino, che vinse in casa con il Genoa. E resero ancor più felice ed orgoglioso Boniperti, che aveva arricchito il ciclo con un trofeo europeo.








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