L’avventura bianconera di Bouy dura una sola partita, in Coppa Italia il 18 dicembre 2013 contro l’Avellino, per sostituire Asamoah a una ventina di minuti dalla fine. Poi, il trasferimento in Germania, ad Amburgo.
Avere vent’anni e inseguire il sogno – scrive Davide Fantino, su “HJ Magazine” del gennaio 2014 – un predestinato Ouasim Bouy, talento olandese arrivato alla Juventus a gennaio del 2012. Dopo una lunga trafila nelle giovanili dell’Ajax e un anno in prestito a conoscere le ruvidezze del campionato di Serie B, è pronto a giocarsi le sue chance tra i bianconeri, dove ha giocato quello che lui considera il più forte giocatore della storia: Zinedine Zidane. Bouy è in Italia da quasi due anni.
Che idea aveva del nostro calcio prima di arrivarci? «Lo seguivo, perché ci hanno giocato sempre grandi campioni. Sapevo che si lavora molto sul fisico e a livello tattico, molto più che in Olanda».
Ha subito vinto il trofeo di Viareggio: come ha vissuto quei mesi iniziali? «È stato bello, sono sempre pronto quando si tratta di giocare. Sono andato a Viareggio, abbiamo fatto un buon torneo, ho segnato tre goal e abbiamo vinto la Coppa Carnevale. Un ottimo inizio».
L’anno dopo è passato in prestito al Brescia, titolare fino all’infortunio. Che ricordi ha di quell’anno? «Sono cresciuto tanto: ho fatto il ritiro estivo con la Juventus poi ho deciso che era meglio andare a giocare. È stata la scelta giusta: ho disputato tante partite, avvertendo sempre la fiducia dell’ambiente e dell’allenatore. Tutto stava andando bene, fino all’infortunio».
Di fatto ha perso la seconda parte della stagione. «Sì mi sono infortunato la prima settimana di febbraio. È stato il mio primo problema fisico grave, un’esperienza nuova. L’ho vissuta bene: l’operazione è stata fatta a Pavia, ringrazio i dottori Zanon e Benazzo, e poi ho iniziato la riabilitazione all’Isokinetic di Torino».
Si aspettava di rimanere alla Juve nel campionato in corso? «Ho sempre sentito la fiducia della società: è stato importante, soprattutto dopo l’infortunio».
Che cosa sta imparando da Antonio Conte? «Tutto! Tatticamente soprattutto: ho voglia di fare meglio ogni giorno che mi alleno. Non sono mai contento: voglio crescere, crescere, crescere. E questo è molto importante nella fase della carriera in cui mi trovo».
A centrocampo, sua zona di competenza, la Juventus schiera grandi campioni con caratteristiche differenti tra di loro. «E, infatti, io cerco di imparare da tutti. Ho sempre considerato Pirlo un giocatore straordinario, allenarmi con lui è molto utile, ha esperienza e posso chiedergli consigli. Mi piace fermarmi a fine allenamento a tirare le punizioni con Andrea».
Lei è mancino. È una caratteristica utile, che la può differenziare? «Non so, vediamo. In questo calcio moderno bisogna essere capaci di giocare con tutti e due i piedi. Alla fine decide l’allenatore chi far giocare o no, mancino o destro».
Quale ruolo preferisce in campo? «Mezzala o davanti alla difesa. In Olanda giocavo spesso dietro le due punte».
Ha iniziato a giocare molto piccolo a sei anni all’AVV Zeburgia. «Ho trascorso tre anni lì con loro. È una piccola squadra ma ha sempre molti talenti in rosa: noi vincevamo spesso contro i pari età dell’Ajax. Tanti ragazzi cominciano nello Zeburgia e poi si trasferiscono nelle più forti squadre d’Olanda».
Proprio com’è successo a lei. «Sì, allo Zeburgia ho avuto un allenatore molto importante, Jaap. Dopo due anni potevo già andare all’Ajax ma lui mi ha convinto a rimanere un altro anno e ad allenarmi con i ragazzi più grandi. All’inizio quando senti “Ajax” la voglia di andare è fortissima, invece sono contento della scelta fatta. L’anno successivo mi sono trasferito e ho compiuto tutta la trafila nel settore giovanile per otto anni. Per i primi due anni ci allenavamo due volte a settimana, poi tre, infine quattro. È stata una crescita completa: andavo a scuola la mattina, mi recuperavano con il pullman, stavo fino alle otto di sera all’allenamento e poi tornavo a casa».
Ha mai avuto momenti difficili in cui ha pensato di mollare? «A scuola sono sempre stato uno dei migliori, quindi non mi è pesato studiare e giocare. Però una fase di difficoltà l’ho vissuta quando mio papà è stato male, ma non ho mai pensato di lasciare. Ho sempre mantenuto la fame per andare avanti».
Stava per esordire in prima squadra poi è arrivata la chiamata della Juve. Che cosa ha pensato in quel momento? «Sono cresciuto con il mito dell’Ajax, ma anche all’estero ci sono le squadre che fanno sognare i giovani calciatori: la Juve è una di queste. Era una grande occasione».
La sua famiglia l’ha seguita in Italia? «No, ma non sono quasi mai da solo: vengono a trovarmi mia mamma, mia sorella, uno zio. Ho anche un fratello calciatore, Naoufal: ha quattordici anni e per me è un gran talento. Gioca a Volendam. Per qualche anno ha tentato anche con il tennis, ma ora ha scelto di giocare solo a calcio».
Lei è di nazionalità olandese ma di origine marocchina. «Sì, mia mamma si è trasferita in Olanda all’età di dodici anni e mio papà a ventidue. Io sono nato ad Amsterdam, ma ogni anno torno almeno una volta in Marocco, a Nador, nel Nord del paese».
Qual è il suo punto di forza e in che cosa deve invece migliorare? «Ho un buon tiro e fornisco buoni passaggi ai compagni, ma voglio migliorare tutto. Alla Juventus sto imparando che ogni aspetto è migliorabile con l’impegno. Sto facendo grandi progressi nella fase difensiva: è importante sapere come entrare in scivolata per recuperare la palla e i movimenti da compiere quando ce l’hanno gli avversari. Lavoriamo molto sul fisico: in Olanda sono sempre stato uno dei più forti come struttura, ma con l’arrivo in Italia scopri che può essere anche meglio con l’allenamento. Anche l’anno di Serie B è servito a temprare il fisico».
Ha avuto un mito da ragazzo? «Il mio idolo è sempre stato Zidane, secondo me il più forte giocatore della storia del calcio. Quello che ha vinto, le cose che ha fatto sul campo, è stato unico. Nella Juve è diventato il giocatore che è stato».
Edgar Davids, bandiera dell’Ajax, è stato il primo “Orange” a giocare per la Juventus ed è stato amatissimo. «Ho avuto la fortuna di allenarmi con lui quando è rientrato ad Amsterdam. Credo sia stato il più forte centrocampista a livello di intensità, era unico a rubare il pallone agli avversari. All’Ajax tutti i grandi giocatori tornano in società quando chiudono la carriera. Lo stesso succede qui nella Juve con Pessotto, Nedved, mister Conte, uno che a centrocampo non mollava mai. Loro sono un esempio».
Che cosa rappresenta per lei giocare a calcio? «A questo proposito mia mamma racconta sempre una storia: quando l’Ajax giocò le finali di Champions League del 1995 (Milan) e del 1996 (proprio Juventus), tutta la famiglia sedeva sul divano a guardare le partite mentre io stavo davanti alla televisione, pochi centimetri dallo schermo, con le gambe incrociate. Avevo solo due-tre anni e già sapevo che cosa avrei voluto fare».
Quando da bambino seguiva quelle partite pensava che un giorno sarebbe finito nella fotografia di squadra della Juventus sotto la quale adesso stiamo parlando? «No, era un sogno e lo è tuttora. Devo continuare a lavorare, perché so che c’è ancora una lunga strada da percorrere».
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