Riprendersi da un infortunio e tornare in campo più forti di prima – scrive Umberto Zola su “Hurrà Juventus” del luglio 2006 – a parole sembra semplice, ma concretamente e ben altra cosa. Non e facile mantenere la serenità quando ci si trova faccia a faccia col primo, grave trauma di una felice carriera. Spesso sono le energie mentali, più di quelle fisiche, a venir meno. Sono tanti i cattivi pensieri che, inevitabilmente, colpiscono il morale di chi al calcio ha dedicato buona parte della propria vita e, improvvisamente, proprio dal calcio si trova tradito, abbandonato. Eppure e proprio in quei momenti che ci vogliono forza d’animo e ottimismo, perché impegnandosi un incoraggiamento sincero può trasformarsi nella storia della propria vita. Ne sa qualcosa Marco Marchionni, nuova importante pedina del centrocampo bianconero.
Nato a Monterotondo il 22 luglio di ventisei anni fa, l’ex parmense e un ragazzo tranquillo, educato, coi piedi ben piantati per terra. Marchionni e un calciatore vecchio stampo, una persona semplice che adora il suo paesino, Cretone, poco più di un migliaio di abitanti a una trentina di chilometri da Roma: «Ci torno appena ho un po’ di tempo libero, a trovare la famiglia e gli amici più cari. Mi piace un sacco l’atmosfera di pace che si respira lì. È una frazione piccola, ma accogliente: hai la tranquillità della campagna, con Roma a portata di mano».
Un ragazzo con la testa sulle spalle, insomma, che alla mondanità preferisce di gran lunga la tranquillità. E che ama Cretone anche per un altro motivo: «È lì che ho conosciuto mia moglie Claudia. Nonostante la giovinezza siamo una coppia più che consolidata. Siamo stati fidanzati sette anni, prima di sposarci due anni fa. Anche lei adora il suo paese natale, perciò a fine carriera andremo sicuramente a viverci».
La famiglia, gli amici e il pallone: tutto il mondo di Marco ruota attorno al suo paese natale: «Il calcio è la mia passione più grande sin da quando ero un bambino. Giocavo a pallone appena ne avevo l’opportunità, ovunque mi capitasse, anche per strada, con gli amici».
Ed è proprio su quelle strade che e iniziata l’avventura di Marchionni: «La mia prima squadra di calcio fu il Castelchiodato, dal momento che il mio paese non aveva una rappresentativa giovanile. Avevo otto anni e ricordo che giocavo già a centrocampo, ma a sinistra. A quindici anni sono passato nel Monterotondo, e lì ho fatto tutte le giovanili fino alla categoria dilettanti».
– Poi, a diciotto anni, il grande salto... «Sì. Improvvisamente mi sono ritrovato dal campionato dilettanti alla Serie A, con la maglia dell’Empoli. Era un balzo di categoria notevole per un giovane, ma devo ammettere di non aver perso la testa. La società toscana mi ha lasciato maturare piano piano, alternando la prima squadra con la formazione Primavera. Ero arrivato come attaccante, poi Baldini mi ha trasformato in esterno di centrocampo ed è stata una scelta azzeccata. Per le mie caratteristiche fisiche in fascia rendo molto meglio che davanti».
– Tre anni con l’Empoli, poi sei passato al Parma e la tua carriera ha spiccato il volo fino alla Nazionale. «La convocazione azzurra è stata un sogno che si avvera. Sono sceso in campo in due occasioni, nel 2003, con Trapattoni in panchina. Poi per colpa dell’infortunio ho temuto di essere uscito dal giro».
– Già, l’infortunio. Ti ha messo all’angolo ma ne sei uscito alla grande. «È stato il momento più brutto della mia carriera. Lo scorso anno, a marzo, durante il match con l’Atalanta mi sono lesionato il menisco del ginocchio destro. Ero parecchio preoccupato e devo ringraziare in particolar modo il fisioterapista Fabio Paganelli, che mi ha fatto ritornare la fiducia e mi ha seguito nella lunga fase di riabilitazione. Al primo infortunio grave della carriera ci si fascia sempre la testa più del dovuto. Sono stato costretto a saltare il ritiro, ma impegnandomi con costanza e senza forzare i tempi sono riuscito a recuperare completamente, ritornando in campo a ottobre, sette mesi dopo quell’Atalanta-Parma. All’inizio non a stato facile, ma col passare del tempo sono ritornato ai livelli di prima ed ho disputato un buon campionato. Un mese fa è arrivata la chiamata di Lippi. Essere in ritiro con i ventisette migliori calciatori italiani è stata una soddisfazione enorme».
– In questa stagione hai brillato per i tanti assist forniti ai tuoi compagni. Ma ti sei fatto vedere anche davanti alla porta, con quattro gol segnati. Cosa ti dà maggior soddisfazione? «Sono due emozioni diverse. Fare gol a una gioia personale, mentre con un assist hai la profonda riconoscenza dei compagni. Se devo scegliere, dico che preferisco fare gli assist, anche perché davanti alla porta non sono abbastanza freddo. E, prima di tirare, controllo sempre che non ci sia un compagno da servire».
– Dopo un grande campionato, una grande squadra: la Juventus. Cosa Si prova a essere un giocatore bianconero? «Una grandissima soddisfazione. Faccio parte di una società dalla storia gloriosa, che fin dal primo istante mi ha colpito per quanto e ben organizzata. Da piccolo non ci avrei nemmeno creduto, invece ora eccomi qua. Nella stessa squadra in cui giocava il mio idolo quand’ero ragazzino: Roberto Baggio. È veramente un’emozione. Conosco Cannavaro dai tempi del Parma ed ho parlato con Del Piero durante il ritiro azzurro. Mi hanno detto tutti che in questa squadra mi troverò benissimo».
– E di Torino cosa ti hanno detto? «Che è una città che si addice al mio carattere. Tranquilla come lo era Parma, pur essendo più grande. Ci ero già venuto l’anno scorso, a vedere Juve-Parma, e sono convinto che sia l’ambiente ideale per me».
– Una città incastonata tra le montagne olimpiche e il mare. Tu cosa preferisci? «Adoro il mare, la spiaggia e quando sono in vacanza ci passo la maggior parte del mio tempo. Però mi piace anche la montagna, la neve, anche se per la mia professione preferisco le passeggiate agli sci».
– Quest’anno i tuoi progressi sono stati notevoli. Hai ritrovato la maglia azzurra e la prossima stagione giocherai nella Juventus. Pensi di avere ulteriori margini di miglioramento? «Oh, certamente. Vorrei migliorare la mia capacità di gioco col piede sinistro, in modo da poter giocare bene anche sull’altra fascia. Sia con Prandelli che con Carmignani ho disputato qualche partita da quella parte, ma mi trovo meglio a destra, dove posso crossare col mio piede. E poi vorrei imparare a essere un po’ più freddo quando mi trovo davanti al portiere».
– Migliaia di giovani calciatori sognano di raggiungere la serie A. Quali sono i requisiti necessari a sfondare? «Beh, innanzi tutto occorre essere dei bravi giocatori, diligenti e vogliosi di imparare. E poi sono convinto che ci voglia anche una buona dose di fortuna, perché il treno per la serie A non passa molte volte. Bisogna trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Il mondo è pieno di calciatori promettenti, che purtroppo rimangono tali perché non hanno l’occasione di mettersi in mostra. Succede in ogni sport. La mia fortuna è stata di incontrare Lonardi, che dal Monterotondo è passato all’Empoli e mi ha voluto con sé. Fino ad allora, il calcio per me era poco più che un divertimento».
– Per questo ti impegnavi anche negli studi. «Ho sempre tenuto presente che approdare al professionismo e molto difficile. Il calcio può essere un obiettivo, ma non deve essere l’unico scopo della propria gioventù. Bisogna anche tenere aperte altre strade. Perciò non ho mai trascurato gli studi, fino a ottenere il diploma di ragioneria».
– E se non ce l’avessi fatta? «Avrei continuato a studiare fino alla laurea e avrei cercato un lavoro come hanno fatto i miei fratelli».
– A proposito, quale ruolo ha avuto la tua famiglia nella tua carriera? «È stata ed è fondamentale. Sono il più piccolo di quattro fratelli che mi hanno sempre seguito, così come mia madre. Purtroppo mio padre è mancato nel 1989, perciò mia mamma ha dovuto vestire i panni di entrambi i genitori. Non è stato facile. A volte mi soffermo a pensare ai tanti sacrifici che ha fatto quando ero bambino pur di farmi giocare a pallone, la mia passione. È sempre stata mia tifosa, così come sono sicuro che sarebbe stato anche mio papà. Se sono diventato un calciatore lo devo soprattutto a lei e per questo non posso far altro che ringraziarla. Anche i miei fratelli mi sono sempre stati vicini. Hanno fatto spesso più di 400 chilometri per venirmi a vedere a Parma, e ci sentiamo ogni giorno. Ora che sono a Torino siamo ancora più distanti, ma sono certo che riusciranno a venire ogni tanto. Ed io, come sempre, appena avrò qualche giorno libero andrò a trovarli».
Gentile, ottimista e mai sopra le righe. Marco lo stile Juve ce l’ha nel sangue.
Buon protagonista del campionato cadetto con la Vecchia Signora si merita la conferma per il campionato successivo che, purtroppo, lo vedrà ancora falcidiato dagli infortuni: il 2 agosto, durante la tournèe inglese, si procura una distorsione dell’avampiede sinistro che causa una frattura incompleta del quinto osso metatarsiale. Lo stop è di tre mesi; il 25 novembre 2007, nella gara contro il Palermo vinta dai bianconeri per 5-0, entra in campo a metà ripresa e, dopo pochi minuti, segna il gol del provvisorio 4-0, il suo primo con la maglia della Juventus in Serie A. Un ulteriore infortunio, patito il 24 gennaio in Coppa Italia contro l’Inter, fa temere una nuova frattura allo stesso piede che, fortunatamente, si rivela essere solo una distorsione al piede con una prognosi di 25-30 giorni.
Nella stagione successiva, ritorna in campo il 14 settembre nella partita con l’Udinese e, in seguito all’infortunio di Camoranesi, diventa ben presto titolare, alternando ottime prestazioni (come quella contro la Roma all’Olimpico di Torino, nella quale realizza il gol del raddoppio juventino) a prove meno brillanti. Rimane nella mente dei tifosi bianconeri, la rete mancata contro l’Inter all’Olimpico quando, presentatosi solo di fronte all’estremo difensore nerazzurro, si fa respingere il tiro a causa dell’errato controllo di palla, uno dei suoi principali difetti.
Il sodalizio con la compagine juventina si interrompe nell’estate del 2009 quando, nell’ambito dell’operazione che porta il brasiliano Felipe Melo a vestire la maglia bianconera, è ceduto alla Fiorentina. In totale Marco scende in campo 78 volte e realizza 7 reti.
3 commenti:
Da buon tifoso dei viola, spero che la sua carriera sia arrivata ad una svolta. Abbiamo bisogno di un giocatore come lui capace di dribblare, crossare e creare qualche opportunita per Gila e Mutu...
Spero che la sua carriera sia arrivata ad una svolta. Da tifoso della Fiorentina abbiamo bisogna del suo dribbling e i suoi cross. Speriamo bene...
Un ottimo giocatore, molto corretto. Poteva essere l'erede di Di Livio, peccato per gli infortuni che lo hanno limitato molto nella sua carriera; ma è ancora in tempo per rifarsi (spero non contro di noi!).
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