Quando un tifoso del Milan sente parlare di Verona, ancora adesso si mette le mani in viso in segno di disperazione, alza gli occhi al cielo e sospira: «Che beffa!». Sì, perché Verona, per i tifosi del Milan equivale alla grande beffa.
20 maggio 1973, ultima giornata di campionato. Il Milan è in testa alla classifica con 44 punti; seguono ad un punto la Juventus e la Lazio. Per uno strano gioco del calendario, tutte e tre le squadre sono impegnate in trasferta: il Milan a Verona, la Juventus a Roma contro i giallorossi e la Lazio a Napoli. Tre incontri di uguali difficoltà, ma i rossoneri sono favoriti per lo scudetto, in virtù di quel punticino di vantaggio. I giocatori ed i tifosi sono convintissimi di farcela, questi ultimi hanno già preparato le bandiere con ricamati lo scudetto e la stella, vale a dire la decima vittoria in campionato che consente, appunto, di fregiarsi di questa particolare mostrina da applicare sulle magliette.
Ambiente gasato e concentrato al massimo. L’allenatore è Nereo Rocco, l’indimenticabile Paròn, il presidente Albino Buticchi, il regista in campo Gianni Rivera: tre nomi che appartengono al mito del Milan. Tutto è pronto, dunque, ma c’è di mezzo un piccolo intoppo: in attesa della giornata decisiva del campionato il Milan ha un altro prestigioso appuntamento da onorare, deve recarsi in Grecia, a Salonicco, a disputare la finalissima della Coppa delle Coppe, il giorno 16, mercoledì.
Una partita della quale il Milan avrebbe fatto a meno, ma che, comunque, vuole onorare secondo tradizione: l’avversario è il Leeds, una squadra inglese che, come tutte le squadre inglesi, corre per novanta minuti e ti costringe ad uscire dal campo esausto, senza fiato. Il Milan, comunque, non trema: segna, in apertura di partita con Chiarugi, il goal dell’1-0, poi si chiude in difesa e resiste agli assalti del Leeds.
È una partita emozionante: gli inglesi attaccano da tutte le parti, fanno cross, tirano, ma la difesa rossonera è imperforabile. Ed anche quando Rosato e soci sono superati, c’è William Vecchi in porta che para tutto: il giovane portiere, che quell’anno aveva sostituito Fabio Cudicini, arresosi all’età, diventa una saracinesca umana. Ma il catenaccio rossonero, però, non è solamente una tattica, ma la conseguenza del totale sfinimento dei giocatori milanisti, incapaci fisicamente di opporsi agli inglesi.
Comunque, il Milan vince la Coppa delle Coppe; negli spogliatoi Rocco impedisce che si festeggi e che si stappi lo champagne. «Ne riparleremo dopo Verona», ammonisce il Paròn.
In realtà, Rocco è molto preoccupato: da grande esperto quale è si rende conto che i suoi uomini sono scoppiati, oramai in riserva di energie, dopo dieci mesi di attività. Rivera ha il viso più affilato del solito, Chiarugi sembra stralunato e Bigon non sta certo meglio di lui. Per fortuna tengono botta i panzer: Benetti, Sogliano ed Anquilletti, ma basteranno per vincere lo scudetto?
Nereo Rocco cerca di rimediare a questa brutta situazione: appena tornato in Italia avvicina i suoi dirigenti e spiega come sia di vitale importanza fare tutto il possibile per rinviare, almeno di ventiquattro ore, l’ultima giornata di campionato. Il regolamento lo consente, considerato che è già stata fatta una cosa simile nei confronti dell’Inter nel 1967 quando, essendo impegnata a Lisbona per la finale della Coppa dei Campioni contro il Celtic, ottenne che l’ultima giornata di campionato fosse spostata, addirittura, di quattro giorni.
I dirigenti del Milan, però, non sono d’accordo: c’è chi dice che è poco dignitoso per una squadra gloriosa come il Milan, c’è chi dice che oramai è troppo tardi ed addirittura c’è chi fa ricorso alla superstizione. «È vero, l’Inter nel 1967 aveva ottenuto il rinvio, ma portò sfortuna, perché fu beffata a Mantova e lo scudetto finì alla Juventus. Vogliamo fare la stessa fine?»
Rocco s’infuria, cerca di far capire quale è la situazione fisica reale della squadra, ma nessuno gli crede. La vittoria sul Leeds fa pensare che al Milan sia tutto possibile, la stella arriverà, a fatica, ma arriverà. Rocco deve arrendersi: torna in ritiro e davanti ai ragazzi finge sicurezza ed ottimismo. Ma, ci sono altri due problemi che lo preoccupano.
Il primo è personale; il Paròn, infatti, è squalificato e non potrà andare in panchina nella partita più delicata ed importante dell’anno. La cosa lo disturba moltissimo, perché è vero che i suoi sono giocatori con tanta esperienza dovuta a mille battaglie, ma questa non è una partita come le altre e può essere decisa anche da un gesto, un ordine, un urlo dalla panchina. Il suo posto in panchina sarà preso da Giovanni Trapattoni ed è molto singolare che, in questa sfida a distanza tra Milan e Juventus, il Trap sia sulla panchina perdente.
L’altro problema è costituito dalle pessime condizioni fisiche di Schnellinger: il fortissimo difensore tedesco lamenta una contrattura alla coscia e Rocco dispera di poterlo recuperare in tempo. Avrebbe fatto comodo avere un giorno in più di tempo, come richiesto dall’allenatore, infatti, Schnellinger non potrà prendere parte alla beffa di Verona. Un ultimo disperato provino effettuato quattro ore prima della partita risulterà negativo e, nel ruolo di libero, giocherà Ramon Turone.
E siamo alla fatidica giornata del 20 maggio 1973. Il Milan, come abbiamo già detto, ha un punto in più delle due inseguitrici e potrebbe anche accontentarsi di un pareggio per arrivare, come minimo, ad uno spareggio per lo scudetto. Un punto andrebbe bene anche ai gialloblu e, quindi, l’impresa non sembra poi tanto difficile, considerato che il Verona non ha particolari stimoli di classifica.
Al fischio d’inizio dell’arbitro Monti di Ancona, accade l’incredibile: undici uomini, in maglia gialloblu, cominciano a correre dietro al pallone e gli altri undici, con la maglia rossonera, restano fermi a guardare. Il Verona gioca, il Milan è fermo, impietrito: è un disastro, una vera Waterloo. Avanza il terzino Sirena, tira e segna, avanza Luppi, il centravanti scaligero, tira e Sabadini devia nella propria porta, avanza Bergamaschi, fa un tunnel a Turone, crossa e Luppi segna ancora. Sono passati solo 29 minuti ed il Milan perde già 3-0.
Il pubblico di Verona è in visibilio, non crede ai propri occhi, la loro squadra sembra il Real Madrid dei tempi d’oro, il Milan sta affrontando la partita come se fosse una sfida fra scapoli ed ammogliati.
Rocco è attonito in tribuna, incapace persino di imprecare; Trapattoni cerca di scuotere i suoi vecchi compagni, ma è come parlare ad un muro: sono tutti senza forze, svuotati nella testa e nei muscoli. C’è una reazione, una frustata, l’orgogliosissimo Rosato riduce le distanze ed è il 3-1.
Fine del primo tempo. Rocco si precipita negli spogliatoi, cerca di salvare il salvabile, dice che almeno al pareggio si può ancora arrivare, strapazza tutti quanti, cerca di essere il più convincente possibile, ma quando le squadre rientrano in campo è ancora il Verona ad andare in goal due volte, prima con Luppi poi con un’altra autorete rossonera, stavolta di Turone. Il Milan segna due volte nel finale con Sabadini e Bigon ma sono reti inutili. Finisce 5-3 per i padroni di casa ed i rossoneri escono dal campo a testa china.
Ma lo scudetto non è ancora perduto. Lazio e Juventus stanno pareggiando: i biancoazzurri di Chinaglia sono 0-0, i bianconeri 1-1. A questo punto le tre squadre sono tutte a 44 punti e ci vorrà un maxi spareggio per decidere la squadra vincitrice del campionato. Questo pensano i tifosi ed i giocatori del Milan, ancora a bordo campo con le orecchie incollate alle radioline; tutti, tranne il Paròn. Lui sa che difficilmente una squadra come la Juventus si sarebbe fatta scappare quell’occasione. Magari in altri tempi senza informazione, gli juventini sarebbero entrati in campo demotivati, frenati dall’improbabilità di quel sorpasso. Ma adesso, non appena “Tutto il calcio minuto per minuto” avesse rivelato loro quello che stava accadendo a Verona, avrebbero moltiplicato le loro forze per uscire vincitori. E così andarono le cose.
Sugli altri due campi, mancano ancora due minuti alla fine e la beffa sta per consumarsi. La prima notizia arriva da Napoli: i partenopei sono passati in vantaggio con Damiani all’89’ minuto. La Lazio è anch’essa beffata e tagliata fuori dalla corsa al titolo. Rimane la Juventus: passata in svantaggio per un goal del romanista Spadoni, la squadra bianconera ha raggiunto il pareggio con il solito Altafini, entrato in campo nel secondo tempo al posto di Haller.
Ed ecco, a due minuti dalla fine, il secondo gracchiare della radio. «Attenzione, attenzione! La Juventus è passata in vantaggio! Bolide da fuori area di Cuccureddu che ha piegato le mani al portiere giallorosso Ginulfi! La Juventus è Campione d’Italia!»
Nel silenzio irreale dello stadio Bentegodi, con i tifosi rossoneri che piangevano sugli spalti, Rocco abbassa il testone e non piange soltanto perché è troppo vecchio e finto burbero per poterlo fare. Il primo che tenta di consolarlo è proprio l’allenatore del Verona, Giancarlo Cadè. Sei anni prima, in quel famoso campionato 1966/67, era l’allenatore di quel Mantova che proprio all’ultima giornata aveva tolto lo scudetto all’Inter, con la clamorosa “papera” di Sarti su tiro di Di Giacomo, regalandolo alla Juventus. Sembra quasi un segno del destino, ma Rocco ha calcato troppi campi calcistici per potersela prendere con Cadè.
Esordisce in sala stampa con una frase ad effetto: «Se cercate i cadaveri, sono di là», indicando gli spogliatoi. Ma era lui che aveva la morte nel cuore, consapevole che da quei ragazzi non avrebbe ottenuto più niente; molti erano troppo avanti con l’età e gli altri troppo acerbi.
Capì che il suo secondo ciclo al Milan si esauriva in quello stadio e, con esso, la sua carriera; carriera così legata ai colori rossoneri da immaginarsi su un’altra panchina. Erano saliti alla ribalta allenatori giovani, rampanti, ambiziosi; uno lo aveva definito vecchio, facendolo infuriare.
Ma forse, quel giovane aveva ragione; il suo mondo del calcio, quello nel quale era cresciuto ed in cui credeva, stava tramontando. Lo sentiva e lo vedeva ogni giorno, nelle facce di persone che circolavano in società, gestendo un potere sempre maggiore; i direttori tecnici, quelli delle relazioni pubbliche, i dirigenti invadenti ed ansiosi di mettersi in mostra. Quanti “mona”, pensava.
Due ore dopo la sconfitta, ancora chiuso nello spogliatoio, sussurra: «Sapevo che sarebbe finita così, per questo avevo chiesto il rinvio della partita. Ma una manica di dilettanti non mi ha creduto!»
A chi si riferiva e chi erano i dilettanti? È un segreto che il Paròn si è portato sui campi di calcio del paradiso.
20 maggio 1973, ultima giornata di campionato. Il Milan è in testa alla classifica con 44 punti; seguono ad un punto la Juventus e la Lazio. Per uno strano gioco del calendario, tutte e tre le squadre sono impegnate in trasferta: il Milan a Verona, la Juventus a Roma contro i giallorossi e la Lazio a Napoli. Tre incontri di uguali difficoltà, ma i rossoneri sono favoriti per lo scudetto, in virtù di quel punticino di vantaggio. I giocatori ed i tifosi sono convintissimi di farcela, questi ultimi hanno già preparato le bandiere con ricamati lo scudetto e la stella, vale a dire la decima vittoria in campionato che consente, appunto, di fregiarsi di questa particolare mostrina da applicare sulle magliette.
Ambiente gasato e concentrato al massimo. L’allenatore è Nereo Rocco, l’indimenticabile Paròn, il presidente Albino Buticchi, il regista in campo Gianni Rivera: tre nomi che appartengono al mito del Milan. Tutto è pronto, dunque, ma c’è di mezzo un piccolo intoppo: in attesa della giornata decisiva del campionato il Milan ha un altro prestigioso appuntamento da onorare, deve recarsi in Grecia, a Salonicco, a disputare la finalissima della Coppa delle Coppe, il giorno 16, mercoledì.
Una partita della quale il Milan avrebbe fatto a meno, ma che, comunque, vuole onorare secondo tradizione: l’avversario è il Leeds, una squadra inglese che, come tutte le squadre inglesi, corre per novanta minuti e ti costringe ad uscire dal campo esausto, senza fiato. Il Milan, comunque, non trema: segna, in apertura di partita con Chiarugi, il goal dell’1-0, poi si chiude in difesa e resiste agli assalti del Leeds.
È una partita emozionante: gli inglesi attaccano da tutte le parti, fanno cross, tirano, ma la difesa rossonera è imperforabile. Ed anche quando Rosato e soci sono superati, c’è William Vecchi in porta che para tutto: il giovane portiere, che quell’anno aveva sostituito Fabio Cudicini, arresosi all’età, diventa una saracinesca umana. Ma il catenaccio rossonero, però, non è solamente una tattica, ma la conseguenza del totale sfinimento dei giocatori milanisti, incapaci fisicamente di opporsi agli inglesi.
Comunque, il Milan vince la Coppa delle Coppe; negli spogliatoi Rocco impedisce che si festeggi e che si stappi lo champagne. «Ne riparleremo dopo Verona», ammonisce il Paròn.
In realtà, Rocco è molto preoccupato: da grande esperto quale è si rende conto che i suoi uomini sono scoppiati, oramai in riserva di energie, dopo dieci mesi di attività. Rivera ha il viso più affilato del solito, Chiarugi sembra stralunato e Bigon non sta certo meglio di lui. Per fortuna tengono botta i panzer: Benetti, Sogliano ed Anquilletti, ma basteranno per vincere lo scudetto?
Nereo Rocco cerca di rimediare a questa brutta situazione: appena tornato in Italia avvicina i suoi dirigenti e spiega come sia di vitale importanza fare tutto il possibile per rinviare, almeno di ventiquattro ore, l’ultima giornata di campionato. Il regolamento lo consente, considerato che è già stata fatta una cosa simile nei confronti dell’Inter nel 1967 quando, essendo impegnata a Lisbona per la finale della Coppa dei Campioni contro il Celtic, ottenne che l’ultima giornata di campionato fosse spostata, addirittura, di quattro giorni.
I dirigenti del Milan, però, non sono d’accordo: c’è chi dice che è poco dignitoso per una squadra gloriosa come il Milan, c’è chi dice che oramai è troppo tardi ed addirittura c’è chi fa ricorso alla superstizione. «È vero, l’Inter nel 1967 aveva ottenuto il rinvio, ma portò sfortuna, perché fu beffata a Mantova e lo scudetto finì alla Juventus. Vogliamo fare la stessa fine?»
Rocco s’infuria, cerca di far capire quale è la situazione fisica reale della squadra, ma nessuno gli crede. La vittoria sul Leeds fa pensare che al Milan sia tutto possibile, la stella arriverà, a fatica, ma arriverà. Rocco deve arrendersi: torna in ritiro e davanti ai ragazzi finge sicurezza ed ottimismo. Ma, ci sono altri due problemi che lo preoccupano.
Il primo è personale; il Paròn, infatti, è squalificato e non potrà andare in panchina nella partita più delicata ed importante dell’anno. La cosa lo disturba moltissimo, perché è vero che i suoi sono giocatori con tanta esperienza dovuta a mille battaglie, ma questa non è una partita come le altre e può essere decisa anche da un gesto, un ordine, un urlo dalla panchina. Il suo posto in panchina sarà preso da Giovanni Trapattoni ed è molto singolare che, in questa sfida a distanza tra Milan e Juventus, il Trap sia sulla panchina perdente.
L’altro problema è costituito dalle pessime condizioni fisiche di Schnellinger: il fortissimo difensore tedesco lamenta una contrattura alla coscia e Rocco dispera di poterlo recuperare in tempo. Avrebbe fatto comodo avere un giorno in più di tempo, come richiesto dall’allenatore, infatti, Schnellinger non potrà prendere parte alla beffa di Verona. Un ultimo disperato provino effettuato quattro ore prima della partita risulterà negativo e, nel ruolo di libero, giocherà Ramon Turone.
E siamo alla fatidica giornata del 20 maggio 1973. Il Milan, come abbiamo già detto, ha un punto in più delle due inseguitrici e potrebbe anche accontentarsi di un pareggio per arrivare, come minimo, ad uno spareggio per lo scudetto. Un punto andrebbe bene anche ai gialloblu e, quindi, l’impresa non sembra poi tanto difficile, considerato che il Verona non ha particolari stimoli di classifica.
Al fischio d’inizio dell’arbitro Monti di Ancona, accade l’incredibile: undici uomini, in maglia gialloblu, cominciano a correre dietro al pallone e gli altri undici, con la maglia rossonera, restano fermi a guardare. Il Verona gioca, il Milan è fermo, impietrito: è un disastro, una vera Waterloo. Avanza il terzino Sirena, tira e segna, avanza Luppi, il centravanti scaligero, tira e Sabadini devia nella propria porta, avanza Bergamaschi, fa un tunnel a Turone, crossa e Luppi segna ancora. Sono passati solo 29 minuti ed il Milan perde già 3-0.
Il pubblico di Verona è in visibilio, non crede ai propri occhi, la loro squadra sembra il Real Madrid dei tempi d’oro, il Milan sta affrontando la partita come se fosse una sfida fra scapoli ed ammogliati.
Rocco è attonito in tribuna, incapace persino di imprecare; Trapattoni cerca di scuotere i suoi vecchi compagni, ma è come parlare ad un muro: sono tutti senza forze, svuotati nella testa e nei muscoli. C’è una reazione, una frustata, l’orgogliosissimo Rosato riduce le distanze ed è il 3-1.
Fine del primo tempo. Rocco si precipita negli spogliatoi, cerca di salvare il salvabile, dice che almeno al pareggio si può ancora arrivare, strapazza tutti quanti, cerca di essere il più convincente possibile, ma quando le squadre rientrano in campo è ancora il Verona ad andare in goal due volte, prima con Luppi poi con un’altra autorete rossonera, stavolta di Turone. Il Milan segna due volte nel finale con Sabadini e Bigon ma sono reti inutili. Finisce 5-3 per i padroni di casa ed i rossoneri escono dal campo a testa china.
Ma lo scudetto non è ancora perduto. Lazio e Juventus stanno pareggiando: i biancoazzurri di Chinaglia sono 0-0, i bianconeri 1-1. A questo punto le tre squadre sono tutte a 44 punti e ci vorrà un maxi spareggio per decidere la squadra vincitrice del campionato. Questo pensano i tifosi ed i giocatori del Milan, ancora a bordo campo con le orecchie incollate alle radioline; tutti, tranne il Paròn. Lui sa che difficilmente una squadra come la Juventus si sarebbe fatta scappare quell’occasione. Magari in altri tempi senza informazione, gli juventini sarebbero entrati in campo demotivati, frenati dall’improbabilità di quel sorpasso. Ma adesso, non appena “Tutto il calcio minuto per minuto” avesse rivelato loro quello che stava accadendo a Verona, avrebbero moltiplicato le loro forze per uscire vincitori. E così andarono le cose.
Sugli altri due campi, mancano ancora due minuti alla fine e la beffa sta per consumarsi. La prima notizia arriva da Napoli: i partenopei sono passati in vantaggio con Damiani all’89’ minuto. La Lazio è anch’essa beffata e tagliata fuori dalla corsa al titolo. Rimane la Juventus: passata in svantaggio per un goal del romanista Spadoni, la squadra bianconera ha raggiunto il pareggio con il solito Altafini, entrato in campo nel secondo tempo al posto di Haller.
Ed ecco, a due minuti dalla fine, il secondo gracchiare della radio. «Attenzione, attenzione! La Juventus è passata in vantaggio! Bolide da fuori area di Cuccureddu che ha piegato le mani al portiere giallorosso Ginulfi! La Juventus è Campione d’Italia!»
Nel silenzio irreale dello stadio Bentegodi, con i tifosi rossoneri che piangevano sugli spalti, Rocco abbassa il testone e non piange soltanto perché è troppo vecchio e finto burbero per poterlo fare. Il primo che tenta di consolarlo è proprio l’allenatore del Verona, Giancarlo Cadè. Sei anni prima, in quel famoso campionato 1966/67, era l’allenatore di quel Mantova che proprio all’ultima giornata aveva tolto lo scudetto all’Inter, con la clamorosa “papera” di Sarti su tiro di Di Giacomo, regalandolo alla Juventus. Sembra quasi un segno del destino, ma Rocco ha calcato troppi campi calcistici per potersela prendere con Cadè.
Esordisce in sala stampa con una frase ad effetto: «Se cercate i cadaveri, sono di là», indicando gli spogliatoi. Ma era lui che aveva la morte nel cuore, consapevole che da quei ragazzi non avrebbe ottenuto più niente; molti erano troppo avanti con l’età e gli altri troppo acerbi.
Capì che il suo secondo ciclo al Milan si esauriva in quello stadio e, con esso, la sua carriera; carriera così legata ai colori rossoneri da immaginarsi su un’altra panchina. Erano saliti alla ribalta allenatori giovani, rampanti, ambiziosi; uno lo aveva definito vecchio, facendolo infuriare.
Ma forse, quel giovane aveva ragione; il suo mondo del calcio, quello nel quale era cresciuto ed in cui credeva, stava tramontando. Lo sentiva e lo vedeva ogni giorno, nelle facce di persone che circolavano in società, gestendo un potere sempre maggiore; i direttori tecnici, quelli delle relazioni pubbliche, i dirigenti invadenti ed ansiosi di mettersi in mostra. Quanti “mona”, pensava.
Due ore dopo la sconfitta, ancora chiuso nello spogliatoio, sussurra: «Sapevo che sarebbe finita così, per questo avevo chiesto il rinvio della partita. Ma una manica di dilettanti non mi ha creduto!»
A chi si riferiva e chi erano i dilettanti? È un segreto che il Paròn si è portato sui campi di calcio del paradiso.
3 commenti:
Ahimè, da milanista sfegatato non posso che sottoscrivere tutta la tua attenta cronaca di quello sciagurato epilogo del 1972/73.
Io ero lì, 14enne, a due fila esatte dal "mitico" Padre Eligio, uno dei "dilettanti" a cui faceva riferimento il Paròn. Ma fu quella sconfitta a rendermi ancora più legato alla mia squadra del cuore!
Grande vittoria!!!! Avevo 8 anni
e vedere le immagini in tv della festa juventina sul campo dell'Olimpico fu una qualcosa di magico che mi fece amare ancor di piu' le maglie bianconere e quei giocatori provenienti da tutta Italia e giovani : Bettega, Cuccureddu, Causio, Anastasi ... che tempi ! Altro calcio ! Paolo.
Mi dispiacque molto per il Milan.
Che meritava quello scudetto e lo perse giocando pochi giorni prima con il Leeds.
Nereo Rocco, a mio avviso il più grande allenatore italiano di sempre, avrebbe avuto il sacrosanto diritto di regalare la stella al Milan.A coronamento di una grande carriera.
Per fortuna Rivera ce la fece sei anni dopo.
Perdere uno scudetto così, come già lo aveva perso l'Inter a Mantova, è davvero atroce.
Angelo Balzano.
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