giovedì 14 giugno 2012

ASTON VILLA - JUVENTUS

VLADIMIRO CAMINITI, “HURRÀ JUVENTUS” NOVEMBRE 1992:
Per spiegare al lettore giovane, lo spessore calcistico di Birmingham, riferirò uno stralcio della “Storia del calcio” di Luciano Serra, un testo rarissimo del 1964, pubblicato a Bologna dalla Libreria Antiquaria Palmaverde. Scrive Serra: «Nel 1898 è introdotta l’usanza della promozione e della retrocessione automatiche tra le due divisioni esistenti, sostituendola alla qualificazione diretta, tra le due ultime classificate della massima, e le prime due della seconda, in atto nel 1893. Nel 1899, i Rangers di Glasgow concludono il campionato scozzese senza sconfitte. La folla al Crystal Palace, nuovo teatro delle finali della Coppa inglese, aumenta dalle 42.560 persone del 1895 (l’anno in cui il piccolo idolo di latta fu rubato ad un fabbricante e negoziante di articoli sportivi di Birmingham, che aveva ottenuto dall’Aston Villa di poterlo esporre nella sua vetrina) alle 78.833 del 1889. I primi 100.000 spettatori si avranno nel 1901. Tre grandi calciatori emergono, oltre a Burgess Fry e Smith, dal 1893: Needham ed i fuoriclasse dalla lunga carriera, Bloomer e Meredith».

A Birmingham batte il cuore profondo del calcio. Il calcio inglese vi ha fermato le lancette del tempo. Uno sconfinato amore di popolo significa la parola football. Vittorio Pozzo è stato un grande innamorato e studioso del calcio inglese. Giampiero Boniperti è legato da fortissimi ricordi al calcio inglese. Il calcio inglese ha la tradizione più pura e più forte. Inglese quell’ala immortale che continua a dribblare di nome Matthews, Stanley Matthews, il baronetto che a cinquant’anni giocava ancora.
Mi rivedo con l’indimenticabile Gigetto Peronace, che soprannominai il calabro ridente, al primo Torneo Italo-inglese, dieci giorni che trascorsi nell’isola del calcio, impratichendomi di usi e costumi, sempre esultante di entrare in quegli stadi di legno cigolante, puliti come santuari, con l’immancabile stanza per il the.
Ed ora basta. Leggiamo la calda prosa di Ezio De Cesari: «Fu una partita straordinaria, la ricordo bene anche a nove anni di distanza, rimasi incantato da quella Juve così forte, determinata, a tratti spavalda, capace di vincere per la prima volta nella sua lunga storia internazionale in Inghilterra.
Il Villa Park, lo stadio dell’Aston Villa, che era all’epoca Campione d’Europa in carica, ammutolì di fronte alla forza tecnica, ma anche agonistica, della Juve, Platini e Boniek fecero sconquassi, il francese spedì in goal con un lancio perfetto il polacco e fu il goal del trionfo, realizzato a 9 minuti dalla fine. Il colpo del kappao che spalancò alla squadra di Trapattoni le porte della semifinale».
«Ma la Juve», continua De Cesari, «aveva già inferto una botta tremenda agli inglesi in avvio, con Paolo Rossi che fece goal dopo un minuto e dieci secondi. La Juve gestì il vantaggio, sfiorò il raddoppio in contropiede, incassò l’1-1 segnato da Cowans all’inizio della ripresa, seppe resistere al ritorno dell’Aston Villa ed infine piazzò la stoccata decisiva. Un match capolavoro, uno dei tanti di quella Coppa Campioni che avrebbe meritato di conquistare per la qualità del calcio prodotto e che invece perse nella finale di Atene ad opera dell’Amburgo di Happel. Quella Juve aveva tutto: una difesa formidabile, con Zoff eroico come i tempi del Mondiale vinto pochi mesi prima, Gentile e Cabrini terzini laterali, Brio e Scirea coppia centrale (Brio fu a suo agio sui cross degli avversari anticipando sistematicamente il suo diretto avversario, il poderoso centravanti Peter Withe), Bonini, Tardelli, Platini e Boniek a centrocampo (Furino era già finito in panchina), Rossi e Bettega punte. Bellissimi gli interscambi tra Bettega e Boniek, con la torre che arretrava aprendo spazi enormi per il polacco, bizzarro quanto si vuole ma di efficacia terrificante in contropiede. Una squadra completa, capace di entusiasmare, di dare spettacolo anche all’estero, tradita sul più bello soltanto da sé stessa dopo essersi presentata imbattuta (5 vittorie e 3 pareggi) alla finalissima di Atene. Una squadra di sogno, quella notte a Birmingham. Una squadra che Boniperti e Trapattoni avevano voluto e preparato con cura, sacrificando persino un campione dal rendimento garantito come l’irlandese Liam Brady. Ma Platini dimostrò proprio in quell’occasione chiave tutto il suo valore di fuoriclasse che l’ha portato a vincere tre Palloni d’oro consecutivi, unico nella storia del premio. Eppure quella Juve non vinse neanche lo scudetto che andò difatti alla Roma, e fu quasi costretta ad accontentarsi della Coppa Italia, strappata al Verona un mese dopo la dura sconfitta di Atene. Fu una dimostrazione di eccellente carattere, che gettò le premesse per la Juve successiva, quella che nel 1983/84 fu capace di centrare l’accoppiata scudetto e Coppa delle Coppe in attesa di rituffarsi nella caccia della Coppa dei Campioni. Platini fu a Birmingham il sublime ispiratore della vittoria, Rossi e Boniek le armi taglienti della squadra, ma sarebbe ingeneroso dimenticare tutti gli altri grandi protagonisti di quell’exploit rimasto memorabile.
Ricordo Bettega, protagonista di una splendida prova a tutto campo (attaccante, mezzala, mediano, all’occorrenza persino difensore): sul mio giornale gli assegnai il voto più alto 8, contro il 7,5 a Michel ed a Rossi ed a Brio, insuperabile sui palloni alti».
La Juventus vincerà anche il match di ritorno, la sera del 16 marzo, a Torino naturalmente. Con un 3-1 squillante, arbitro l’olandese Keizer: Zoff; Gentile e Cabrini; Bonini, Brio e Scirea; Bettega, Tardelli, Rossi, Platini e Boniek.
E loro con: Spink; Williams e Gibson; Mortimer, Bremner e McNaught; Blair, Shaw, Withe, Cowans e Morley.

1 commento:

Anonimo ha detto...

c'è un errore nel primo grassetto, 1889 mentre credo sia 1899...grazie per tramandare queste storie!