venerdì 29 dicembre 2023

Nestor COMBIN


La sua faccia da “indio” tristissima – scrive Lino Cascioli, su “Il calcio e il ciclismo illustrato” del 25 aprile 1965 – la sua pelle, i suoi capelli lisci, neri come la lava che da secoli s’è rappresa alle falde della catena andina. Quel suo fisico poderoso, che tradotto in termini concreti, col sostegno dello stile, gli avevano fruttato una non facile fama di goleador. Un giorno, in Francia, un giornale scrisse di lui: «È capace dei più brillanti exploits individuali. Fa pensare ad un puledro selvaggio lanciato in un rodeo, tanto è veemente la sua foga, la sua sete di spazio e di gol».
Nestor Combin, detto la Foudre, la folgore, arriva dalla Francia nell’estate del 1964 accompagnato da giudizi estremamente lusinghieri. Valanghe di goal portano la sua firma nel campionato dei Galletti, la sua forza fisica sembra fatta apposta per scardinare le difese catenacciare del nostro campionato.
I tifosi bianconeri cominciano a sperare. A Ferragosto, sul campetto di Villar, Nestor fa una grandissima impressione un po’ a tutti, si presenta con finte di corpo e fughe repentine sorrette da una potenza invidiabile.
I giornali commentano: «Combin ha un fisico che sa farsi rispettare in area avversaria, non teme la lotta e i contatti con l’avversario, va dentro senza esitazione ed è in continuo movimento, sempre alla ricerca dello smarcamento».
Sembra l’uomo goal ideale, è centravanti vero dopo una caterva di mezze punte schierate all’attacco per mancanza di meglio. Nestor comincia appena ad ambientarsi, che già tutti gli occhi sono puntati su di lui: a Messina, prima di campionato, caldo afoso e tifo come a Piedigrotta, la Juventus va a singhiozzo. Bene la difesa e il centrocampo, dove Del Sol corre per quattro. Maluccio l’attacco, che non segna e, ancor più grave, non lega con Combin. Il francese non gioca male, ma tanta era l’attesa, che il non vederlo subito protagonista basta per esser già delusi.
«In Italia – dice – si gioca mica per segnare. Si gioca per trovare gli spazi entro cui intrufolarsi per poi poter segnare. È tutto più difficile, ma io lo sapevo. Non credevo però che fosse così difficile. Non credevo che i difensori si preoccupassero tanto di rispettare certi schemi, certe consegne».
La verifica sette giorni dopo al Comunale non è più rassicurante; il Cagliari contiene con disinvoltura una Juventus che non punge. Nestor crea qualche occasione e poi si spegne, tagliandosi fuori dalla lotta. Il malumore comincia a serpeggiare e, per di più, il colosso di Ferragosto, che grande e grosso com’è lo diresti capace di spaccare tutto, si fa male alla prima entrata decisa del suo marcatore.
Sfortuna, naturalmente, e che per i bianconeri sia un anno disgraziato lo dimostra l’infortunio ancor più grave, che blocca capitan Sivori alla quarta giornata: Juventus-Mantova 1-0, Zoff entra su Omar che cade male, rompendosi una costola.
Combin si riprende abbastanza presto dall’infortunio e una bella domenica, alla folla che riempie Marassi, fa vedere che ci sa fare e che la Foudre non è un soprannome casuale; la Juventus batte il Genoa e le cose per lui e per la squadra vanno subito meglio.
Heriberto scopre che Nestor ha pure una discreta castagna dal dischetto e, da allora, i rigori sono tutti suoi; certo, non è come segnare su azione, ma bisogna accontentarsi e poi Combin i rigori li sa tirare davvero bene, altro che storie. Il goal dagli undici metri che chiude il conto con la Sampdoria, spegne i fischi dei tifosi all’indirizzo della squadra che gioca male.
In questo modo è difficile vincere lo scudetto, però di punti se ne fanno tanti, sicché quando al Comunale scende il Milan capolista, tutti guardano alla zebra che incalza e che potrebbe fare il miracolo. Grossa partita, la Juventus supera se stessa e Combin manda in estasi i 70.000 spettatori con un goal semplicemente favoloso. Ma il Milan è forte, perderà lo scudetto nel derby con l’Inter mondiale, ma non perde questa partita. Finisce 2-2; contenti tutti, contentissimo Combin che, finalmente, ha messo d’accordo sostenitori e denigratori con una prestazione maiuscola.
«Quello che mi preoccupava nei primi giorni era quello che la gente, che la stampa potesse dire di me. Ero costato un occhio. Venivo in una grande squadra. Soprattutto venivo nella squadra di Sivori, che dalle mie parti è qualcosa più di che un giocatore di calcio. Venivo in una squadra che aspettava il mio arrivo per iniziare una politica di rilancio. Io sapevo fare dei gol, ma poter segnare dei gol dipende da tante cose. Anche dagli avversari, ad esempio. Ed io sapevo di trovare in Italia difensori affinati, sapevo di venire nella terra del difensivismo dove chi vuole segnare dei gol viene guardato come una bestia rara».
E la Juventus continua per la sua strada, che è piena di problemi, ma anche di soddisfazioni; il girone di andata finisce alla grande, battuti Foggia e Varese con Nestor sempre primo attore. Proprio mentre la Juventus heribertiana cresce nel “movimiento”, Combin torna nell’ombra; a Cagliari l’argentino si fa di nuovo male e stavolta è un guaio serio: perone rotto, cioè mesi lontano dai terreni di gioco e un lungo inverno in solitudine. Al suo posto ecco il sorprendente Da Costa, che, ultratrentenne, sa ancora farsi valere nelle aree affollate.
Di Combin si torna a parlare in primavera: rientra un mercoledì pomeriggio, in Coppa Italia e ce la mette tutta, lottando più contro la sfortuna che contro il Lecco. Segna un goal bellissimo, che ripete la domenica successiva in campionato, all’Olimpico contro la Lazio: scarta anche il portiere, sta bene ed ha una terribile fretta di dimostrare quanto vale, ma la stagione volge al termine.
«Ora, a tanti mesi di distanza dal mio esordio tristissimo, sento già che sto cominciando a capire. Rompere il muro non si può, sbatterci la testa contro neppure. È il gioco di squadra che garantisce il successo. È necessario il sapersi creare spazi liberi, avere al fianco compagni capaci di crearteli. Contro la Lazio, ho segnato un gol come ai vecchi tempi, come quando giocavo nel Lione, ma solo perché la situazione era tale che m’ha consentito di tuffarmi in uno spazio vuoto. Nessuna difesa è insuperabile. In Italia i muscoli e lo stile non bastano, ci vuole anche il cervello, ci vuole anche il movimento. Se oggi, forte dell’esperienza italiana, tornassi in Francia, segnerei tre gol a partita, parola di Combin».
C’è un ultimo grande appuntamento internazionale, la Coppa delle Fiere; la Juventus è arrivata sino in semifinale, dove affronta l’Atletico Madrid. Sconfitta all’andata in terra spagnola e vittoria a Torino con lo stesse punteggio, 3-1. Combin gioca una grande partita al Comunale e dei tre goal il più bello è il suo. Vinceranno anche lo spareggio, i bianconeri, ma in finale si arrenderanno al Ferencváros di Albert e, stavolta, non c’è Combin che tenga.
Tra malanni e contrattempi di altro genere, Nestor chiude la stagione senza aver potuto dire quel che voleva e sapeva.
Il centravanti arrivato all’improvviso dalla Francia carico di onori e di responsabilità se ne riparte altrettanto all’improvviso, destinazione Varese, dove avrà il tempo e la calma necessaria per rinascere. E a Torino lo rivedremo solo come avversario.

VLADIMIRO CAMINITI
Un talento selvaggio e un destro belluino. Così ricordo Nestor Combin nella Juventus. Non aveva molto da dire, però lo diceva, soprattutto aspirava a libertà continue, sfrenate, assolute, questo irsuto compare cavallino che, da Las Rosas, Boniperti aveva fatto arrivare alla Juventus nell’estate 1964.
Giorni estremamente formativi del nuovo Boniperti, il manager che di lì a qualche anno sarebbe stato. Tuttavia, anche Combin avrebbe fallito alla Juventus, proprio in riferimento alla sua natura selvatica, per la scarsa aderenza al copione, l’incapacità a riflettere in campo, l’insofferenza negli allenamenti.
Selvaggio e orgoglioso, irriducibile a uno schema corale, meglio sarebbe andato al Torino, così da legare il suo nome a un derby di consacrazione e rimpianto (tre goal tuonati nel sacco di Colombo, in memoria dell’infelice beat Meroni), e poi nel Milan, così da laurearsi, anche lui, campione intercontinentale.
In linea tecnica, si può dire che poco gli facesse difetto per essere un centravanti dirompente; cioè un vero centrattacco; scatto, palleggio morbido e vivezza di stile in tutto, così da esprimere indimenticabili saggi di precisione e potenza. Però, discontinuo, mai votato al gioco di squadra e inquietamente egoista.
Insomma, un diavolo di zingaro peloso e smorfioso, mai troppo serio, mai troppo dentro la professione, aggirantesi nottetempo, perdigiorno.

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