Colpa di Vlahovic – afferma Francesco de Core sul “Guerin Sportivo” del maggio 2022 – se non fosse stato per il serbo, che si è subito preso la ribalta per intero, e tutte le immagini, tutto l’inchiostro possibile, le chiacchiere e le ovazioni da rockstar, staremmo a parlare di Denis Zakaria come dell’orologiaio che ha rimesso le lancette del centrocampo juventino al posto giusto, e al giusto andamento. E poi ci si è messo pure un infortunio muscolare all’adduttore: fuori contro il Villarreal, a Torino, e chissà che con lui Allegri non avrebbe ritrovato la quadra e la strada per proseguire il cammino in Champions.
Troppe incognite, vero. Il calcio come la vita, non si fa con i se e con i ma. Però è chiaro a molti che l’innesto di Zakaria, nella zona dove la Juve ha mostrato di essere vulnerabile, sarà nel finale di stagione qualcosa in più di un rattoppo.
Corteggiato per mesi dalla Roma, che sperava di prenderlo a scadenza di contratto dal Borussia Mönchengladbach, lo svizzero di padre congolese e madre del Sudan non ha saputo dire no alla Juve. A lui tre milioni al stagione fino al 2026: al club tedesco un indennizzo pari a otto milioni.
Troppe incognite, vero. Il calcio come la vita, non si fa con i se e con i ma. Però è chiaro a molti che l’innesto di Zakaria, nella zona dove la Juve ha mostrato di essere vulnerabile, sarà nel finale di stagione qualcosa in più di un rattoppo.
Corteggiato per mesi dalla Roma, che sperava di prenderlo a scadenza di contratto dal Borussia Mönchengladbach, lo svizzero di padre congolese e madre del Sudan non ha saputo dire no alla Juve. A lui tre milioni al stagione fino al 2026: al club tedesco un indennizzo pari a otto milioni.
Un corazziere di buon piede, Zakaria, un giocatore in prosa che coniuga efficienza ed eleganza come pochi altri in Europa. Tanto che i paragoni si sprecano: chi lo avvicina a Pogba, mai tanto rimpianto dal popolo bianconero; chi invece rivede in lui le movenze di un altro, splendido interprete del ruolo come Viera. Lì nel mezzo sa demolire e impostare, e non rare sono le incursioni offensive. Certo, non è uomo di molti gol, ma ha fatto immediatamente capire alla Juve che lui, quando si azzarda in area avversaria, ha freddezza ed esplosività: gol all’esordio, contro il Verona. Passato un po’ sotto traccia per via di Vlahovic, che ha attirato le luci su di sé. Ma Zakaria è uomo di sostanza, bada al sodo: già spalla ideale di un regista come Granit Xhaka, ha saputo talvolta prenderne il posto – nel club tedesco e nella nazionale – con naturalezza e pari produttività nei momenti più delicati della stagione. Lo ha sperimentato sulla sua pelle l’Italia nel maledetto girone di qualificazione per i Mondiali. In Qatar ci va la Svizzera, gli azzurri resteranno ancora a guardare il torneo in tv. Per la seconda volta consecutiva.
Classe 1996, nato a Kinshasa ma trasferitosi da ragazzo con la famiglia alle porte di Ginevra, papà tifoso della Juve, si mette in mostra al Servette. Il fisico c’è, imponente; la tecnica pian piano viene affinata, come il senso tattico: al Servette scala le gerarchie delle giovanili fino ad approdare tra i grandi. Uno così non passa inosservato: tra centrocampo e fase difensiva, spopola. «È sprecato in Primavera, portiamolo in prima squadra», suggerisce Johan Vonlanthen, attaccante con un passaggio anche in Italia, al Brescia.
Denis è quel che si dice una “presenza”. Uno dei suoi primi allenatori, William Niederhauser, al sito Cronache di spogliatoio ne parla come di un calciatore rapido di testa e di gamba, dotato di tecnica più che discreta, capace di sbrigarsela ovunque. Parte da esterno, poi viene dirottato in difesa e infine ricollocato in mediana: «Spesso saltava due avversari e perdeva palla, lasciando scoperto il centrocampo. Ma subito sono riuscito a fargli capire l’importanza dell’equilibrio».
Lo Young Boys precede la concorrenza: per 400mila franchi, pari a circa 360mila euro, si assicura Denis e gli garantisce un posto da titolare. Due gol e cinquanta presenze in due anni, dal 2015 al 2017, con esordio in Champions, nei preliminari, contro il Monaco, partita persa 3-1. Arriva anche la chiamata della Svizzera: un’ascesa brillante, la sua, da predestinato. Va agli Europei con Petkovic, ma resta in panchina. Il salto di qualità con lo sbarco, ineluttabile, in Bundesliga, campionato che attinge a piene mani dal torneo elvetico. Per sedici milioni di euro passa al Mönchengladbach, uno dei club di maggiore tradizione del calcio tedesco. Deve sostituire il suo compagno di nazionale Xhaka, passato all’Arsenal. L’approccio è buono, non eccezionale. Con Dieter Hecking, al secondo anno, le cose prendono una brutta piega, complici un cambiamento tattico poco gradito e qualche infortunio di troppo. Ma Denis non è tipo che si arrende alle prime difficoltà. Recupera il posto da titolare per presentarsi al nuovo allenatore Marco Rose, nel 2018-19, come il padrone della mediana. Rose mette Zakaria a suo agio. La consacrazione con un modulo, il 4-3-1-2, che garantisce a Denis, in rapporto alle sue qualità, le migliori condizioni possibili: centrale a protezione della difesa.
Diventa elemento imprescindibile nel gioco brillante del tecnico di Lipsia che aveva già incantato l’Europa con il suo Salisburgo. Con Zakaria, ecco Thuram ed Embolo: i tre diventano gli epigoni del calcio di Rose, oggi al Dortmund. I Falzlen, i puledri, mettono paura persino ai dominatori del Bayern. Giovani e agguerriti, come il loro allenatore: non sentono il peso della pressione, e della storia. Corsa, stazza, piede: Zakaria sa muoversi bene, ovunque. Non spreca palloni, darlo a lui anche in situazioni di difficoltà è come metterlo in cassaforte. In più, ha carisma.
Allegri lo ha capito subito. L’opportunità di prenderlo (quasi) a parametro zero era troppo stimolante: in uno degli avvii più disastrosi della storia della Juve, il tecnico era convinto che non sarebbe bastato il solo Vlahovic a puntellare la stagione. Occorreva un centrocampista capace di coniugare qualità e quantità, un equilibratore in un reparto sconnesso e disomogeneo. A gennaio, una delle cose più complesse da reperire. Ed ecco Zakaria. «Ragazzo intelligente, ha un bel passaggio, non è facile integrarsi subito così», ha spiegato Max, uno che non indulge facilmente al complimento.
Una splendida terrazza con vista sul Qatar, la Juve. Ai Mondiali, Zakaria, ci andrà per la gloria sportiva, sì, ma anche per il suo Paese. A cui è fortemente legato. E non è retorica. «Sono cresciuto in Svizzera, in Africa ci andavo solo per le vacanze. Essere elvetico vuol dire tanto per me – ha detto a Dazn – sento i valori della Svizzera, che mi ha dato tutto e cerco di dare qualcosa in cambio. L’esperienza che mi ha formato di più è stata quella nell’Accademia Militare. Ero nel reggimento atleti, lì ho lavorato tanto, una tappa molto importante della mia vita non solo dal punto di vista fisico».
La Juve sa cosa chiedergli, lui sa cosa vuole la Juve. «Io ho la mia identità», ha detto in sede di presentazione tanto per allontanare i fantasmi ingombranti di Pogba e Viera, idoli, modelli, ma non termini di paragone. Idee sul presente e sul futuro piuttosto chiare: «Io non mi fermo qui, sono un combattente e voglio sempre migliorare. Sicuramente il club bianconero è un passo molto importante nella mia carriera, ma voglio diventare sempre più forte. Per questo essere qui è una tappa, non il temine».
Pur tenendo ben presente dove è arrivato: «Avere la Juve che ti cerca non succede tutti i giorni ed io ho colto l’occasione perché per me è come un sogno. Un’opportunità grandiosa».
Taciturno, introverso, ma non per questo poco carismatico, «ragazzo di cuore che non ha dimenticato i vecchi amici in Svizzera», come ricorda con affetto Niederhauser, una passione per l’Nba che segue ogni volta che può, Zakaria – al pari dell’idolo Le-Bron James – sa fare professione di leadership con poche parole e molti fatti. Ciò che oggi serve alla Juve come il pane.
Non sarà così, perché il ragazzo svizzero lascerà la Juve al termine della stagione, dopo aver raggranellato solamente quindici presenze e la rete contro il Verona. Nell’ultimo giorno di mercato viene ceduto in prestito al Chelsea, terminando così la sua breve esperienza bianconera.
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