Lo slavo con gli occhi di ghiaccio e un mezzo sorriso che guarda truce negli occhi Van der Sar, portierone dell’Ajax prima di trafiggerlo su rigore, la tiepida notte dello stadio Olimpico sullo sfondo di una finale di Champions League: è questa l’immagine che i tifosi bianconeri conserveranno per sempre nella loro memoria. «Del tiro dal dischetto di Roma, se ci penso, sento ancora le stesse sensazioni di allora. Era l’ultimo, quello che valeva la coppa. Quel goal mi ha permesso di entrare nella storia di un club glorioso come la Juventus e di vincere la seconda Coppa Campioni. Cambierei qualcosa di quella notte? Mi gusterei maggiormente il successo. Subito dopo la finale di Roma andai a giocare con la mia Nazionale invece di festeggiare con i compagni».Vladimir Jugović, centrocampista di Trstenik, classe 1969, che Lippi ha fortissimamente voluto nell’estate del 1995 per rafforzare in quantità e qualità un centrocampo alla prova del fuoco della Champions League. Quando arriva a Torino, non è più un ragazzino e il calcio che conta lo mastica oramai da anni. Cresciuto nella Stella Rossa che vince la Coppa dei Campioni, mostra con la maglia della Sampdoria del suo maestro e scopritore Boškov, di saperci fare anche nel campionato più difficile del mondo.
«Ho iniziato a giocare a dodici anni in una piccola squadra dove, però, sono rimasto solo sei mesi. Subito dopo, sono passato alla Stella Rossa con la quale ho fatto tutte le trafile, sino ad arrivare alla prima squadra. L’esperienza nel settore giovanile è stata molto importante, perché non ho mai giocato con i ragazzi della mia età, ma sempre con quelli più grandi, dai quali ho imparato molto. A sedici anni ho fatto l’esordio in prima squadra, anche se per un’amichevole. A diciotto anni ho fatto il servizio militare e, al mio ritorno a Belgrado, ho dovuto affrontare una situazione difficile e prendere una decisione che si è poi rivelata molto importante per la mia carriera. Infatti, l’allenatore della Stella Rossa non mi considerava per niente; così, dopo solo una partita, ho deciso di andare nel Rad, squadra molto meno ambiziosa, dove ho trovato un bravo allenatore e dove sono riuscito a esprimere al meglio le mie capacità, disputando un buon campionato. La stagione successiva sono tornato alla Stella Rossa ed ho vinto la Coppa Campioni, giocando da titolare. Ma la mia vera consacrazione coincide con la vittoria nella Coppa Intercontinentale, conquistata a Tokyo nel dicembre del 1991; in quell’occasione ho due dei tre goal con i quali abbiamo battuto i cileni del Colo Colo. A Tokyo, ho capito che avrei davvero potuto farcela nel difficile mondo del calcio».
Arrivato a Torino, Vladimir ha subito le idee chiare: «Vorrei vincere il campionato e la Champions League e mi impegnerò al massimo per raggiungere questi traguardi. Il calcio dovrebbe essere solo un gioco, ma la sua legge impone di vincere».
La Juventus che ha già Conte, Sousa e Deschamps adesso si ritrova pure questo giocatore tosto che sa contrastare mettendo unghie e denti, ma anche impostare e, per di più, tira in porta da qualunque posizione, centrando molto spesso la porta. La squadra che spazza via Steaua, Rangers e Borussia Dortmund, nella prima tornata della Champions, capisce di aver trovato un puntello adeguato ai nuovi bisogni. Anche in campionato Jugo ci mette poco a rendersi utile. 27 agosto del 1995, prima giornata al Delle Alpi con la Cremonese che tenta improbabili barricate e Juventus che stenta, finché arriva la cannonata di Jugović da fuori area che fa giustizia e apre la goleada.
Per la coppa, invece, l’acuto avviene in semifinale: 3 aprile 1996, a Torino scende il Nantes, bisogna chiudere il conto nel match di andata per non rischiare una trasferta caldissima in Francia. Segna Vialli, raddoppia Jugović, perentorio, sempre dalla distanza È il prologo alla notte dello stadio Olimpico, 22 maggio 1996. La Champions alzata al cielo da Vialli è l’ultimo atto, il penultimo è il rigore decisivo trasformato da Vladimir.
Jugo si conferma anche nella stagione successiva: prima la Coppa Intercontinentale a Tokyo, con prestazione sopra le righe, poi la Supercoppa a spese del Paris Saint-Germain e infine lo scudetto, al quale dedica trenta partite e ben sei reti. Storica la doppietta al Milan nella serata del 6 aprile 1997, da raccontare ai nipoti. A San Siro, Juventus travolge Milan 6-1, di Jugović il primo e il terzo sigillo. Il suo ultimo goal è ancora in notturna, il 15 maggio: il Piacenza è travolto 4-1 mentre il Parma pareggia col Milan ed esce di scena, consegnando in anticipo il tricolore ai bianconeri.
L’avventura di Jugović si chiude qui. Due stagioni con molti successi e un mare di soddisfazioni, scudetto più tutte le coppe, Intercontinentale compresa. In totale, settantaquattro partite e dieci reti, due anni pienissimi.
8 commenti:
Bellissimo, ma se ricordo bene Jugovic segnò l'ultimo rigore a Roma contro l'Ajax.. :-)
Uno dei più forti centrocampisti della storia juventina, anche se solo per due anni....
Di chi stiamo parlando? Non di Sivori o Platini. Questa volta emerge dalle rimembranze uno slavo.
Corre il 22 maggio del 1996 e il mondo televisivo è catalettico nel silenzio. La mezzanotte è vicina.
La città è Roma: quella immortale perché eterna la decretò il Parnaso. Un evento non qualunque è in procinto: o tramortizza o ti lancia nel poema paradisiaco. Per chi delle due l’una? Chi rimarrà nelle tenebre? Chi vedrà lo splendore della luce olimpica? Chi decide? Io non credo la sorte. Perché
vedo un passo lento. Perché vedo un passo glaciale. Perché vedo il capo deviare a sinistra. Perché vedo l’accenno del labbro in torsione maligna. Perché vedo il ghigno. Perché non vedo lo slavo. Perché non vedo il campione vero. Perché non vedo il campione autentico. Perché una coltre di fumo lo avvolge: chi ne provoca l’effusione? Come Vialli dagli occhi lacrimosi non vide: nemmeno io. Perché l’attimo è fuggente. Jugovic: tiro, gol. Juventus campione d’Europa. Non trovo più nulla da dire per quel misterioso slavo nato nel 1969.
autore di un gran gol nel derby!!!
Che giocatore! Merito di Paolo Borea che lo portò in Italia...
Già vincitore della Coppa dei Campioni con la Stella Rossa di Belgrado e della Coppa intercontinentale (3 a 0) nella quale segnò una doppietta (lo sapete?): le rivince con la Juve accumunando pur la Supercoppa europea.
Non conviene guardarlo negli occhi.
Più la gloria è imponderabile più essa è bella.
Più ciò che vinci è importante più è meraviglioso.
Più il momento è così: il più grande lo decide.
Ma di chi stiamo parlando?
Non di Sivori o Platini.
Questa volta emerge dalle rimembranze uno slavo.
Corre il 22 maggio del 1996 e il mondo televisivo è catalettico nel silenzio tombale.
La mezzanotte è vicina.
La città è Roma: quella immortale perché eterna la decretò il Parnaso.
Un evento non qualunque è in procinto: o tramortizza o ti lancia nel poema paradisiaco.
Per chi delle due l’una?
Chi rimarrà nelle tenebre?
Chi vedrà lo splendore della luce olimpica?
Chi decide?
Io non credo la sorte.
Perché vedo un passo lento.
Perché vedo un passo glaciale.
Perché vedo il capo deviare a sinistra.
Perché vedo l’accenno del labbro in torsione maligna.
Perché vedo il ghigno.
Perché vedo il campione vero che decide la storia.
Perché non vedo il momento.
Perché una coltre di fumo lo avvolge: chi ne provoca l’effusione?
Come Vialli dagli occhi lacrimosi non vide: nemmeno io vidi.
Jugovic: tiro, gol. Juve campione d’Europa.
E nulla più dico per quel mistero slavo nato nel 1969.
Poco spazio mediatico per questo campione!
Ogni bene campione
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