Trequartista dal talento sopraffino, arriva alla Juventus alla fine degli anni ‘80 e viene aggregato alla Primavera di Cuccureddu. Senza avere mai la fortuna e l’onore di vestire il bianconero della Prima Squadra, inizia a girovagare per tutta la penisola con alterna fortuna, per poi cominciare la carriera di allenatore.
GIANNI SPINELLI, “GUERIN SPORTIVO” DEL 20-26 NOVEMBRE 1991
Platt, Fortunato, Farina? Macché... Nel Bari dei trenta miliardi, per riferirci alla sola campagna–acquisti estiva, il più bello (l’unico...) del reame è lui: Federico Giampaolo, anni 21, di Giulianova, una Cenerentola in versione maschile a lungo trascurata dalla matrigna–Salvemini.
Zibì Boniek, alla disperata ricerca di una formazione decente, ha cominciato a puntare su questo ragazzino interessante: a Firenze, in casa col Milan, nella partita di Coppa con la Samp e, quindi, nel derby di Foggia. Il derby straperso, ma incoraggiante per il gioco del Bari e soprattutto per un giocatore da votazione alta, appunto Giampaolo, ex Cenerentola, autore di un gol alla Sivori. Applausi. E riconoscimenti. Fra i primi, quelli di Cesare Maldini, commissario tecnico dell’Under 21: «Bravo. Per me è stata una novità. Avevo letto sui giornali della buona prestazione a Genova, con la Samp, ma non mi aspettavo tanta lucidità e freddezza. Il gol, poi, è stato un autentico capolavoro...». Maldini non ha perso tempo: lo ha convocato per l’Under 21, ma un infortunio ha messo fuori causa il giovane talento.
Dunque, Giampaolo bello del Bari. Un ragazzo da scoprire anche come personaggio. Sorridente, disponibile, senza molti grilli per la testa. Si presenta: «Sono nato a Teramo, ma sono di Giulianova. Mio padre lavora in ospedale, mia madre è casalinga. Come ho cominciato? Seguendo mio fratello che, attualmente, gioca nel Gubbio (C2). All’inizio, la molla era la curiosità: mi divertivo. Così ho iniziato la trafila nel Giulianova, una società che ha sempre avuto un gran vivaio: Tancredi, il povero Curi, De Patre, tanto per fare dei nomi, sono venuti fuori dalla mia stessa “scuola”. Ho avuto un maestro eccezionale a cui devo molto: Roberto Vernisi. Ora allena la Santegidiese in Interregionale. Per quattro anni mi ha forgiato, prima come uomo, poi come calciatore. Era molto severo, ma a 12 anni serve avere una guida così».
– Giovanili, poi il debutto in prima squadra...
«A 17 anni, allenatore Giorgini, col mio Giulianova. Ho giocato in C2, penso benino...».
– Tanto da essere notato dalla Juventus...
«Sì. Fui acquistato dalla Juve. Due stagioni nella Primavera, allenatore Cuccureddu. La Primavera, dal punto di vista agonistico, è un passo indietro. Ma respiri l’aria di una grande società e maturi. A Torino ho capito che era anche il caso di smettere di studiare. A Giulianova avevo frequentato fino al quarto anno l’Istituto Tecnico Industriale. Il calcio ti assorbe e c’era anche il servizio militare a Roma. Ogni lunedì ritornavo a Torino in aereo ed ero, in alcuni periodi, stanco morto. Cuccureddu, per due o tre volte, il sabato mi lasciò in panchina e la squadra, guarda caso, infilò tre vittorie consecutive. Mi stava venendo il complesso: forse è meglio che non giochi...».
– È pessimista?
«Dipende. Alterno momenti diversi: a volte sono ottimista, a volte no. Tornando alla Juve, mi rifeci subito, riuscendo a collezionare qualche panchina in A. Per esempio, la società mi portò in tournée negli Usa».
– Dalla Juve allo Spezia, in C1. Siamo allo scorso campionato. Giampaolo riprende la parola.
«È la politica della Juve: ragazzo, devi farti le ossa. Un’esperienza positiva, con un grande tecnico, Ferruccio Mazzola. Un padre che ci trattava come figli, capiva tutti i nostri problemi e ci metteva a nostro agio: si chiacchierava, si usciva con lui. Ho giocato tutte le partite, meno due per squalifica e una per infortunio. Ho fatto anche quattro gol».
– Definendo il suo ruolo, ci pare...
«Sono un interno di rifinitura, anche se fuori casa Mazzola mi faceva giocare dietro la prima punta. Mi vedono, e mi vedo, rifinitore portato all’offensiva...».
– Col famoso numero dieci, quello che piace a tutti.
«È vero. E, fra i numeri dieci, ci sono i miei due idoli: Maradona e Mancini».
Veniamo al Bari. Un altro prestito, per completare quel discorso sulle... ossa.
«Il massimo per me. Una società ambiziosa e la Serie A. Finora ci è andata male, ma il mio entusiasmo resta tutto».
– Con Salvemini non c’era feeling?
«No. Non mi vedeva. Se fosse rimasto, avrei chiesto di andar via. Poi è arrivato Boniek e mi sono sentito subito più seguito».
– Con Boban rischia però di fare spesso panchina...
«Non sarà un trauma. L’importante è sentirsi considerati: le occasioni ci sono per tutti, quindi anche per me».
– Ma questo Bari si salverà?
«Sono fiducioso. Prima o dopo i risultati verranno».
Insomma, un Giampaolo immerso nella realtà barese, ambientato, con tanti amici. Ha imparato anche a voler bene a una città difficile come Bari. Prendete l’incendio del Teatro Petruzzelli, simbolo e mito culturale del Sud. Quelle fiamme gli sono entrate dentro, colpendo la sua sensibilità: «Quel cumulo di rovine, che tristezza».
Giampaolo non vive di solo calcio. Ha amici, interessi e hobby. Musica, discoteca, tennis, passione per le auto sportive e per i viaggi sono l’altro mondo di Federico. La musica. È un relax: «Preferisco i cantanti italiani: Mina, Battisti, Venditti».
Un ventenne che si nutre di Mina e Battisti è raro da trovarsi. Il «fenomeno», visto in chiave psicologica, denota grande sensibilità e carattere tendente al romantico. Le auto sportive? Per ora Federico le ammira nei saloni. Non pensa di investire in... Ferrari o Jaguar, anche se la tentazione è forte. I viaggi: Giampaolo ha girato in lungo e in largo l’Italia: «Le nostre bellezze sono uniche. A volte vogliamo fare gli originali, disprezzando il Belpaese. E solo una moda. Certo, affascinano anche i Paesi lontani: conosci civiltà diverse, scopri altri modi di vivere. Sono stato in America con la Juve. E, con degli amici, in Messico. Perché il Messico? Incuriosiva me e gli altri. Un Paese strano, come strani e misteriosi sono messicani».
E dopo il Messico? Giampaolo ci sta pensando, senza frenesie. Adesso ci sono Bari e la Juve...
ADALBERTO SCEMMA, “GUERIN SPORTIVO” DEL 14-20 OTTOBRE 1992
Un pacco dono spedito da Boniperti. C’era da chiudere l’affare Piovanelli (tre anni di contratto, un ingaggio oneroso) e Stefano Mazzi, giovane presidente del Verona, l’aveva buttata lì senza troppa convinzione: «Ho rinunciato a Michele Serena» questo il discorso fatto a Giampiero «e ti sto dando una bella mano prendendomi un attaccante che è un’incognita. Ma a questo punto voglio Giampaolo. E l’unico che mi può sostituire Stojkovic. In meglio...».
Tira e molla sul filo della battuta (Boniperti e i Mazzi sono vecchi amici), poi la firma: Federico Giampaolo al Verona, con tanti saluti alle squadre di A in lista di attesa e con tanti saluti, anche, ai sogni di Stefano Mazzi, che sperava in una cessione definitiva: «La Juve si è tenuta la comproprietà» dice a denti stretti il presidente del Verona «e i fatti, ancora una volta, stanno dando ragione a Boniperti».
Un inizio di campionato dirompente, per Giampaolo, ed ecco fiorire le prime ipotesi di un rientro alla casa madre. C’è Franco Causio a inondare la sede di piazza Crimea di relazioni positive. E c’è Franco Landri che fa un po’ il pesce in barile, in attesa di altre partite-boom. E di altre relazioni. E lui, Federico Giampaolo?
«Io firmerei» dice subito «un contratto a vita con il Verona. Alla Juve non penso ancora. È il sogno di tutti, lo so, ma io sono già passato da quella porta e non l’ho mai sentita mia. Un conto è essere stabilmente nel giro della prima squadra, un altro è rimanere in parcheggio nella Primavera. La Juve mi ha dato altre cose, certo, è stata una esperienza felice e l’attenzione che mi viene riservata ora mi rende orgoglioso. Però, se mi chiedessero che cosa scelgo, che cosa preferisco, ecco che non avrei dubbi: rimarrei per sempre a Verona».
Federico Giampaolo aveva lasciato Bari con un’etichetta scomoda, quella di atleta discontinuo. Un «cavallo matto» capace di grandi fiammate e di pause improvvise, messo in castigo da Salvemini e riciclato da Zibì Boniek, che in parte ci si riconosceva. «Salvemini» ammette Giampaolo «non mi vede va proprio. Ho caratteristiche che evidentemente non si adattano al calcio che teorizza lui. Altro discorso per Boniek, invece. Lui mi ha dato subito fiducia e credo di averlo ripagato concretamente, anche se non siamo riusciti a salvarci».
Fatta esclusione per Salvemini («Nessun problema, però, sotto il profilo umano: il nostro “conflitto" era esclusivamente di carattere tecnico»), il rapporto di Giampaolo con gli allenatori è sempre stato esemplare: «E qui devo proprio cominciare da Vernisi, sconosciuto ai più ma fondamentale per la mia carriera. L’ho avuto a Giulianova, una di quelle persone che ti restano dentro per sempre. Ma della stessa pasta è anche Ferruccio Mazzola, che ho avuto a La Spezia: un allenatore ma anche un fratello maggiore, un amico. Come tecnico avrebbe meritato maggiore fortuna, non ha raccolto sicuramente in proporzione ai suoi meriti».
– Si diceva la stessa cosa di Federico Giampaolo, fino alla scorsa stagione...
«Dicevano che ero un incostante e forse era proprio vero. Facevo una cosa buona poi sparivo per un po’. Difficile capire il perché. Il bello è che all’inizio di ogni campionato, da tre anni a questa parte, mi ripetevo le stesse cose: questo è il tuo anno, non puoi fallire. Invece non arrivava mai, andavo a sbattere sempre il muso contro una realtà troppo diversa dai sogni».
– Un giocatore irrisolto, insomma. Qual è stata la molla giusta?
«La fiducia. Chi ha qualità, prima o poi, deve tirarle fuori, è solo una questione di tempo. Se uno non sfonda vuol dire che gli manca qualcosa. La mia stagione è cominciata bene ma è presto per i bilanci. Non sono ancora un campione, devo dimostrare un sacco di cose. E giusta la strada che ho imboccato, questo sì. Reja mi ha capito, mi ha aiutato, mi lascia libero di giocare come voglio».
– Nessuna disciplina tattica?
«Parto dalla fascia, ma non ho l’obbligo di andare a coprire. Il resto lo fa la squadra, ed è una squadra che si muove seguendo una logica ben precisa. Qui ci sono compagni esperti: basta seguirli».
– Qual è la prerogativa principale di questo Verona?
«Non ci sono differenze sostanziali tra gli incontri casalinghi e quelli esterni. Su novanta minuti ne passiamo almeno settanta all’attacco, è un martellamento continuo».
Sono state proprio le qualità naturali di questo ragazzo a convincere Boniperti: «Non deluderà», è stato il giudizio sintetico di Giampiero. Un giudizio subito avallato da Landri, come si è detto, e anche da Mazzi. Lui, Giampaolo, prende atto e ringrazia: «La Juve continua a credere in me ed è per questo che mi ha ceduto soltanto in comproprietà. La fiducia di Boniperti mi dà la carica, però... io sogno la Serie A con il... Verona, sogno la promozione. E una volta arrivato in A, perché cambiare?».
Un diploma di perito tecnico industriale, una ammirazione sfrenata per Maradona, un hobby «tranquillo»: la televisione. La scheda di Federico Giampaolo è scandita dalla semplicità. Così come decifrabili sono i gusti musicali (Lucio Battisti) e quelli cinematografici (Mel Gibson l’attore preferito, Sharon Stone e Meryl Streep in testa alla classifica delle attrici). «È un ragazzo d’oro» dice Reja, «capace di adattarsi senza difficoltà alle varie situazioni tattiche. Ha piedi buoni, una visione di gioco limpida, uno spessore atletico discreto. Credo che possa migliorare ancora. Mi ha stupito favorevolmente, tra l’altro, la facilità con cui si è inserito nel gruppo: segno che ha buon carattere».
E c’è anche un flash di Ezio Rossi: «Mi ricorda» dice il capitano del Verona «il Lentini giovane. È forte sia sotto il profilo tecnico che dal lato agonistico. Tenendo conto dell’età, credo possa diventare davvero un grande. Ha personalità. Sulla carta, è già un leader».
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