giovedì 31 ottobre 2013

LA LATTINA DI BONINSEGNA


Roberto Boninsegna, ex centravanti dell’Inter, del Cagliari, della Juventus ed eroe dello squadrone azzurro secondo in Messico nel 1970, tanti anni fa andò a giocare in Germania, a Colonia, una partitella di vecchie glorie, insieme a Facchetti, Bellugi, Rosato, Altafini, Sala il poeta, contro tedeschi gloriosi come Haller, Netzer, Vogts, Schutz.
Una festa, una di quelle belle e sane rimpatriate che riconciliano con il calcio inteso finalmente solo come spettacolo e non guerra per i tre punti. Ma, se Facchetti, Rosato, Bellugi, Haller e Netzer furono accolti in campo da applausi e simpatia, lui, Bonimba venne invece subissato di fischi dal pubblico di Colonia da quando mise piede sul terreno di gioco, fino alla fine della partita. Boninsegna sarà pure stato un grande cannoniere di Inter, Cagliari, Juventus ed eroe azzurro, ma per i tedeschi è e resterà sempre quello della lattina.
Ecco come andò la storia.
Era il 20 ottobre del 1971. L’Inter, dopo aver vinto lo scudetto del sorpasso, quello che, sotto la guida di Invernizzi, aveva rimontato sette punti al Milan di Liedholm, era impegnata nel secondo turno della Coppa dei Campioni. Il sorteggio le aveva affidato una squadra tedesca, il Borussia di Mönchengladbach che non aveva una grande caratura internazionale, anche se nelle sue file allineava campioni come Netzer, Vogts, Wimmer, Bonhof e Heynckes. I nerazzurri, invece, potevano contare sui vari Mazzola, Burgnich, Facchetti, Corso, Boninsegna, Jair, giocatori che avevano vinto su tutti i campi del mondo.
Convinti di passare agevolmente il turno, i giocatori dell’Inter entrarono nel piccolo stadio di Mönchengladbach, davanti a 20.000 spettatori, con una certa sufficienza. Invece, si sbagliavano di grosso, perché stavano andando incontro a una delle più sonanti sconfitte della loro storia: un 7-1 umiliante e clamoroso che ancora adesso è tra le disfatte più vistose della società. Quel risultato, però, è stato cancellato dal tabellone della Coppa dei Campioni e, all’atto pratico, è come se non fosse mai avvenuto.
Era il 29’ del primo tempo. Il Borussia conduceva per 2-1. Aveva segnato prima Heynckes, Boninsegna aveva pareggiato, ma l’ala sinistra danese Le Fevre, aveva riportato in vantaggio i tedeschi. Il pallone era uscito in fallo laterale; Boninsegna era andato a raccoglierlo, per effettuare la rimessa, e stava per lanciarlo verso Jair, quando con un grido, era piombato a terra.
Una lattina l’aveva colpito alla nuca facendogli perdere i sensi. Accadde il finimondo: Invernizzi scattò dalla panchina, giunsero medico, massaggiatore e tutti i giocatori, compagni e avversari, fecero cerchio attorno al centravanti svenuto.
Una confusione enorme, un caos indescrivibile durante il quale soltanto due giocatori non persero la testa. Uno fu Netzer. il biondo centrocampista del Borussia che poi sarebbe diventato un pilastro della Nazionale, l’altro Sandro Mazzola. Il primo pensò a far sparire la lattina lanciandola immediatamente fuori dal campo, il secondo corse a recuperarla conscio dell’importanza di poter esibire il corpo del reato nell’eventuale processo.
Ma torniamo a Bonimba. Il centravanti restò intontito per qualche minuto. Poi l’arbitro olandese Dorpmans fu costretto a ordinare la ripresa del gioco e l’Inter provvide alla sostituzione di Boninsegna. Entrò al suo posto Ghio. Il Borussia riprese ad attaccare, i nerazzurri apparvero sempre più frastornati dal ritmo degli avversari e dall’urlo della folla e fu un disastro: 4-1 alla fine del primo tempo e 7-1 il risultato finale.
Ma il giorno dopo si scatenò la battaglia legale ed entrò in campo l’avvocato Giuseppe Prisco, vice presidente nerazzurro. Fece ricorso alla commissione disciplinare dell’Uefa, sostenendo che la partita non poteva essere giudicata regolare, in quanto l’Inter non aveva avuto la possibilità, per cause esterne, di tenere in campo fino alla fine il suo centravanti. Si chiedeva quindi, visto che il regolamento delle coppe non prevedeva la sconfitta a tavolino per responsabilità oggettiva, almeno la ripetizione della gara.
Dalla Germania piovvero insulti. Boninsegna venne accusato di aver fatto una sceneggiata, il presidente Fraizzoli, l’allenatore Invernizzi e tutti gli altri di non saper perdere. Furono otto giorni di fuoco, durante i quali l’Inter scoprì l’identità del lanciatore della lattina: l’operaio ventinovenne Manfred Kristein. Netzer disse che avrebbe venduto la sua Ferrari Dino, perché non voleva avere niente a che fare con l’Italia, i nostri connazionali che lavoravano in Germania subirono angherie e soprusi dai compagni di lavoro tedeschi, ma alla fine la giustizia trionfò.
Il 28 ottobre 1971 la partita venne annullata dalla commissione disciplinare: il doppio confronto fra Inter e il Borussia era da rifare. Non solo: il campo di Mönchengladbach fu squalificato per un turno, per cui l’Inter avrebbe usufruito del vantaggio di giocare la partita di ritorno in campo neutro. La prima scelta fu Berna, ma poi, per motivi di incasso, si scelse Berlino.
Tutta l’Inter esultò. Gli stessi giocatori furono felici di potersi confrontare di nuovo con i tedeschi. Soltanto uno non partecipò alle feste nerazzurre: Mariolino Corso, il mancino d’oro del centrocampo. Lui, infatti, fu l’unico interista a pagare: la commissione lo squalificò per un anno e due mesi ritenendolo colpevole di aver dato un calcio all’arbitro durante una mischia verificatasi a fine partita. Era tutto falso, perché il calcio l’aveva sferrato Ghio, ma non ci fu niente da fare. Corso fu sacrificato all’altare della giustizia sportiva e obbligato ad assistere dalla tribuna alla ripetizione della sfida infuocata tra Inter e Borussia.
La partita di andata si giocò a San Siro il 3 novembre 1971. Lo stadio era pieno fino all’inverosimile, l’ambiente era surriscaldato come non mai. Forse, soltanto ai tempi di Herrera, con la sfida Inter-Liverpool (il clamoroso 3-0 con goal rapina di Peirò) si era arrivati a tanta agitazione. E l’Inter seppe regalare ai suoi tifosi una grande vittoria per 4-2, al termine di un incontro fantastico. Segnò per primo Mauro Bellugi, poi proprio Boninsegna, poi Le Fevre, Jair, Wittkamp e subito dopo, oramai allo scadere, Ghio.
Ma c’era ancora da giocare la partita di ritorno e non si sarebbe trattato certo di andare a fare una passeggiata dalle parti di Berlino. Ma stavolta l’Inter aveva un grande vantaggio: sapeva perfettamente cosa avrebbe incontrato, non avrebbe di certo sottovalutato la partita; per quasi un mese Invernizzi tenne in tensione i suoi ragazzi, e poi, all’ultimo momento, estrasse dal cilindro il colpo vincente. Mandò in porta un ragazzino di vent’anni, Ivano Bordon al posto di Lido Vieri.
E Bordon, davanti ad 80.000 spettatori e circa 20 milioni di telespettatori italiani che videro l’incontro in diretta, disputò quello che può essere ritenuta la più bella partita della sua vita. Riuscì a parare tutto, tiri alti e tiri bassi, da lontano e da vicino, in mischia e su azione lineare. Parò anche un rigore, al cannoniere Heycknes, e fu eletto autentico eroe della serata.
Finì 0-0, furono grandi feste, e l’Inter poté così continuare la sua strada fino alla finale della Coppa dei Campioni. Non riuscì a vincere la coppa, perché si trovò di fronte l’imbattibile Ajax di allora, che vinse la partita con due goal del grandissimo Johann Cruijff, che si fece beffa della difesa interista.
Ma ora dobbiamo tornare alla partita di Mönchengladbach. Eravamo rimasti a quando Mazzola si era diretto ai bordi del campo per recuperare il corpo del reato. La lattina vera, quella che colpì Boninsegna, non fu mai trovata. Netzer l’aveva lanciata verso un poliziotto che era stato sveltissimo a infilarsela sotto il cappotto. Mazzola vide tutta la scena, provò a scuotere l’agente ma, dopo aver visto l’inutilità del suo tentativo, non si perse d’animo.
Si guardò intorno e incrociò lo sguardo di due tifosi italiani attaccati alla rete di recinzione. Mazzola e i tifosi si capirono al volo, non ci fu neppure bisogno di parole. Uno di questi stava sorseggiando una bibita da una lattina uguale a quella appena sparita. Se la staccò dalle labbra e la lanciò a Sandro che corse a portarla all’arbitro davanti allo sguardo sorpreso di Netzer.
Non si è mai saputo come se la cavarono i due tifosi italiani in mezzo alla bolgia di Mönchengladbach; ma, senza quel gesto e senza la presenza di spirito di capitan Mazzola, l’Inter non avrebbe mai potuto vincere la sua battaglia legale.
E i tedeschi continuano a fischiare Boninsegna...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Che post interessante e scritto bene ..l'ho letto con attenzione e tutto d'un fiato
Non amo il calcio ma tu lo rendi interessante con i tuoi scritti complimenti!!!!!!
CatCat :)

Unknown ha detto...

In altre fonti viene riportato che fu effettivamente Corso a scalciare l'arbitro, e che ci fu il tentativo dell'Inter di incolpare Ghio, il quale rifiutò il "sacrificio".