Astro nascente del football inglese, paragonato a George Best, ad appena ventiquattro anni Peter Knowles lasciò il pallone per diventare Testimone di Geova. Non gli interessava più segnare goal ed esaltare i tifosi, ma solo incrementare i proseliti del culto.
Quelli che si rifiutano di indossare una maglia sponsorizzata da una società di scommesse sportive. Quelli che non digiunano e finiscono davanti al Parlamento con l’accusa di indegnità. Quelli che decidono di non firmare il prolungamento del contratto perché ormai la fine del mondo è vicina. Quelli che si presentano a un provino con il nome di Joseph Ratzinger. Quelli che chiedono una maglia da titolare perché «me lo ha detto Dio».
Quando calcio e religione si incontrano, nascono storie bizzarre ed imprevedibili. Talvolta sincere, alcune volte folcloristiche, altre ai confini del ridicolo. I casi di Frederic Kanouté, Dudu Aouate, Carlos Roa, Joseph Laumann e Taribo West rappresentano un perfetto esempio dei variegati effetti che può creare la commistione tra sacro e profano.
Ma c’è chi si è spinto oltre, abbandonando una carriera dalle brillanti prospettive per seguire la propria fede. Una scelta radicale che non ha mai conosciuto ripensamenti, né inversioni di marcia.
Accadde nel settembre del 1969 quando Peter Knowles, astro nascente del Wolverhampton e del calcio inglese, sconvolse il Paese annunciando, all’età di ventiquattro anni, il proprio ritiro dal calcio professionistico dopo essere diventato Testimone di Geova. Non gli interessava più segnare goal ed esaltare il pubblico, ma solo incrementare i proseliti del proprio culto.
Il 6 settembre 1969 Peter Knowles indossa per l’ultima volta la maglia arancio-nero del Wolverhampton. I “Lupi” pareggiano 3-3 in casa contro il Nottingham Forest, poi negli spogliatoi arriva l’annuncio shock. I1 talento più fulgido visto al Molyneux Stadium negli ultimi anni saluta tutti e se ne va.
I compagni di squadra più giovani pensano ad uno scherzo, mentre i veterani scuotono il capo: dategli tempo un mese e sarà di nuovo tra noi, dicono, perché un ragazzo così dotato non riuscirà a rimanere senza calcio tanto a lungo. Il tecnico Bill McGarry prende Knowles in disparte e lo invita a tornare sui propri passi; calcio e religione, del resto, possono convivere pacificamente. Fiato sprecato.
Nessuno aveva capito che le decisione presa dal giovane Peter era il frutto di un lungo e tortuoso percorso spirituale interiore intrapreso una sera di agosto dell’anno prima, quando due Testimoni di Geova avevano bussato alla sua porta.
«All’epoca», ricorda Knowles, «ero un credente distratto. Mi tormentavo domandandomi perché mio padre e due mie sorelle fossero morti così presto. Quegli uomini seppero darmi tutte le risposte. La mia vita cambiò completamente. Da quel giorno cominciai a studiare la Bibbia con mia moglie e gradualmente realizzai che il calcio rappresentava un elemento di disturbo. Mi soffocava, mi rubava del tempo. I tifosi mi adoravano e non lo trovavo giusto. Non potevo permettermi di essere oggetto di un simile culto della persona. La Bibbia dice che nessuno è più grande di Dio».
Peter Knowles era soprannominato il George Best di Wolverhampton. Le movenze, la tecnica, il dribbling e certi improvvisi cambi di direzione rendevano naturale un paragone con il fuoriclasse del Manchester United, sebbene Knowles non possedeva la genialità dell’asso nordirlandese, ma fortunatamente nemmeno l’amore per gli eccessi, alcol e donne su tutti.
Nato il 30 settembre 1945 a Fitzwilliam, piccolo villaggio a sud est di Leeds, da una famiglia di minatori, a quindici anni Knowles entra a far parte del Wath Wanderers, la scuola calcio istituita dal Wolverhampton. Il manager dei “Wolves”, Stan Cullis, lo aveva visionato durante un torneo scolastico locale, nel quale Peter aveva furoreggiato grazie a qualità tecniche nettamente superiori ai coetanei.
All’epoca il Wolverhampton era uno dei grandi club d’Inghilterra, forte di 3 titoli nazionali vinti negli ultimi otto anni (1954, 1958, 1959). Nella stagione 1961/62 le sue giocate guidano i “Lupi” fino alla finale della FA Youth Cup, persa dopo un replay contro il Newcastle. Nell’estate del 1963 viene aggregato stabilmente alla prima squadra, in partenza per una tournée attraverso Canada e Stati Uniti.
Il 14 ottobre dello stesso anno arriva, contro il Leicester City, il debutto nella massima divisione inglese. Knowles sostituisce il suo idolo di gioventù, il nazionale inglese Peter Broadbent. Otto mesi dopo è invece protagonista con la maglia dell’Inghilterra Under 18 in un torneo giovanile in Olanda, vinto proprio dagli inglesi. Nella finale contro la Spagna, umiliata 4-0, Knowles realizza quello che ha sempre definito il goal più bello della sua carriera, una botta da 30 metri che si infila sotto l’incrocio dei pali.
Per il Wolverhampton, però, la prima metà degli anni Sessanta coincide con una crisi societaria, che inevitabilmente si riflette in campo. Al termine della stagione 1964/65 la squadra retrocede, con Knowles spesso relegato in panchina perché il suo calcio era ritenuto troppo artistico per una compagine che doveva invece usare la clava per salvarsi.
Una pregiudiziale che cade in Seconda Divisione, dove il ragazzo viene lasciato libero di inventare, sia decentrato sulla sinistra in qualità di ala, sia sulla mediana alle spalle degli attaccanti. Il primo anno va a segno 19 volte in 31 partite, mentre nel secondo un infortunio lo ferma a 8 centri in 23 incontri. Ma i “Wolves” riescono a riconquistare la massima divisione. Knowles si regala una Triumph Spitfire rossa con la quale gira per la città a godersi il bagno di folla.
A ventuno anni lo aspetta di nuovo la First Division ed un sogno: disputare un’ottima stagione per potersi guadagnare il trasferimento in un grande club di Londra. Il 1° novembre 1967 debutta da protagonista nell’Under 23 inglese, che batte 2-1 il Galles a Swansea. Chiude la stagione in doppia cifra (12 goal in 36 partite) ed accetta di prolungare il contratto con il Wolverhampton. La sua casa, dichiara. Due mesi dopo, niente sarà più come prima.
La stagione 1968/69, l’ultima disputata per intero, consegna ai “Wolves” un Knowles molto diverso: serio, introverso, turbato. Il 13 novembre 1968 a Birmingham va in scena il suo atto finale con la maglia della nazionale inglese. L’Under 23 pareggia 2-2 contro i pari età dell’Olanda; Knowles esce dal campo tra gli applausi. Era la sua presenza numero 4.
L’estate successiva, dopo un’amichevole contro l’Ipswich Town, viene convocato dal Commissario Tecnico Alf Ramsey per un colloquio. Bisogna iniziare a programmare il Mondiale messicano del 1970, dove l’Inghilterra si presenterà come campione uscente. Ramsey vuole inserirlo nel giro della Nazionale maggiore. La risposta lo lascia a bocca aperta: «Esistono forti probabilità che io a breve smetta di giocare a pallone».
Il calcio, a Peter Knowles, non interessa più. Poco dopo arriverà l’annuncio ufficiale. La carriera di Knowles si chiude con un bottino di 61 reti in 174 partite. L’ormai ex giocatore rimane sotto contratto con il Wolverhampton fino al luglio del 1982, nella speranza di un ripensamento che non avverrà mai. La sua nuova vita lo porterà a un impiego part-time per consegnare il latte nelle scuole, a dieci anni di attività nell’ufficio commerciale della catena di grandi magazzini Marks & Spencer, e soprattutto a centinaia di domeniche spese a suonare i campanelli degli inglesi.
Nel 1991, il folk singer Billy Bragg gli ha dedicato una canzone dal titolo “God’s Footballer”, il calciatore di Dio.
2 commenti:
Un uomo che ha saputo dire no a ricchezza e fama per qualcosa di più vero. Bravo
Proprio così! Grazie del commento!
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