domenica 20 dicembre 2020

Carlo ANCELOTTI

 

MARCO ANSALDO, “LA STAMPA” DEL 10 FEBBRAIO 1999 
Lo hanno presentato in una stanza grande come un tinello, il massimo che può offrire la vecchia e inadeguata palazzina di piazza Crimea, di fronte all’obelisco sulla cui base una mano ignota aveva scritto il proprio benvenuto: «Ancelotti vattene». L’impatto del Carletto con la realtà dei prossimi due anni e mezzo non è stato sontuoso. In sintonia con la tristezza di queste giornate, non gli è stato riservato nemmeno il brindisi che accolse Maifredi. Sono dettagli. Come ha detto Moggi, presentando il nuovo allenatore, alla Juve «son finite le barzellette».
Lo avevamo capito. Neppure Lippi ha provato più la voglia di ridere. Così come non s’è rallegrato Ancelotti quando lunedì mattina lo hanno svegliato per dirgli di correre a Torino. «Per fortuna mi hanno permesso di dormire sereno domenica», ha spiegato il Carletto che è un uomo incapace di dichiarazioni esplosive ma possiede un filo di humour: l’incomodo gli frutterà un miliardo scarso da qui a luglio. Lai Juve ne recupererà la metà dal contratto di Lippi.
Sarà che lo frega quel faccione da eterno ragazzo corrucciato, sarà la parlata calma e strascicata, Ancelotti appare in ogni intervista più mollaccione delle cose che dice. Che sono puntuali, appropriate, persino pesanti. Come quando ha affrontato il problema dei rapporti con i tifosi senza rinnegare il passato. Oppure quando gli hanno chiesto se avesse consigliato Henry ed Esnaider: «Non è un problema chi li ha scelti», ha risposto, lasciando intendere di non coinvolgerlo nei due «rinforzi». Lui inciderà sui prossimi, magari da Claudio Lopez, l’attaccante argentino del Valencia che Ancelotti ha visionato sabato.
Nessun proclama, però idee chiare. Innanzitutto sugli obiettivi. «In campionato partiamo indietro, però in Coppa si comincia con tutte sullo 0-0, ce la possiamo fare».
Poi sul malessere della Juve. «Affronto un po’ in anticipo una situazione difficile, guai a pensare che i problemi si risolvano da un giorno all’altro. La Juve ne ha avuti una miriade, io cercherò di levarne qualcuno. Ma questa squadra in quattro anni ha fatto quanto non è riuscito a nessuno e non si disimpara in un attimo a giocare a calcio».
Insomma la Juve soffre di un calo psicologico. «Ho vissuto anch’io momenti difficili, che nel calcio sono più frequenti di quelli sereni. Lo stesso accade agli allenatori: sarebbe il mestiere più bello del mondo se non ci fosse la partita la domenica. Per me la vera gioia è stare in campo e vivere vicino ai problemi dei calciatori. Io credo nella discussione. Negli ultimi mesi mi è mancato il lavoro in campo. Dopo che mi sono ripulito dallo stress di Parma, era il momento di tornare».
Ancelotti ha insistito sul punto che la squadra non va rivoluzionata. «Sotto il profilo tattico – assicura – la Juve ha un atteggiamento che assomiglia molto al mio calcio. Non devo stravolgere niente. I giocatori stiano tranquilli perché li userò nel ruolo in cui si trovano meglio».
Anche Zidane? «Sì, avrà i compiti che aveva con Lippi, dietro le punte. L’ho sempre apprezzato perché è uno dei pochi fantasisti che può fare l’attaccante e il centrocampista. Sono contento di allenarlo».
Eppure lei fece scappare Zola dal Parma e non volle Baggio: come farà ad accettare un giocatore di quel tipo? «Zola se ne andò proprio perché non accettò di giocare nel ruolo che offro a Zidane: si sentiva ancora una punta e si mise in concorrenza con Crespo e Chiesa».
Su Roberto Baggio, glissiamo. E su Inzaghi, che lasciò andar via dal Parma? «C’è stato un grosso equivoco. Lui cercava una squadra che gli garantisse il posto da titolare, dopo quanto aveva fatto a Bergamo. Così ha scelto altre strade, è finito alla Juve e l’ho visto migliorare molto. Segna e gioca di più. Non ci sono problemi».
Il guaio, semmai, è che Inzaghi tornerà in squadra solo per la Champions League contro l’Olympiakos. O forse dopo. Da quanto si è capito, domenica, a Piacenza, Ancelotti apporterà poche modifiche: Birindelli e Mirkovic, se non si riprenderà Pessotto, giocheranno terzini. Davanti ci sarà Esnaider ma al suo fianco potrebbe trovarsi Henry, che nella Juve dell’anno prossimo farà il centrocampista esterno in alternativa a Zambrotta. «Non c’è molto tempo per provare, avrò tutti a disposizione soltanto da venerdì», spiega Carletto. Lo schema non sarà il 4-4-2 di scuola sacchiana proprio perché la presenza di Zidane lo impedisce. La Juve di Ancelotti si vedrà nella prossima stagione. Per ora lo si potrà giudicare solo dai risultati. «Ai quali spero di aggiungere un po’ di spettacolo».
Quanto peserà l’ombra di Lippi che se n’è andato? «L’ho incontrato la scorsa settimana a Viareggio, eravamo d’accordo di incontrarci più in là perché mi spiegasse qualcosa della Juve. Gli eventi ci hanno travolto ma vorrei comunque scambiare con lui quattro chiacchiere. La sua è un’eredità pesante. Spero di sfruttare il patrimonio che mi lascia».
Oltre alla squadra, Lippi gli lascerà la casa ma non i collaboratori. Da ieri, Pezzotti e Bordon sono sollevati dall’incarico, resteranno a disposizione fino a luglio quando passeranno all’Inter. Al loro posto arriveranno Ciaschini e Vecchi, che per problemi contrattuali non possono però cominciare subito il proprio lavoro: in questi mesi Ancelotti sarà perciò aiutato da Domenico Maggiora mentre si sta cercando nel settore giovanile un allenatore dei portieri.
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Accolto in modo non certo benevolo dai tifosi (celebre lo striscione “un maiale non può allenare” esposto al Delle Alpi) Carletto comincia la sua avventura in bianconero, che non sarà certamente fortunata. Eredita da Lippi una squadra in grande difficoltà e orfana di Del Piero. Qualche errore tattico, come schierare Henry esterno di centrocampo, del quale poi il tecnico emiliano si pentirà («Su Henry ho preso una cantonata: lo consideravo un giocatore di fascia, non mi sono accorto che era invece un fortissimo centravanti») e qualche giocatore non all’altezza di vestire la maglia bianconera, fanno sì che la squadra termini la tribolata stagione al 7° posto, perdendo lo spareggio-Uefa contro l’Udinese. In Coppa Campioni, la truppa bianconera viene eliminata in semifinale dal Manchester United.
«Al mio arrivo ho trovato una squadra sfiduciata dalla mancanza di risultati, però con grande voglia di riscattarsi. Una squadra soprattutto ferita nell’orgoglio. Dopo la vittoria col Piacenza ha trovato lo spunto per reagire e mi pare lo abbia fatto bene fino in fondo. Infatti, a eccezione dell’assurda gara persa a Empoli, dove anch’io ho fatto qualche errore, e del match di ritorno col Manchester, durante il quale abbiamo commesso qualche ingenuità, si è comportata in modo più che soddisfacente. Nonostante le difficoltà create da una serie di infortuni».
Non andrà meglio nei due anni successivi. La Juve arriverà per ben due volte seconda, con tanti rimpianti e tanta rabbia per gli scudetti perduti. Il primo nella “piscina” di Perugia e il secondo a causa del cambio in corsa delle regole sugli extra comunitari che favorirà spudoratamente la Roma di Capello. Tante delusioni anche in Europa: dopo la vittoria nell’Intertoto, sconfitta bruciate in Coppa Uefa contro il Celta Vigo (0-4) ed eliminazione ai gironi nella Coppa dei Campioni dell’anno successivo.
Da parte sua, ha il grande merito di “recuperare” Del Piero che tornerà protagonista negli anni successivi alla sua partenza. Ma anche qualche errore di gestione dei giocatori, a partire da Kovacevic e Trézéguet, sacrificati troppe volte sull’altare di Inzaghi. In effetti, la gestione dell’organico non fu il pezzo forte di Ancelotti nel suo biennio e mezzo a Torino.
Curioso il fatto che Carletto diventerà da “eterno secondo” a uno dei tecnici più vincenti della storia proprio contro la Juventus, col “suo” Milan, nella finale di Coppa dei Campioni del 2003. Ma questa è tutta un’altra storia.

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