martedì 28 ottobre 2025

THIAGO MOTTA

 

Appena due settimane dopo l’esonero, - si legge su Tuttosport.com del 5 aprile 2025, firma di Guido Vaciago – Thiago Motta parla. Una lunga intervista concessa a Walter Veltroni per il “Corriere della Sera”, nella quale esprime tutta la sua delusione. Poco altro. Per quanto elegante e ben articolata, Motta è persona colta e intelligente, si tratta della solita litania dell’allenatore esonerato: serviva tempo, era un progetto più lungo ma non ho potuto lavorare, la squadra era con me, avevo la fiducia della società ma poi hanno pesato i risultati… insomma, separati dalla sempre godibilissima scrittura di Veltroni e del suo garbo da intervistatore, i concetti di Motta non si scostano da quelli che esprime qualunque tecnico mandato via prima del tempo, che sedesse sulla panchina del Real o di una modesta Serie C. Questo forse perché il calcio è semplice o, più probabilmente, perché quasi mai si può dire la verità.
Motta dice cose di buon senso, si aggrappa, senza esagerare, agli infortuni (che effettivamente sono stati tanti) e sottolinea con vigore il fatto che lo spogliatoio non era contro di lui. E ha ragione a recriminare su questo punto, e infatti è sempre stato scarsamente battuto nella narrativa sul suo esonero. Il problema dei suoi rapporti con i giocatori, infatti, erano più che altro di comprensione reciproca. Lo spogliatoio non capiva le sue scelte, non comprendeva la ratio delle rotazioni furiose che hanno centrifugato l’equilibrio di alcuni singoli, alcuni dei quali messi in difficoltà anche dai cambi di ruoli e posizione. La squadra non era contro di lui, era confusa. Anche dalla sua comunicazione pubblica, sempre un po’ criptica e, talvolta, spiazzante. Un esempio? Quando, dopo l’eliminazione contro il PSV, Locatelli fa una onesta e sacrosanta autocritica, Motta lo contraddice difendendo l’indifendibile. Motta non aveva nemici e non ha lasciato rancore, ma smarrimento (molto evidente in campo, tra l’altro).
Motta dice una frase che ha un involontario effetto comico: «Koopmeiners ha bisogno di adattarsi al suo ruolo in campo e nello spogliatoio». Buffo detto da chi lo ha schierato in almeno tre posizioni diverse (mediano davanti alla difesa, mezzala e trequartista) e che lo ha mandato in campo sempre e comunque anche quando non era in perfette condizioni, creando anche qualche perplessità nello spogliatoio che certo non ha aiutato Koop.
Motta dice che fin quando c’è stato Danilo, il capitano era lui, «ovviamente quando giocava» specifica Thiago, quindi praticamente mai. E lui stesso nelle conferenze aveva parlato di fascia a rotazione, una delle scelte che aveva destato più perplessità in assoluto. «Perché dovevo scegliere la persona giusta, perché per me il capitano ha una grande responsabilità in campo e fuori». Ora, detto che è così per tutti gli allenatori e per tutte le squadre, il capitano è un punto di riferimento anche e soprattutto per i compagni. Se la bussola impazzisce e segna il Nord ogni settimana in una direzione diversa è probabile che la nave perda la rotta. Come effettivamente ha fatto.
Curiosa, invece, la spiegazione del taglio di Danilo, effettuato a gennaio, con un tempismo discutibile. Motta spiega tutto con la concorrenza di Savona e accenna in modo vago alla fine del suo rapporto con Danilo. Ecco, forse sarebbe stato interessante saperne di più, perché la spiegazione tecnica non regge. Savona ha fatto un’eccellente stagione, ma Danilo serviva comunque (tant’è che a gennaio è stato acquistato Alberto Costa a 14 milioni) e serviva soprattutto per la sua personalità. E forse proprio quella è stato il problema, perché senza una spiegazione solida di Motta, resta quella ampiamente circolata da gennaio. Danilo, da capitano, aveva portato avanti alcune istanze dello spogliatoio e la cosa non è stata gradita da Motta che non ha mai amato molto i leader nelle sue squadre (c’è una discreta lista di epurati da Nzola ad Arnautovic). Se Motta non supera l’idiosincrasia ai giocatori di esperienza e carattere, gli sarà problematico allenare una grande squadra in futuro, perché di solito ce ne sono… molti di giocatori di quel tipo.
«Perché è finita così presto la mia storia con la Juve? È difficile fare un’analisi, essendo così vicini a quello che è successo. Sicuramente sono deluso perché non è andata come speravamo, soprattutto in Coppa Italia e Champions. Però non sono d’accordo quando sento parlare di fallimento: il nostro lavoro è stato interrotto quando eravamo a un punto dal quarto posto in classifica che era, a inizio stagione, l’obiettivo prioritario». Lo ha dichiarato Thiago Motta in un’intervista rilasciata a Walter Veltroni per il “Corriere della Sera”. Il tecnico si è soffermato sulla sua esperienza sulla panchina della Juventus, terminata recentemente con l’esonero.
«Quando ho accettato questo incarico, con grande entusiasmo, sapevo che sarebbe stato un progetto triennale, fondato su una profonda rivoluzione della squadra, sul suo radicale ringiovanimento. So benissimo che, in squadre del livello della Juve, bisogna vincere. Tanto più dopo anni nei quali questo non è accaduto. Il progetto non è sicuramente andato come volevamo o come avevamo immaginato», ha spiegato Motta. 
«Ho detto di aver la fiducia della società qualche giorno prima dell’esonero? Pubblicamente avevano espresso la loro fiducia e l’indicazione di proseguire il percorso. Segnali importanti, che alla fine danno tranquillità e stimoli per continuare a lavorare. Noi abbiamo sempre avuto la convinzione di continuare a impegnarci per finire la stagione arrivando al quarto posto qualificandosi in Champions. Ma conosco il calcio e so che le cose possono finire come sono finite perché in una squadra grande come la Juventus la vittoria è un imperativo e, soprattutto nelle ultime due partite, non abbiamo fatto bene e loro hanno, legittimamente, scelto un’altra strada», ha aggiunto l’ex tecnico bianconero.
Motta ha poi spiegato: «Rimpianti? Tante cose abbiamo fatto bene, tante altre le cambierei, di sicuro. Ho sempre analizzato quello che si è fatto male, ma anche dopo una vittoria penso sempre che si possa cambiare qualcosa, una strategia di gioco, una sostituzione, una scelta, un titolare. Non è che quando si vince è tutto perfetto. Tante cose rifarei, tante cose cambierei. Nelle ultime due partite abbiamo giocato male e quindi certamente cambierei le mie scelte. Nessuno che non sia arrogante nega i propri errori. Ma non accetto che si butti via tutto il lavoro fatto. Una squadra tutta nuova, falcidiata dagli infortuni, stava per raggiungere l’obiettivo prefissato. Ma io ho accettato la scelta della società e spero il bene per la Juve».
Sul rapporto con i calciatori: «Avevo i calciatori contro? Queste sono le cose che mi danno fastidio perché mi possono criticare come allenatore per le mie scelte e questo ovviamente l’accetto. Ma chi dice che io avevo lo spogliatoio contro è un bugiardo. Sono cose inaccettabili, non è vero. Alla Juve avevo un ottimo rapporto con tutti i miei giocatori dal punto di vista professionale e umano. Un rapporto basato sul rispetto, sulla chiarezza. Poi è normale che chi gioca meno possa essere meno contento. Questo modo di agire nell’ombra lo trovo arrogante e indecente perché il rapporto con i miei giocatori e con la squadra era ottimo e questi ragazzi hanno sempre dato tutto, hanno fatto sempre il massimo. Delle volte abbiamo vinto, delle altre no. Non accetto gli attacchi personali fondati su maldicenze».
Su Giuntoli: «Giuntoli mi ha detto che si vergognava di avermi scelto? No, non ho mai avuto la conversazione di cui si è scritto, mai. E mai ho avuto un litigio con il direttore, mai. Abbiamo parlato di come migliorare la squadra, come sempre, e lo abbiamo fatto con chiarezza e onestà, anche con opinioni diverse, come sempre si fa. Sono proprio queste bugie che non intendo lasciar passare».
Su Yildiz: «Non ho mai detto a Kenan che non doveva sentirsi Messi. Non ho mai avuto questa situazione con Kenan. Chi lo dice è un altro bugiardo. Kenan è un ragazzo giovane, con un potenziale enorme. Quando non l’ho schierato è perché volevo salvaguardarlo, negli inevitabili momenti di minore forma. Credo che Yildiz avrà un futuro da protagonista perché, al di là del suo talento, è un campione come ragazzo. Come giocatore, ha un grande talento naturale, ma la sua dote migliore è la voglia di lavorare, di migliorare, di fare le cose seriamente. Non è facile trovare un ragazzo, così giovane, con questa mentalità, questa cultura del lavoro».
Su Koopmeiners: «Secondo me Koop è stato caricato fin da subito di troppe attese. Ha pesato il costo molto alto del suo acquisto. In questi casi le aspettative aumentano e gravano più di quanto si pensi sul giocatore. Però sono sicuro che saprà fare sempre meglio. È un giocatore di alto livello, è un giocatore che l’anno scorso nell’Atalanta e in Nazionale ha sempre giocato molto bene. Sono convinto che quando si equilibrerà e quando si normalizzeranno le aspettative lui tornerà ai suoi livelli. Se vedo in un giocatore impegno, dedizione, voglia di aiutare la squadra lo difenderò sempre. E non cercando qualcosa in cambio, neanche messaggi sui social. I social alterano la realtà. Per me sono veri e importanti i messaggi ricevuti dai giocatori in via privata. Cosa che è stata fatta da tanti di loro». 
Sul rapporto con Vlahovic: «Dusan ha giocato tantissimo, qualcuno diceva troppo, perché l’ha meritato, perché ha lavorato bene. È un ragazzo intelligente, capace di discutere e condividere le scelte. Il rapporto con lui è stato buono, ma allo stesso tempo è normale che pesi il fatto di scendere in campo o no. Dusan quando non ha giocato non era felice, ma ha avuto sempre rispetto per le mie scelte, ha continuato a lavorare e quando è entrato in campo ha fatto il suo, dando il massimo e cercando di aiutare la squadra».
«Un errore mandare via Kean e Fagioli? No, per me no, sono state scelte economiche e non solo tecniche. Certo, a inizio stagione la società non sapeva che Milik non sarebbe mai stato disponibile. Fagioli all’inizio con noi ha giocato molto bene, ma poi ha avuto un periodo di maggiore difficoltà e allora, sempre in sintonia con la società, si è deciso che facesse una nuova esperienza. Un giocatore che abbiamo sbagliato a non trattenere è Nicolussi Caviglia, che sta dimostrando grande qualità», ha detto Motta.
Poi, il messaggio ai tifosi: «Li ringrazio per tutto quello che abbiamo vissuto insieme. La Juve è una grande squadra e ha bisogno di vincere, non basta mai partecipare. In venticinque anni di calcio ho imparato che per vincere serve fiducia, serve chiarezza e serve che alla fine ognuno di noi assuma fino in fondo le proprie responsabilità. La Juve deve tornare a vincere. Il che non le accade da troppi anni, dopo un ciclo leggendario. Questa squadra avrebbe avuto bisogno di meno infortuni e di più tempo. Ma penso che quello che abbiamo seminato resterà. Ai tifosi dunque dico solo grazie per esserci stati vicini, anche criticamente, ma sempre con grande amore».
L’ex tecnico della Juve ha poi dichiarato: «È stato un errore quello di cambiare tanti capitani? Quando c’era Danilo il capitano era lui, ovviamente quando giocava. La Juve nata l’estate scorsa era un progetto nuovo, con tanti cambiamenti, con tanti nuovi in squadra. Dovevo trovare il giocatore adatto, perché fare il capitano per me non è un gioco. Per me il capitano ha una grande responsabilità nel quotidiano, in campo e fuori dal campo. Ho cercato la persona giusta. Lo sarebbe certamente stato Bremer, che aveva l’autorevolezza necessaria. Poi la scelta è caduta su Locatelli, che lo è da tempo e lo sta facendo bene. Un errore aver cambiato troppe formazioni? Sì, abbiamo cambiato spesso le squadre, anche perché abbiamo avuto infortuni, anche perché giocando ogni due o tre giorni vedevamo che avevamo bisogno di ruotare alcuni giocatori per ottenere il massimo. Questo non vuol dire che ho fatto sempre tutto giusto, ma certo ho sempre fatto tutto per vincere. E come me hanno fatto i giocatori».

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