mercoledì 6 novembre 2013

I LEONI DI HIGHBURY


Negli anni fra l’edizione della Coppa del Mondo del 1934 e la seconda Guerra Mondiale, l’Italia è la squadra più forte del mondo e piovono gli inviti dalle Federazioni straniere per giocare partite amichevoli contro gli azzurri. Gli inglesi si ritengono gli inventori del calcio moderno e sono convinti di essere nettamente superiori a tutti; questa supponenza ha, infatti, loro impedito di misurarsi con i “comuni mortali”, in competizioni ufficiali tuttavia, non ha cancellato la volontà degli avversari di affrontare i bianchi maestri e di dimostrare loro quale fosse il livello, oramai alto, del football oltre la Manica.
Gli inglesi erano usciti sconfitti dal terreno di Madrid di fronte alle scatenate “Furie rosse” nel maggio del 1929; una battuta a vuoto che, se da un lato non era riuscita a scalfire la presunta superiorità dei britannici, dall’altro aveva ancor più rafforzato, negli avversari, la sicurezza nei propri mezzi. Ed è proprio in quest’ottica che, il 14 novembre del 1934, gli azzurri Campioni del Mondo si recano a Londra per sfidare la formazione inglese; teatro prescelto per la contesa è lo storico impianto di Highbury, posto nella zona nord della capitale.
Un terreno oramai mitico, tempio di quell’Arsenal che aveva stupito il mondo, sotto l’illuminata guida di Herbert Chapman, con l’adozione del “WM”, il rivoluzionario sistema di gioco che pose, dalla fine degli anni venti, le basi per una profonda rivoluzione tattica degli schieramenti. Ovviamente, gli inglesi programmano l’incontro per il mese di novembre, nelle peggiori condizioni atmosferiche, per mettere in maggiore difficoltà lo squadrone azzurro.
Pozzo fiuta l’inganno e vorrebbe declinare l’invito, perché capisce che gli inglesi mirano a batterci sul loro campo ed a toglierci, idealmente, il titolo di Campioni del Mondo. Ma la sfida stuzzica in maniera particolare l’ambiente politico, che mira ad aumentare il prestigio nazionale; Mussolini in persona si dichiara favorevole e, quindi, diventa obbligatorio andare a giocare e Pozzo non può proprio rifiutarsi.
La contesa è presentata come la sfida del secolo e, per i tempi cui ci si riferisce, è sicuramente l’appuntamento più clamoroso e significativo che possa essere messo in scena. Desta molta curiosità il confronto tra le due formazioni più attrezzate tatticamente del periodo; da una parte, i difensori del metodo, uomini temprati ad ogni battaglia e tenaci assertori del gioco ragionato; dall’altra i paladini del sistema, che prevede un modulo completamente nuovo. Il sistema consente, infatti, un maggior spiegamento di forze offensive (un centravanti ariete e due ali aperte sulle fasce, pronte a chiudere al centro) ma, contemporaneamente, una costante protezione della retroguardia: tre marcatori fissi sull’uomo con la conseguente abolizione dei due terzini, quello “volante” e quello “di posizione”.
Pochi, sino a quel giorno, avevano osato avventurarsi sui campi di gioco britannici e nessuno ne era uscito salvo; neanche un pareggio era stato ottenuto dai temerari che avevano sfidato l’Inghilterra a Londra oppure a Manchester. I quotidiani inglesi, nella loro piena spavalderia, annunciarono che i beniamini locali avrebbero stravinto. Uno di loro azzarderà persino il punteggio: 10-0 per gli inglesi!
Queste le formazioni. Inghilterra: Moss; Male ed Hapgood; Britton, Barker e Copping; Matthews, Browden, Drake, Bastin e Brook.
Italia: Ceresoli; Monzeglio e Allemandi; Ferraris IV, Monti e Bertolini; Guaita, Serantoni, Meazza, Ferrari e Orsi.
Highbury è esattamente la trappola di nebbia, pioggia e fango che Pozzo temeva. Gli azzurri scendono in campo senza timori, sono i Campioni del Mondo, hanno il cuore saldo. Ma hanno appena il tempo di guardare negli occhi questi famosi sprezzanti inglesi e già si trovano sotto di tre goal, realizzati dai fuoriclasse Brook (ala sinistra del Manchester City, detto l’uomo del Nord) e Ted Drake, centrattacco dell’Arsenal, inserito all’ultimo momento in squadra in sostituzione del titolare Tilson. Sono bastati dodici minuti di gioco! E, per di più, Carlone Ceresoli, dopo un minuto dal calcio d’avvio, ha dovuto stendersi, in un volo immortalato nella nebbia, per parare un calcio di rigore.
Peggio di così non poteva cominciare, anche perché gli inglesi, oltre a giocare ad un ritmo forsennato ed essere partiti all’assalto della nostra porta, hanno anche pestato per bene Luisito Monti, riducendoci in dieci uomini dopo soli due minuti di gioco. A Monti gli inglesi hanno letteralmente spappolato un alluce; quando il giocatore rientra negli spogliatoi, chiede al massaggiatore Angeli che gli metta un fazzoletto in bocca, per non urlare dal dolore.
Vittorio Pozzo racconta l’infortunio del giocatore italo argentino. «Gli inglesi erano tanti fulmini. E noi non si capiva più niente. Come la tempesta, l’uragano. Si comprese più tardi, a cose fatte, quel che era avvenuto. Il nostro centromediano, Luisito Monti, era stato stroncato nei primissimi istanti dell’incontro. Io ero seduto nella gabbia metallica sita all’entrata del campo, per gli addetti tecnici. Con l’attenzione tesa come avevo all’andamento del gioco ed al comportamento dei singoli giocatori, non mi accorsi di nulla quando Monti fu toccato. Non se ne accorsero nemmeno i compagni di squadra, per cui la prima rete inglese fu dovuta alla cieca fiducia nell’intervento del nostro centromediano. Per comprendere ciò, bisogna ricordare che Luisito era fatto di una tempra speciale: taciturno, non diceva mai nulla, duro a morire, incassava i duri colpi del gioco, senza lamentarsi. Con un dito di un piede spezzato, non si mosse. Quando lo richiamai, venne prima alla posizione di mediano destro, poi a quella di ala destra. Di lì lo costrinsi a seguirmi in spogliatoio. Qui giunto, mi mormorò di mettergli un fazzoletto in bocca (“Pongame un panuelo en la boca“), per non gridare, per non piangere. Il dottore italiano, che avevamo a disposizione, il povero dottor Zezi, non fu lasciato passare. Giunse fino a me invece un dottore scozzese, che esaminò il caso, e, quando alzò gli occhi, mi disse, guardandomi al di sopra degli occhiali, una parola sola, come referto; “Broken“ (rotto). Niente più da fare. Pensai a quello che rimaneva da compiere. Abbracciai Luisito e lo mandai con Angeli, il massaggiatore, all’ospedale. Mi premeva di non impressionare i giocatori, a metà tempo, con lo strazio del ferito. Quando rientrai in campo, trovai che la situazione non era cambiata: gli inglesi vincevano sempre per 3-0, i nostri arrancavano ancora nella formazione di ripiego che io avevo comandato».
In campo, sotto l’infuriare degli inglesi, i nostri neanche si accorgono che manca il Gigante che cammina. Quando tutto è più chiaro, i tre goal sono già nella rete di Ceresoli ed il rigore parato non sembra avere acquietato la travolgente pressione inglese. I britannici sono passati in vantaggio dopo che il centrattacco Drake ha maciullato l’alluce di Monti. Bertolini ha allungato indietro una palla proprio al centrosostegno azzurro che, bloccato dal dolore, non è riuscito a controllarla. E Drake ha infilato la prima rete inglese.
Col fardello dei tre goal, un uomo in meno ed il fantasma di una disfatta che si agita davanti ai nostri giocatori, Pozzo cerca di rimediare alla perdita di Monti. Attilio Ferraris retrocede a centromediano: la mezzala Serantoni si piazza in mediana, ma, soprattutto, gli azzurri raddoppiano la grinta e nessun giocatore è più disposto a prendere botte; Monzeglio esegue “cravatte” impeccabili per fermare Bastin, Allemandi e Ferraris IV compiono interventi al limite del regolamento. I Campioni del Mondo si trasformano in gladiatori; pur con un uomo in meno, la partita è una vibrante battaglia.
Nella ripresa salgono in cattedra gli azzurri e gli inglesi sono nettamente in difficoltà. Peppino Meazza prima infila al volo mister Moss, portiere britannico poi, su un traversone di Ferraris, che domina oramai il centrocampo, segna di testa. La situazione è sotto controllo, ci si aspetta la grande giocata di Orsi ma, come capita spesso, quando infuria la battaglia, Mumo si rifugia in un angolo del campo e non si mette molto in evidenza.
Gli spettatori inglesi sono sorpresi dalla grinta degli azzurri e passano minuti interminabili di sofferenza, quando Guaita e Ferrari, con due ottime azioni corali sfiorano il pareggio ed il sorpasso che sarebbe stato leggendario. Al fischio finale, i tifosi italiani presenti sugli spalti osannano gli eroi azzurri, usciti dal campo tra gli applausi di tutto il pubblico e con la soddisfazione di aver tenuto in scacco i gloriosi avversari, per tutto lo svolgimento del match.
I leoni azzurri di Highbury escono dalla cronaca ed entrano nella leggenda.

3 commenti:

gattodelballoccio ha detto...

Pagherei oro per aver potuto assistere a quella partita, ma d'altro canto, neppure gli italiani dell'epoca potevano permettersi una trasferta così lontana per quei tempi. Onore ai Leoni di Highbury

enrico ha detto...

Ogni tanto tiro fuori la foto di Ceresoli che vola a parare il rigore di Brook,con gli altri che si intravedono nella nebbia.Una delle pagine pià belle della storia della Nazionale.

Roberto Rossi ha detto...

Straordinaria prestazione degli azzurri, un partita leggendaria, i "Maestri" prima salgono in cattedra, poi con gli azzurri ridotti in "10", per il doloroso infortunio di Luisito Monti, giocano un grande secondo tempo, segnano due reti e solo alle grandi parate del portiere inglese, non vanno incontro ad una delle piu brutte figuracce della loro storia.
AZZURRI EPICI.