lunedì 5 giugno 2023

Silvio LONGOBUCCO


«Difficile inquadrare questo giovinotto, persuaderlo che non avesse nemici come ostinatamente credette fin dal suo affacciarsi nella Juve scudettata del pacioso boemo. Quanto lungo il passo da Terni romita a Torino austera e crudele; e l’emulazione, lotta al coltello tra sorrisi e mugugni con i colleghi per il posto in squadra, lo vide sconfitto. Terzino con sinistro e scatto rapace, saprà recuperare moderando gli impulsi nativi. Curando il destro attingerà la completezza tecnica», così lo descriveva il sommo Vladimiro Caminiti.
Nasce a Scalea, in provincia di Cosenza il 5 giugno del 1951: «Il pallone era il mio sogno, tanto che a quindici anni mi beccai una squalifica, perché non avevo l’età per giocare in Prima Categoria. Arrivare in Serie A era il mio desiderio, ma la verità è che ho fatto una fatica tremenda a stare lontano dalla mia terra. A quattordici anni mi prese il Torino e mi mandò ad Asti. Dopo nove giorni era già sul treno per la Calabria. La nostalgia mi ha divorato. Anche quando sono andato alla Ternana».
Nella squadra umbra gioca ottime partite; schierato da terzino o da stopper, è implacabile a marcare l’attaccante di turno: «Mi ricordo ancora il primo provino, una mezza comica. Da bravo ragazzo del Sud mi ero portato le scarpette con la suola in gomma. Da noi si giocava su campi in terra battuta, erba nemmeno a parlarne. Invece a Terni il campo era verdissimo. Non stavo in piedi. Ogni volta che dovevo fare uno scatto lasciavo delle buche per terra. Dopo venti minuti qualche anima pia mi procurò un paio di scarpe con i tacchetti. Il provino andò bene. Ma nel primo mese tentai per tre volte di scappare. Poi mi sono rassegnato. Alla Ternana sono rimasto due stagioni. Ho giocato tantissimo tra De Martino e Prima Squadra. Ma il desiderio era sempre di tornare a casa».
Poi, arriva la chiamata della Juventus: «Ed io lo seppi dalla radio! Sembra incredibile, ma è così. Stavo facendo il CAR (periodo di addestramento militare) a Orvieto, ma mi trovavo all’ospedale militare di Perugia. Dovevo andare al Vicenza. La Ternana aveva fatto tutto con Romeo Anconetani che a quel tempo faceva il mediatore. E invece ecco la Juventus! Gioia mista a tanta paura. Un po’ per tutto. Dal lato professionale, perché non mi sentivo ancora all’altezza della Juve. E poi perché andavo dalla parte opposta della Calabria. Il primo mese bianconero l’ho passato da imboscato. Sono stato l’oggetto misterioso della Juve per qualche settimana. Ho sfruttato una serie di coincidenze per ritardare il mio arrivo a Torino. Devi sapere che la Ternana non aveva detto nulla alla Juve che ero militare. Chissà, forse credevano che questo avrebbe potuto ostacolare il trasferimento. E allora si inventarono che stavo in villeggiatura in un imprecisato campeggio con amici. Ho saputo dopo che i dirigenti juventini mi hanno cercato dappertutto. E quando mi hanno trovato hanno scoperto la verità».
È appena stata costituita la squadra che promette sfracelli, ci sono già i Bettega e i Furino, i Causio e i Morini, i Cuccureddu e i Capello. Non c’è ancora Zoff, ma sarà questione di poco. Longobucco deve fare anticamera ma non ci sono problemi; Vycpalek si accorge subito che c’è del talento in questo ragazzo dal cognome scorbutico come il suo destro, essendo, nel piede mancino, riposte tutte le velleità di successo. Carmignani portiere, Spinosi e Marchetti terzini, Morini stopper. Non c’è spazio, chiaramente, nell’undici di partenza, per Ossobuco – come lo chiama Haller non riuscendo a pronunciare il suo cognome – ma a Silvio la pazienza non manca. La Juventus va avanti per la sua strada, inanellando partite capolavoro e risultati da primato. Il campionato si gioca in volata e, nella volata, entra in scena anche Silvio Longobucco.
Fatalità, un pizzico di fortuna, che quasi sempre è unita a un po’ di sfortuna altrui. Marchetti e Furino, dopo la vittoriosa partita con il Cagliari, sono squalificati; alla vigilia della delicatissima trasferta di Firenze, penultima giornata del torneo, Vycpalek si affida al ragazzo calabrese, che ha saputo attendere in silenzio, preparandosi con scrupolo in ogni allenamento come se fosse la finale di Coppa dei Campioni. È il 21 maggio 1972, data fatidica. La Fiorentina prima vince per un gol di Merlo e poi è raggiunta nella ripresa. Pareggio risicato, ma un punto d’oro. Longobucco non delude le attese; ci mette una grinta decisamente fuori dalla norma, conquista un po’ tutti, a cominciare dal mister più pacioso e ottimista che mai. Si merita la conferma, nella giornata di grande festa che si va preparando. 28 maggio 1972, Juventus-Vicenza: Longobucco esordisce di fronte al pubblico torinese, che è folla come da tempo non si vedeva. Migliaia di bandiere per lo scudetto numero quattordici, il Vicenza è liquidato e il nostro è ancora tra i migliori.
Ossobuco è confermato nella Juventus, che tenta la grandiosa accoppiata campionato e Coppa Campioni: «C’era Zoff, un campione di serietà, anche troppo! Mentre noi avevamo già fatto la doccia, lui era ancora in campo ad allenarsi. Poi c’era Causio, la prima donna. Sempre impeccabile, da vero barone. Lui e Morini erano i protagonisti della sfida del pullman. Vinceva chi saliva per ultimo sul pullman. Il farsi attendere aumentava il prestigio! E poi c’era Haller, un gaudente. Si fece beccare durante una trasferta all’estero, perché lasciò le sue generalità all’ingresso di un night. I dirigenti lo presero quasi con le mani nel sacco. Ma che squadra, però. Tre scudetti in quattro anni!».
Parte alla pari con gli altri titolari della difesa e, dunque, l’attesa sarà più breve e meno sofferta. Dodici presenze al tirar delle somme, un discreto bottino. Ma c’è di più, c’è la Coppa dei Campioni, con le sue serate magiche. E il 7 marzo 1973, anche Silvio da Scalea trova un posticino, nella gara interna con l’Ujpest Dozsa. Altro esame superato a pieni voti, a conferma del talento e del temperamento del ragazzo. A Derby e nella finalissima di Belgrado contro l’Ajax ci sarà di nuovo spazio per lui. Purtroppo, per il buon Silvio, la sua immagine tramandata ai posteri è la tristemente e famosa capocciata di Rep che, dopo pochi minuti dall’inizio della finale, lo sovrasta, inventandosi una specie di pallonetto che beffa Zoff: «L’Ajax era fortissima, fu sbagliata la scelta di stare chiusi in ritiro per giorni interi dentro una vecchia fortezza. Rep ebbe grande fortuna, oltre a essere stato scorretto. Mi tenne giù con il braccio sinistro ed io non riuscì a saltare. Gol da annullare. Ma non andò così».
Dopo la grande delusione, inizia la stagione 1973-74, sempre più difficile per la Juventus, incontrastata protagonista degli ultimi due scudetti e quindi osservata speciale dalla concorrenza. Longobucco trova spazio addirittura dalla prima giornata, che coincide con una stentata vittoria a spese del Foggia. Ormai, è pedina fondamentale nella retroguardia che ha in Zoff e nel tandem Morini e Salvadore i suoi cardini di classe ed esperienza. Giocando accanto a simili campioni, anche Longobucco migliora il suo bagaglio tecnico e affina il proprio senso tattico, rivelandosi difensore irriducibile nella marcatura stretta, ma anche capace di inventare divagazioni offensive, magari rifinite con il suo efficacissimo sinistro: «Difendevo e attaccavo. Coprivo tutta la fascia. E spingevo tantissimo. Ricordo sempre Oscar Damiani che mi implorava di non correre con la sua “R” moscia. Ho marcato anche Bettega. La prima volta che l’ho incontrato è stato in Ternana-Varese, campionato di B, stagione 1969-70. Era il giorno del mio esordio, arbitrava Concetto Lo Bello e la partita fu ripresa dalla TV. L’allenatore mi mise in marcatura su di lui. Dico solo una cosa: meglio averlo avuto come compagno Bettega. E l’ho apprezzato molto, sotto tutti i punti di vista, nonostante la sua fissa per Lucio Battisti. Ci faceva una testa così con le sue canzoni. Le sapeva tutte. Un martello».
In una stagione meno prodiga di entusiasmi e soddisfazioni per l’ambiente bianconero, raggiunge ben ventiquattro presenze in campionato, mentre il suo ruolino di marcia internazionale subisce forzatamente uno stop, per l’eliminazione patita dalla Juventus nel turno iniziale di Coppa Campioni.
E siamo al 1974-75, nuovamente trionfante per la squadra affidata a Parola. Con l’arrivo di Gentile e Scirea, la retroguardia juventina aumenta il numero e la consistenza dei suoi uomini di talento e la concorrenza per il posto diventa agguerritissima. Longobucco non riesce, anche per questo motivo, a ripetere l’exploit della stagione precedente e deve accontentarsi di una decina di apparizioni.
Quanto basta, comunque, per confermare appieno il suo valore, ormai confortato da un mestiere rifinito, occupando tutti i ruoli di marcatore, sia centrale sia di fascia: «Ufficialmente, andai via perché gli spazi in difesa si erano ridotti. Ma io, con il senno di poi, credo abbia inciso anche l’episodio del pugno dato a Gorin del Milan: Juve-Milan, marco Gorin che è il sette dei rossoneri. Mi provoca per tutta la partita e mi dà un cazzotto non visto da nessuno. Io aspetto il momento giusto e mi vendico. Per sfortuna gli spaccai la faccia e dovette uscire in barella. In seguito mi scusai con lui, ma contro di me si scatenò una campagna di stampa dai toni vagamente antimeridionali o leghisti se preferite. Anche Gianni Brera non si risparmiò. La sera alla “Domenica Sportiva” ci fu un testa a testa con Bettega che prese le mie difese».
La non breve vicenda bianconera di Silvio Longobucco si esaurisce qui. Oltre una sessantina di presenze in campionato, una manciata di gettoni in campo internazionale, E, soprattutto, tre scudetti. Un ritratto tutt’altro che sbiadito.

NICOLA CALZARETTA, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 23-29 SETTEMBRE 2003
Quando, appena ventenne, arrivò alla Juventus qualcuno con la puzza al naso storse la bocca. «Avevamo già Cuccureddu, dovevamo prendere anche Longobucco?». Le riserve non erano di natura tecnica, né anagrafica, ma di carattere... fonetico. E non era ancora tornato Mastropasqua. «All’inizio la cosa un po’ mi infastidì anche perché in varie occasioni il mio cognome veniva storpiato, poi non ci ho fatto più caso».
Silvio Longobucco, attualmente assessore allo Sport e Turismo al comune di Scalea, in provincia di Cosenza, è un robusto e pacioso signore di mezza età. I quindici anni passati a correre veloce sulla fascia mancina per Ternana, Juventus e Cagliari sembrano lontani. «Sono nato come marcatore, ma ho giocato molte partite con il numero tre sulla schiena. L’ultima nel 1983 a Cosenza, in C1. Poi ho preferito farmi da parte e tomare a casa, volevo recuperare il tempo perso in gioventù. Sono partito da Scalea che avevo appena sedici anni per andare a Terni e l’adolescenza l’ho trascorsa tra allenamenti, ritiri e partite. Ho sempre sofferto la lontananza dal paese e dalla famiglia».
Brutta bestia la nostalgia. «A quattordici anni mi prese il Torino e mi mandò ad Asti. Dopo nove giorni scappai per tornare dai miei. Lo stesso è successo per ben tre volte nelle prime settimane alla Ternana. Anche il primo mese da bianconero l’ho passato da imboscato, ero diventato l’oggetto misterioso della Juventus. Facevo il militare a Roma e quando mi davano i permessi, al posto di andare a Torino ad allenarmi prendevo il treno per la Calabria. Fin da allora c’era l’idea che, una volta terminata la carriera, sarei tomato a casa».
Nel 1982, dopo sette stagioni al Cagliari, cade a fagiolo l’ingaggio da parte del Cosenza. «Firmai per tre anni, ma alla fine del primo campionato dissi che poteva bastare. Il desiderio era quello di dedicarmi alle mie passioni, la caccia e la pesca. E volevo recuperare le amicizie di un tempo, quelle nate da ragazzino. Devo dire che ho trovato Scalea molto cambiata e dei vecchi amici ne erano rimasti pochi. Tutto sommato ero preparato. Quando arrivi a giocare a certi livelli e, soprattutto, vai in società come la Juventus, sei temprato a tutto».
Nelle parole di Longobucco fa capolino l’amarezza. «Più di una volta ho pensato che tomare in Calabria era stato un errore. Soprattutto quando ricordavo la Sardegna, dove sono stato benissimo. Alla fine comunque è andata bene lo stesso».
Anche perché una prima svolta, quella imprenditoriale, non si fa attendere. «Sono sempre stato un tipo timido e, francamente, poco ambizioso. Grazie a un gruppo di amici inseriti nell’edilizia, è nata la mia nuova attività per il post-calcio: costruire case e villaggi turistici a Scalea. Mi ci sono buttato con generosità e applicazione, controllavo l’esecuzione dei lavori, andavo da un cantiere a un altro, fino a quando mi sono accorto che l’impegno lavorativo si stava prendendo troppo tempo e troppe energie. E così, passato qualche anno, ho lasciato l’attività».
Spazio libero allora per la pesca notturna al totano o la caccia alla tortora. Finché non spunta la politica. «Anche stavolta la spinta degli amici è stata decisiva. Il primo incarico l’ho avuto nel 1990 dopo che ero stato eletto nella lista della Democrazia Cristiana. Mi affidarono Sport e Turismo. In capo a due anni, però, di tutte le promesse fatte, poco era stato realizzato. Non sono un politico e mi piace poter guardare le persone, e a maggior ragione i miei compaesani, negli occhi. Così decisi di dimettermi. E ho avuto ragione, al punto che qualche anno dopo sono stato rieletto, in una lista civica. Il mio è uno degli assessorati più impegnativi. Scalea è una città di mare, ma si lavora e si programma per tutto l’anno».
Con un piccolo-grande cruccio: «Da tempo ho presentato un progetto per la realizzazione di un polo sportivo con sede a Scalea e che servirà venti paesi. Il Coni ha già dato parere favorevole, ma la Regione ha bloccato tutto. È il mio sogno, vorrei si realizzasse».
Mai smettere di sperare. Il sogno di diventare calciatore in fondo si è avverato. «Il calcio è la mia passione. A quindici anni mi beccai una squalifica perché giocavo in Prima Categoria pur non avendo il minimo d’età richiesto. Ero bravino, già qualche squadra del Nord mi aveva notato. In seguito, grazie ad Antonio Cardillo, pure lui nato a Scalea e che giocava con la Ternana, andai in Umbria».
Per un provino tutto da raccontare: «Mi porto da casa le scarpette. Con le suole di gomma perché da noi i campi sono in terra battuta. Invece a Terni ci fanno giocare su un bel prato verde. Non mi reggevo in piedi, quando partivo di scatto lasciavo delle gran buche in terra. Dopo venti minuti, impietositi, mi hanno dato un paio di scarpette con i tacchetti».
Alla fine della partita, comunque, Longobucco è abile e arruolato. «A Terni giocai moltissimo tra Primavera, De Martino, Prima Squadra. E mi prese la Juve. Ho saputo per radio del trasferimento a Torino, ero in caserma. Ricordo sempre il mio primo giorno in bianconero. Entro nello spogliatoio e mi guardo intorno spaurito, anche perché non sapevo dove andarmi a sedere. D’improvviso mi chiama Capello e dice di sedermi accanto a lui. Ti giuro che non mi sembrava vero».
E invece saranno ben quattro i campionati con la Juventus. «Con tre scudetti e un secondo posto, ma anche con la Coppa dei Campioni persa a Belgrado nel 1973. Una serataccia, nata però qualche giorno prima: eravamo stati chiusi in ritiro a Novi Sad, in una vecchia fortezza, con un bombardamento mentale continuo. Per carità, l’Ajax era sicuramente più forte, però…».
Dopo il suo terzo tricolore, il sedicesimo della Juventus, arriva il passaggio al Cagliari. «A Torino andò Gori, io e il caro amico Fernando Viola facemmo il viaggio inverso. Certo il salto fu traumatico anche perché quel Cagliari era in netto declino. Senza Riva, che si fece male quasi subito, andammo diretti in B. L’hanno dopo si mancò la A solo agli spareggi, senza contare la partita persa tavolino con il Lecce perché uno di loro fu colpito da un’arancia: quei punti sarebbero bastati per la promozione».
Sette le stagioni in rossoblù, con l’invito a rimanere sull’isola. «Il richiamo della Calabria è stato più forte».

15 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao io sono la figlia minore di Silvio Longobucco e vorrei dire solo una cosa.Sono fiera di essere sua figlia! <3 ciao a tutti <3

Anonimo ha detto...

ciao a tutti.Io sono Silvia Longobucco la figlia minore di Silvio Longobucco.Vorrei dire solo una cosa,sono fiera di essere sua figlia e sono orgogliosa di lui!

Stefano ha detto...

ciao Silvia ... sono molto onorato che tu abbia scritto sul mio blog ... se hai qualcosa da raccontare su tuo papà, fallo pure, in modo che la mia scheda possa essere completata ...
grazie mille ...

daniele casadei ha detto...

ciao!sono Daniele Casadei da Cesena!mi ricordo piacevolmente di Longobucco!nel 1972 eravamo tanto giovani e tanto appassionati di quel calcio che non c'è piu'!ottenni l'introvabile figurina Panini per completare la raccolta,diedi cento figurine ad un carissimo amico per lo scambio!!!un piacevole ricordo!grazie!in bocca al lupo alla tua terra!ciao!

Anonimo ha detto...

Grande giocatore... Grande persona.... Grande mister.... Grazie Silvio Longobucco. Davide La Greca

ENRICO ha detto...

Era una scheggia, che terzino !!!!!

Unknown ha detto...

Chissà che cosa ne pensa duino gorin

Unknown ha detto...

Da conterraneo può sembrare facile parlare bene di uno come Silvio Longobucco, ma non è così. Quando si parla di UOMINI VERI,è facile parlarne, e Longobucco è stato un UOMO VERO. Poi se aggiungo che sono tifoso della Juve , è ancora più facile parlare di Lui. Ho avuto la fortuna di parlarci di persona quando a fine carriera giocò nel Cosenza. In una occasione (giorno di allenamenti) mi feci raccontare della finale della coppa dei campioni che la Juve perse con l'Ajax e mi disse esattamente quello che c'è scritto in questa ricostruzione della Sua carriera: fu Rep (grande calciatore) a poggiarsi su Silvio e così riusci a saltare più alto e fece goal. Longobucco fa parte di quei tanti ragazzi che con la nostalgia della Sua terra (i calabresi sotto questo aspetto siamo fatti in fotocopia) dovette lasciarla ma ne è valsa la pena. Carattere tosto, bravo Silvio, non era cattivo in campo e Gorin fece bene: quando ci vuole ci...vuole, così come fece bene con Sciannimanico l'anno in cui giocò nel Cosenza.

Unknown ha detto...

Grande longobucco ... ma la sua figurina era difficilissima da trovare

Unknown ha detto...

Ciao io sono Biagio,quando si giocò quella finale con l'ajax io non ero neppure nato, infatti venni al mondo qualche mese dopo,spesso vengo a Scalea per lavoro e mi piacerebbe incontrare Silvio, anche solo per una foto, perché al di là della sconfitta ritengo sia un vanto poter dire che un mio conterraneo o quasi, perché io sono campano, ha giocato la finale di coppa campioni.

Francesco Nonnis ha detto...

Io l'ho visto giocare tante volte in rossoblu. Lo ricordo davvero forte, costante, veloce e completo. Un onore averlo visto indossare la maglia del mio Cagliari per tanti anni. Gli mando un abbraccio.

Unknown ha detto...

Ciao Silvio,sono Roberto Pizzotti. Ci siamo incontrati sul campo di calcio di Scalea e ci siamo fatti anche una foto. Quando venisti trasferito alla Juve, stavamo insieme all'ospedale Militare di Perugia. Un grande abbraccio!

gm daimon ha detto...

Io invece ero adolescente, con l'emozione fortissima che ci accompagna per la squadra del cuore a quell'eta', raggiunta quella incredibile finale di CdC in cui ( parliamoci chiaro- alla Collovati) sapevamo quasi certamente di perdere, beh, vedere quella prima palla scavalcare Zoff e poi piu' nulla..restammo di sasso; io non dissi neanche una parola,
quella rete ( Zoff disse" ma come ha colpito questo qua?" ) mezza fortunosa perche' Johnny Rep impatta quasi per caso senza indirizzare rese Longobucco famosissimo , non in positivo, e senz'altro si poteva annullare, verissimo che si appoggia..
Calcio d'altri tempi oggi sembra wrestling, rispetto egli avversari, se Longobucco avesse fatto ponte?
Perche' scrivo? ma perche' quei ricordi restano piu' stampati dei presenti si sa, ognuno e' figlio emotivo del suo tempo, Longobucco bravissimo ragazzo , famiglia abbiente, ottimo nel Cagliari ( una scheggia) e poi mi capita dopo qualche anno di avere una fidanzata co padre di Scalea, per cui..ihihi
Peccato restare nella memoria per un gol subito da nnullare
Pace e bene a tutti

Unknown ha detto...

Mio padre aveva una foto con lui a Spezzano della Sila, dove Longobucco è un cognome comune. Forse aveva origini di quel luogo. Non l'ho mai visto giocare ma ho sempre sentito i racconti dei miei parenti

Unknown ha detto...

Mio padre diceva che era un bravo giocatore ma che non era ben visto dai compagni di squadra essendo manesco