sabato 2 maggio 2020

Mario PEDRALE


Campo «Combi». Una domenica mattina – racconta Dante Grassi su “Hurrà Juventus” del novembre 1978 – di questo tiepido fine autunno. Sulle gradinate alcune centinaia di super tifosi. Ai bordi lo staff tecnico delle giovanili bianconere a seguire la «Primavera» impegnata contro la Sampdoria. Una vittoria per 4 reti a 0 che giustamente inorgoglisce il clan juventino.
Di questi ragazzi bianconeri sono in parecchi a suscitare interesse, alcuni financo in predicato di vestire la maglia della nazionale juniores e ci riferiamo ai già selezionati Antelmi, Storgato e Galasso. E con loro i Formoso, Ricci, Luigi Bizzotto, Giampaolo e Alessandro Boniperti, Bruno, Koetting e altri «tutti ragazzi – mi assicura Pedrale con illimitata fiducia – che arriveranno senz’altro».
Pedrale li ha visti bambini, li ha scelti e alla sua scuola sono cresciuti nel NAGC, come è stato via via in tempi passati per gli Olivetti, i Fochesato, i Morello, Furino, Maggioni, il secondo dei Bercellino, Mattei, Roveta, Materazzi, Bettega e Jacolino, Fernando Viola e Chiarenza per giungere ai Gasperini, Zanone e Schincaglia. Solo alcuni degli elementi che ricorda di un lungo periodo che per il NAGC ebbe inizio con la selezione della classe 1944.
Ora Pedrale, torinese di Torrazza, 65 anni essendo nato il 19 maggio del 1913, è andato in pensione o meglio, cedendo il timone del Nucleo Addestramento Giovani Calciatori a Lucidio Sentimenti, il IV della stirpe, detto Cochi, è passato ad altro compito, quello dell’osservatore. In un certo senso è tornato alle origini quando appunto ebbe a segnalare alla Juventus i Bercellino, il primo, i Sacco e i Voltolina, e c’è da augurarsi che, come allora, abbia il fiuto altrettanto felice.
Mario Pedrale, appunto. Ventiquattro anni ininterrotti alla Juventus, da quando nel 1954 fu chiamato a fiancheggiare, quale secondo, Ugo Locatelli responsabile delle giovanili bianconero. Due anni prima aveva frequentato il 1° Corso per allenatori che allora si teneva a Firenze e con lui ai banchi di scuola sedevano Foni, Rossetti, Castello. Pedrale possedeva una certa esperienza quale istruttore, acquisita dapprima alla guida del Torrazza, da lui fondato e portato dalla 3ª divisione alla serie C, poi al Barcanova condotto nel ‘51 al successo nella 4ª Coppa Primavera che vedeva impegnate rappresentative di illustri clubs. Un signor Barcanova, per intenderci, considerato che nelle sue file militavano Pietro Maroso, fratello minore dell’indimenticabile Virgilio, e Bodi. Due stagioni nel Barcanova, quindi alla Pro Vercelli, vecchio amore, e ancora alla guida della Riv di Villar Perosa e con lusinghieri risultati. E alla Juventus, che evidentemente lo tenevano d’occhio, approdò infine nell’agosto del ‘54. Così da quel momento iniziò la sua diretta collaborazione a Ugo Locatelli «dal quale – riconosce Pedrale – ho appreso tante cose».
Dal tandem tecnico dipendevano tutte le giovanili juventine, dalla formazione riserve in giù, e a questa attività Pedrale si dedicò con la passione e la competenza che hanno sempre distinto il suo lavoro.
Nel frattempo la sua vocazione di istruttore dei giovanissimi andava affermandosi oltrepassando i confini del Comunale e a lui si interessava la stessa Federazione che lo designava appunto a condurre un corso sperimentale riservato a questo settore. «Fu una iniziativa della Federazione – ricorda Pedrale come se si trattasse di cosa recente e non di venti e più anni or sono – ma il primo NAGC lo fondai io qui alla Juventus. Avevo partecipato a un Corso di specializzazione a Firenze riservato alla categoria giovanissimi, e allora mi dissi: perché non tentare alla Juventus? E per un anno, all’insaputa della società, alle sette di sera radunavo i ragazzini nel corridoio dello stadio, e quando finalmente decisi di farli giocare in esibizione prima di una partita, si era nel ‘57, il dottor Umberto Agnelli ne fu entusiasta e diede subito disposizioni affinché questa attività fosse ufficializzata. Così in quella stagione ‘57-58 alla Juventus nacque il NAGC. Per due anni continuai a fare l’allenatore in seconda e a interessarmi ai giovanissimi, poi, con l’arrivo di Rabitti, Grosso e Bussone, il vice presidente Giordanetti mi interpello per sentire qual’era il settore in cui desideravo operare. «Se non mi lasciate i più piccoli – gli dissi – piuttosto rinuncio a fare l’allenatore! E da quel momento il NAGC mi assorbì totalmente».
Lavoro e sacrificio, ma anche tante soddisfazioni – osservo. «Indubbiamente – riconosce Pedrale – allora le selezioni riguardavano i ragazzi a partire dai 12 anni, poi si scese a 10 quindi a 8. Arrivato ai 14 anni il ragazzo accede agli allievi e di ogni covata a passare nei ranghi della categoria superiore erano dai venti ai venticinque elementi».
Quale sistema di valutazione adottava nelle scelte? «Innanzitutto si cercava di far conoscere la nostra iniziativa ad esempio attraverso l’altoparlante prima delle partite. E al sabato si presentavano anche in trecento per i provini che si svolgevano dall’ottobre a fine novembre. Io li suddividevo per annata e poi facevo disputare tra di loro delle partitine della durata al massimo di 10’ e di lì tirava fuori qualche nominativo, in media tre o quattro su cento. Mi bastava poco per capire chi aveva passione e volontà di riuscire. Normalmente i ragazzi che si presentavano con le divise nuove erano figli di tifosi che desideravano più che altro vedere il loro rampollo nella Juventus. Così con sedute al martedì e giovedì per le annate più vecchie, e al mercoledì e venerdì per le più giovani, si impostava il lavoro partendo dalla tecnica individuale. Era l’ABC del calcio, diciamo la prima elementare».
Un lavoro di responsabilità considerato il rapporto di fiducia con le famiglie di questi calciatori in erba. «Un rapporto talvolta difficile. Si valutavano le qualità tecniche del ragazzo e nel frattempo si entrava anche nei particolari della loro vita familiare. C’erano i bisognosi che andavano aiutati e posso dirle che per una decina di anni a Natale per questi c’era sempre un pacco dono».
Con lei si è visto come il calcio possa recitare una parte effettivamente importante nella formazione di un ragazzo. «Certo, una disciplina educativa, Il NAGC non era semplicemente sport da oratorio, come qualcuno aveva ironizzato, ma vera scuola calcistica e di vita, che dà tono e moralità al ragazzo facendone un ometto. E chi, pur giocando bene, poteva guastare l’ambiente era escluso».
Alla pari di Sentimenti IV e di Giovanni Viola, attuali istruttori delle giovanili juventine, anche Mario Pedrale fu portiere. Per apprendere di questa sua attività agonistica occorre andare al periodo che precedette la seconda guerra mondiale, dal ‘33 al ‘36 quando era numero uno della Pro Vercelli, prima che le bianche casacche lasciassero il palcoscenico della massima divisione, tenuto con onore nel periodo più glorioso del calcio nazionale. I ricordi sono tanti, naturalmente, ma ancora vivo è quello del debutto a Bologna, quando parò un calcio di rigore allo specialista Monzeglio. Era l’aprile del ‘34. Buon portiere è quindi sinonimo di ottimo tecnico. «Ventiquattro anni alla Juventus – tiene a ribadirmi Pedrale con gli occhi lucidi per la commozione – hanno lasciato un segno indelebile. Conserve un caro ricordo dei miei ragazzi e di essi i più non si dimenticano dcl vecchio maestro, con gli auguri a Natale e venendomi a trovare qui, al campo. Li ho tutti nel mio cuore».
Quanti episodi avrebbe da raccontare, da Furino a Bettega agli altri ancora! «Furino a quell’epoca abitava al largo Orbassano; qui arrivava già sudatissimo perché prima si era fermato a giocare in piazza d’Armi. E dovevo frenarlo poiché correva troppo. Ebbene quando finivamo l’allenamento, passando da piazza d’Armi nel tardo pomeriggio chi ti ritrovavo? Proprio lui! Poi Bettega. Lo aveva portato il papà; avevano raccolto l’invito dall’altoparlante. Era puntualissimo, non è mai mancato una volta. Era nato calciatore, del classico modello inglese, ed è arrivato perché sorretto da grande volontà. Aveva iniziato come mediano di spinta e questo certamente gli è servito in quanto poteva disporre di più palloni e inoltre si abituava ai frequenti contrasti. Ero certo che si sarebbe affermato e lo dicevo diciassette anni fa! Ma anche Roveta sarebbe salito in alto; era potenzialmente una grande mezz’ala poi fu impostato da difensore».
Chissà gli allori mietuti dai suoi ragazzini! «Abbiamo partecipato a circa cinquanta tornei – osserva Pedrale con orgoglio – e i successi sono stati davvero tanti. Quello nel 1° Torneo sperimentale del NACG, ad esempio, disputato a Legnano nel ‘64 e vinto sull’Inter per 3 a 2. Che battaglia! Fu il tredicenne Viola a siglare la rete decisiva. Vittorie nell’«Ilo Bianchi», nel «De Maria», a Genova, al torneo di Somma Lombardo, e quella stupenda a Nizza nel ‘74. Cerano dodici formazioni straniere, tra cui anche la Fiorentina, e otto francesi. Segnammo 14 goals e ne subimmo uno solo!».
L’assegnazione nel ‘70 del «Seminatore d’Oro» per l’istruzione e valorizzazione dei giovani, era quindi più che meritata. «Fu quello un riconoscimento importante che mi diede tanta soddisfazione».
E ora è giunto il momento del congedo, un momento che lei avrebbe voluto non arrivasse mai. «Un congedo doloroso, lo ammetto, ma la legge vuole così. A 65 anni si è fuori ruolo, neppure più il cartellino di allenatore ti rinnovano. Così prima delle vacanze estive ho chiuso. Ma le assicuro che quando in un pomeriggio si sono stretti a me genitori e ragazzi per salutarmi ho sentito un nodo qui in gola che quasi mi impediva di ringraziarli per la bella pergamena e la medaglia d’oro che avevano voluto offrirmi. D’accordo, alla Juventus ci sono ancora, se pur con altro incarico, ma non sarà più la medesima cosa. La mia vita, come dissi un giorno a Giordanetti, era insegnare a tanti e tanti ragazzini a diventare si buoni calciatori, ma innanzitutto veri uomini!». 

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