Ammira Zidane, sogna la Serie A – scrive Loris Marzocchi su “Hurrà Juventus” del marzo 1997 –, Bosman lo preoccupa. Gigi Giandomenico, classe 1978, è il playmaker della Primavera bianconera. Un faro in mezzo al campo, uno di quei catalizzatori del gioco a cui affidare il pallone è un dovere di squadra e un piacere per lo spettacolo.
Il suo sinistro nasconde il pallone all’avversario e la sua testa produce inventive. Un direttore di orchestra estroso e costante nel dettare i tempi e la battuta. In mezzo al campo lo trovi ovunque occorre aiuto allo sviluppo dell’azione che lui rende fluida e geniale. Il suo passaggio non è mai fine a se stesso, perché il calcio che esprime è sempre creativo.
Giandomenico è nato giocatore, nessuno ha messo mano fin da quando era piccolo alla sua genìa calcistica, aveva tutto già dentro la testa e i piedi. Un marchigiano verace della provincia di Macerata. Un’altra scoperta di Claudio Cicchi che lo ha prelevato dalla Fermana cinque anni fa per presentarlo agli occhi ammirati di Furino. Ma prima c’è stata la squadra del Montecosaro, il paese dove è nato e dove abitano i suoi genitori pasticceri e suo fratello Andrea, sfortunato ex Primavera dell’Ascoli.
È proprio su questa vicenda che si basa la lotta di Giandomenico per diventare giocatore di calcio: «Io ci credo, nonostante queste nuove regole europee dell’allargamento delle frontiere. Certo la sentenza Bosman mi fa pensare, come mi lascia perplesso vedere tanti bravissimi compagni degli anni scorsi fare fatica per trovare posto in Serie C. Tanti stranieri ci penalizzano, noi giovani, però, di contro siamo più stimolati a fare bene. Tocca a noi dimostrare che la base del calcio italiano è sempre valida, anzi migliore di quella che viene offerta dall’estero».
Pensiero positivo, ragionamento logico di un giovanotto che vive il calcio con grande intensità di animo, ma con un occhio oggettivo alla realtà quotidiana: «Noi ragazzi italiani siamo tutti bravi, lo abbiamo dimostrato al Viareggio, dove le squadre straniere sono state ridimensionate a cominciare dall’Ajax, però la strada che porta al professionismo è difficile e piena di imprevisti. L’esempio di mio fratello Andrea, che ora ha venticinque anni, è emblematico. Era a un passo dalla prima squadra dell’Ascoli, ma un infortunio lo ha fermato per due stagioni e poi ha smesso definitivamente di giocare. Per fortuna non è così per tutti, però dobbiamo tenere i piedi bene in terra».
Una riflessione che fa onore al giovanotto e ne mette in luce la maturazione formatasi alla scuola juventina. Eppure Giandomenico di sogni nel cassetto ne ha parecchi e a giusta ragione. Da quattro anni la sua presenza è costante nelle squadre nazionali. Le ha frequentate tutte: Under 15, 16, 17 e 18. Stagioni azzurre da protagonista con cinque reti all’attivo e prestazioni da incorniciare, una in particolare: «Sì, quella con la Grecia a La Spezia con l’Under 18. Buona partita e un goal con partenza in dribbling da metà campo che non dimenticherò mai».
Un goal alla Zidane, il suo idolo che spesso affronta nella partitella del giovedì pomeriggio sotto gli occhi di Lippi che, tra l’altro, è un assiduo frequentatore del campionato Primavera. Dietro la rete del Combi il tecnico Campione del Mondo, scruta i talenti della casa madre e tra questi proprio Giandomenico, la guida del centrocampo bianconero che ha il vizio del goal. In questa stagione, compresa la Coppa Italia, è già a quota sette. La sua vittima preferita è stato il Parma: quattro goal di cui due su punizione. Uno dei colpi che alla bisogna estrae dal suo cilindro di potenziale campione.
Una sola presenza in bianconero per il talentino marchigiano: quella contro il Brescello, nella larga vittoria per 4-0 nel match di ritorno del primo turno di Coppa Italia, disputata al Delle Alpi il 24 settembre 1997. Quasi una mezzoretta di gloria, per Giandomenico, da ricordare per tutta la vita.
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