martedì 16 luglio 2013

LO SCHIANTO DI MONACO



Il 6 febbraio 1958 è una data funesta per il calcio inglese, colpito da una gravissima sciagura aerea, molto simile a quella di Superga, di una decina di anni prima, dove perì il Grande Torino. Il Manchester United, guidato dal famoso Matt Busby, è di ritorno da Belgrado, dove ha pareggiato (3-3) contro la Stella Rossa, nella gara di ritorno della Coppa dei Campioni, superando così il turno.
L’aereo è un Elizabethan del tipo ex British European Airways rinominato Airspeed Ambassador, può trasportare sessanta passeggeri ed ha due motori per ala. Sta riportando in patria giocatori ed accompagnatori dei “Red Devils” e fa scalo all’aeroporto Riem di Monaco di Baviera per fare rifornimento; una formalità se, nel frattempo, non fosse cominciato a nevicare.
Terminate le operazioni di rifornimento, l’aereo compie due vani tentativi di decollo ed entrambe le volte i passeggeri vengono fatti scendere per far ispezionare il mezzo dai tecnici. Al terzo tentativo l’apparecchio si stacca dal suolo senza tuttavia prendere decisamente quota; i motori, probabilmente, non raggiungono la potenza necessaria, sia per le cattive condizioni atmosferiche sia per la pista coperta di neve e così, dopo aver sfiorato la cima degli alberi alla fine della pista, il bimotore della B.E.A. scoperchia la casa di un sobborgo di Monaco precipitando sul fianco di un capannone adibito a deposito di benzina e di olio.
Immediatamente si sprigionano fiamme altissime, l’incendio si propaga sulla carcassa dell’aereo, le cui ali si sono staccate, facendo esplodere uno dei motori. La fusoliera, per fortuna, non prende fuoco e molti membri dell’equipaggio tornano fra le macerie per soccorrere i feriti.
Al momento dell’incidente stava nevicando e la visibilità era intorno ai due chilometri. Le autorità tedesche, dopo breve investigazione, attribuiscono la causa scatenante dell’incidente, alla presenza di ghiaccio sulle ali ed al pilota, responsabile delle ali stesse, piuttosto che alla gestione dell’aeroporto, responsabile a sua volta delle condizioni della pista. Ci vollero dieci anni prima che le reali cause dell’incidente venissero accertate. Come per la maggior parte dei velivoli “High Wing”, la fusoliera è vicina a terra ed il fatto che la neve sciolta venga lanciata in aria dalle ruote, la rende particolarmente vulnerabile.
Le indagini iniziali sembra abbiano ignorato prove vitali; a quel tempo non si conosceva molto riguardo alla neve sciolta sulla pista ed ai suoi effetti ritardanti per il velivolo. La pista di Riem non era ben drenata e vi si potevano formare larghe pozze. Le indagini furono ostacolate da quattro pollici di neve caduta fra il momento dell’incidente e l’arrivo della squadra investigativa, ci fu anche confusione a causa di problemi minori ai motori causati dai due precedenti tentativi di decollo, poi abbandonati.
A bordo dell’aereo, compresi i sei membri dell’equipaggio, vi erano 44 persone, 23 delle quali scampate; tra i superstiti, lo stesso Matt Busby, costretto comunque a molti mesi di degenza in clinica, prima di poter riprendere il ruolo di grande manager del Manchester United. La sciagura di Monaco determina, oltre a una grande commozione per le vittime, un bilancio crudamente negativo per il calcio inglese.
Sette giocatori morirono sul colpo: il capitano Roger Byrne, titolare in Nazionale da quattro anni; il centravanti Tommy Taylor, il migliore che allora vantasse l’Inghilterra; il giovanissimo mediano Eddie Colman, a ventuno anni già tra i più rinomati d’Europa nel suo ruolo; l’ala sinistra (anche della Nazionale) David Pegg; Billy Whelan, cervello offensivo della Nazionale irlandese; il gigantesco stopper Mark Jones.
Il terzino di riserva Geoff Bent. Oltre ai giocatori, perirono l’allenatore Tom Curry, il preparatore fisico Bert Whalley ed il segretario Walter Crickmer, nonché i giornalisti Archie Ledbrooke, del “Daily Mirror”, e Frank Swift, l’ex grande portiere del Manchester e della Nazionale inglese, diventato cronista dopo aver abbandonato il calcio.
Quanto al tecnico Matt Busby, il creatore di quella giovane squadra lanciata verso i vertici (li chiamavano i Busby Babes), rimase gravemente ferito ed a lungo rimase sospeso tra la vita e la morte; solo dopo alcune settimane, fu dichiarato fuori pericolo. Uno dei ragazzi più promettenti, Bobby Charlton, rimediò alcuni giorni di ospedale, ma ebbe salva la vita; attorno a lui, faticosamente, Busby avrebbe ripreso la costruzione di un grande Manchester, ma la vittoria in Coppa dei Campioni sarebbe arrivata solo nel 1968, dieci anni dopo la tragica notte di Monaco di Baviera.
Brian Glanville, storico commentatore inglese, così scriveva pochi giorni dopo l’accaduto, il 13 febbraio 1958: «Perché mai, in nome della ragione e del buon senso, doveva il Manchester United caricare tutta la sua squadra su un aeroplano invece di noleggiarne due? Il terribile disastro di Superga, nove anni fa, scosse il mondo ed il Torino non si è più ripreso anzi, si può sostenere che tutto il calcio italiano non si è più ripreso. In Inghilterra, l’Arsenal reagì rifiutandosi di viaggiare per aria, a meno che i suoi giocatori potessero usare due aeroplani. Come società, il Manchester United merita sincera simpatia, ma i suoi dirigenti devono essere aspramente censurati per la pazzia che è costata a loro, ed al calcio britannico, così cara».
Glanville si felicitava, più avanti, che la sciagura avesse risparmiato «il grande Duncan Edwards, lo splendido laterale sinistro della Nazionale inglese (ma si teme che quelle sue gambe possenti, capaci di spaccare un palo della porta con un tiro, non saranno più quelle di prima)». Purtroppo, il leggendario, ancora giovanissimo (ventuno anni) Edwards, sarebbe morto qualche giorno più tardi, per le terribili ferite.
Il sopravvissuto Bill Foulkes disse: «Ci fu un impatto tremendo. Guardai giù e sotto i miei piedi l’aereo si spezzò in due. Uscimmo velocemente facemmo ciò che potemmo per aiutare le persone che erano state ferite».
Un altro sopravvissuto, che ebbe il cranio fratturato, rimase in coma per cinque giorni. «Quando mi sono svegliato, ero in una corsia di ospedale con altri cinque della squadra. Ho cominciato a chiedermi dove fossero tutti gli altri e lo chiesi ad un prete, che mi rispose: “Ciò che vedi è tutto, non c’è nessun altro, sono tutti morti”».
La costernazione e la commozione, non soltanto in Inghilterra ma nel mondo intero, è grandissima. La Regina stessa, dice di essere profondamente scioccata ed invia un messaggio di cordoglio al Sindaco di Manchester ed al Ministro dei Trasporti e dell’Aviazione Civile. La nuova tragedia, che ha gettato nel lutto lo sport mondiale, ricorda quella del Grande Torino. Infatti, è facile vedere l’analogia fra le due società: entrambe in una fase di fulgore e di universali consensi dopo un periodo oscuro.
Il Manchester United, infatti, nel 1945 militava in seconda divisione lottando per non retrocedere; privo di fondi, alla ricerca di giocatori di valore, la società scelse di puntare su Busby, per la riscossa. E, sulla spinta di questo scozzese dal grande fiuto per i giovani talenti, il Manchester riprese quota; nel 1948, dopo aver acquistato Tommy Taylor per 50 milioni dal Barnsley, la società si aggiudicava la prestigiosa Coppa d’Inghilterra.
Squadra di giovani, ma anche di elementi cresciuti ad una scuola di grande affidabilità e risolutezza, il Manchester United nel 1952, nel 1956 e nel 1957 conquistava il titolo inglese. Anche in Coppa dei Campioni l’undici di Busby si era messo in luce l’anno precedente pur perdendo, in semifinale, contro il grandissimo Real Madrid mentre, sul campo della Stella Rossa, due giorni prima della tragedia, si era qualificato per le semifinali della Coppa dei Campioni.
Ma, mentre alcuni sopravvissuti alla tragedia di Monaco, come Bobby Charlton, ebbero carriere sfolgoranti, altri si sentirono come dimenticati. Albert Scanlon, che attualmente vive grazie ad una piccola pensione nella sua casa a Salford, dice: «La sola ricompensa che ricevemmo, fu qualche centinaio di sterline dalla B.E.A.. La squadra ci pagò gli stipendi mentre eravamo feriti, ma a parte questo non ci diedero niente altro. Ai giorni nostri, devo persino pagare, come qualunque altro, per veder giocare lo United».
Il primo portiere Ray Wood, che vive nell’East Sussex con una pensione minima anch’egli, dice: «Sarebbe stato bello avere qualche riconoscimento dalla squadra, come giocatori che l’hanno fatta diventare ciò che è oggi».
Il presidente del Club, Martin Edwards, ha detto: «Esisteva ai tempi un fondo per i disastri, ma le somme accantonate dai giocatori erano ridicole per gli standard moderni. Oggi è tempo di fare qualcosa di più per loro».
Risponde Bill Foulkes: «È un pochino tardi, ma meglio che mai».
Il 18 maggio 1948 Frank Swift aveva stretto la mano, al centro del campo, a Valentino Mazzola, prima di Italia-Inghilterra a Torino.
Non potevano certamente immaginare che un tragico destino si apprestava a rapirli entrambi.

1 commento:

RENATO BARNEY ha detto...

Nella bella e precisa narrazione che fai, caro amico, ti sei dimenticato un dettaglio importante: Frank Swift, il giornalista morto nel disastro aereo, era l'ex portiere dell'altro club di Manchester, il City. Fu anche per questo motivo che, tranne i soliti quattro imbecilli incapaci di rispetto, le due tifoserie della città inglese si sentirono ugualmente coinvolte dalla tragedia calcistica!