Ho conosciuto Enrico Craveri nel 1904 a Ivrea – scrive Antonio Scamoni, su “Hurrà Juventus” del febbraio 1972 – dove Egli fondò con Carlo Realis, con i fratelli De la Pierre, con Salvator Gotta, con me e con altri giovani il Football Club Ivrea, emanazione provinciale della Juventus cui egli già da allora era spiritualmente legato e della quale volle si adottassero i colori bianco e nero.Nella Juventus
effettivamente si iscrisse nel 1905, allorché, frequentando l'Università,
faceva la spola fra Torino e Ivrea, finché nel 1908 per ragioni professionali
si stabili definitivamente in Torino.
Il tempo libero, già da allora, lo dedicava tutto alla Juventus nella quale ricopriva cariche sociali.
Ricordo che in quell'epoca egli organizzò una gara fra la squadra dei F.C. Ivrea e la Juventus stessa allora Campione d'Italia, gara che si svolse ad Agliè alla presenza dì poca gente ma del ben noto poeta, nostro amico Guido Gozzano che si rammaricava di non poter essere con noi nella squadra: naturalmente fummo battuti.
Trasferitomi a mia volta, alla fine del 1908 a Torino; da lui presentato entrai nel club dei bianconeri e seguii l'attività sociale dell'amico carissimo fino alla sua dipartita.
Nel 1912 egli andò a Milano per frequentare lo studio di un eminente giurista e fu appunto da quell'epoca il battagliero rappresentante della Juventus nelle Assemblee Federali che si tennero in quella città e altrove distinguendosi sempre in modo particolare per la sua facondia e per l'autorevolezza dei suoi proficui interventi nelle spesso accalorate discussioni.
Tornato qualche anno dopo a Torino riprese intensamente l'attività nella Juventus ricoprendo ininterrottamente (salvo il periodo della guerra 1915-18 alla quale partecipò quale combattente) nella Direzione del club la carica di Vice Presidente tino alla fine del 1955. Fu così a fianco di molti Presidenti fra i quali ricordo il dott. Hess. il prof. Corrado, l'on. Olivetti, il dott. Edoardo Agnelli, il conte Emilio De la Forest, il comm. Dusio e il dott. Gianni Agnelli.
In tutto questo periodo di tempo ebbe a colleghi, tra gli altri, quali Vice Presidenti il Barone Giovanni Mazzonis, il geom. Domenico Monateri e il dott. Cravetto e, mentre questi si occupavano maggiormente della squadra, egli dedicava il suo tempo alla rappresentanza della società e in particolare era suo maggiore assillo quello di dare al club quel tono di signorilità e correttezza che valsero, col valore della squadra a procurare alla Juventus simpatie in tutta Italia, come lo dimostrano oggi i circa settecento circoli juventini sparsi in ogni regione con notevole preponderanza in Lombardia.
Il periodo d'oro della Juventus, il famoso quinquennio dei cinque campionati consecutivi, vede pertanto il suo nome strettamente legato a quelli di Edoardo Agnelli, di Giovanni Mazzonis e di Domenico Monateri. Più probante ancora è la opera spesa nei momenti difficili e indubbiamente uno dei suoi più alti meriti fu quello di essere riuscito, dopo l'immatura dipartita di Edoardo Agnelli, a mantenere, con Mazzonis, saldamente in piedi la società alla quale era venuta improvvisamente a mancare la forza morale ed economica del suo benemerito Presidente.
E ugual merito egli si è acquistato più tardi quando col compianto Prof. Vittorio Ferrero, col dottor Cravetto e il comm. Remo Giordanettì riuscì a superare la crisi del 1952-53 in cui venne a trovarsi il Club fino all'ascesa, quale Presidente, del dottor Umberto Agnelli.
Gli amici Pozzo e Corradini, pur loro già scomparsi lasciando un gran vuoto nella stampa sportiva, nei profili di cui trattarono la “Stampa” e “Tuttosport” dell'11 e 12 novembre, hanno mirabilmente sintetizzato la figura di Enrico Craveri.
Disse Pozzo: «L'avv. Craveri è uno degli uomini che creò la Juventus e ne fece l'ente che esso è. Buon parlatore, dotato di rara facondia, egli era presente in tutte le manifestazioni oratorie, in tutte le tenzoni polemiche in cui si trattava di difendere il nome della sua società… e per anni e anni, nelle assemblee federali la sua voce acuta, squillante, impetuosa e decisa. pungente, prese di punta i problemi più importanti del momento. Era la negazione del diplomatico, era l'espressione diretta di principi, di idee, di convinzioni».
Disse Corradini: «Anticonformista per eccellenza, indipendente di pensiero e di azione, signore nel gesto e nella parola, Enrico Craveri fu, col Barone Mazzonis, una tipica espressione della quadratura e della mentalità juventina… Uomo integerrimo, sportivo di suprema lealtà ed equanimità. inflessibile con i suoi stessi colleghi di direzione, diede alla Juventus quell'impronta di serietà, di correttezza e di signorilità che ancor oggi la caratterizzano. Gli anziani lo ricordano con schietta simpatia e lo rimpiangono come dirigente di elevatezza sportiva difficilmente eguagliabile».
La Juventus era per lui assai più che un passatempo, era in gran parte la sua vita. Ebbe a sostenere per essa anche un duello e pure in tale occasione rifulse la sua fierezza, il suo carattere intrepido, pungente, veramente singolare.
Ne ricordo l'episodio.
I motivi che l'avevano portato a battersi erano piuttosto seri: si trattava di parole che potevano ledere la correttezza della persona. I duellanti erano già in guardia con le sciabole pronte all'attacco, il direttore dello scontro stava per dare l'avvio, quando il suo antagonista con mossa fulminea, precedendo per un istante “l'a voi” egli menò un fendente alla testa. Craveri preso alla sprovvista riuscì tuttavia a parare, ma la lama dell'avversario lo tenni all'avambraccio recidendogli i muscoli e il nervo radiale. Mi raccontò il chirurgo Vittorio Ferrero, che assisteva all'incontro, che mentre stava medicando la grave ferita, Craveri, incurante del dolore, con fare sprezzante disse forte all'altro duellante: «Da lei non mi aspettavo altro».
E l'impronta di serietà, di correttezza e di signorilità ricordata così bene da Corradini, ha luminosa conferma in quest'altro episodio che anche oggi, più che mai, ha valore di monito.
Negli ultimi venti minuti di gioco in una partita già vinta dalla Juventus che virtualmente significava la vincita dello scudetto, un bravissimo giocatore bianconero si dilettava a beffeggiare, con finte e contro finte un avversario già evidentemente disfatto dalla chiara sconfitta schernendolo anche, come sembrava evidente da sorriso canzonatorio e parole di dileggio che si udivano: poco cavalleresco comportamento verso avversari già avviliti per la grave sconfitta subita.
Ebbene, al termine della gara, Craveri, recatosi negli spogliatoi, si compiacque con tutti per la brillante vittoria conseguita e particolarmente con quel giocatore che era stato uno degli elementi più efficaci, al quale però aggiunse con molta serietà, cambiando di tono: «Però sia la prima e l'ultima volta che lei si permette di sbeffeggiare gli avversari, si ricordi che ciò non è sportivo».
Il fare era così secco che il giocatore ritenne doveroso di scusarsi dicendo: «Si, avvocato: è giusto quello che lei dice, però nel match di andata loro hanno preso in giro noi che avevamo perso».
Al che il Craveri rispose: «Altri facciano ciò che più gli aggrada, noi, no, non è del nostro stile».
Non era ambizioso e ciò sembrava strano dato il suo carattere fiero, tendente sempre a voler primeggiare: rifiutò infatti costantemente alte cariche federali che più volte gli erano insistentemente offerte.
Nella sua professione di avvocato fu veramente distintissimo, apprezzato sia nel foro e sia nel campo industriale cui dedicò pure parte della sua attività, ma, forse, la sua aspirazione nella vita sarebbe stata ben altra, Anima di squisito artista, sensibilissimo al bello, era un fanatico dell'arte e profondissimo esperto, specie in materia di antiquariato per cui, con senso quasi religioso, aveva raccolto nella sua casa pregevolissimi pezzi.
Vi era in lui spesso, e dal suo dire ben traspariva, come un desiderio di evadere dal consuetudinario mondo degli affari per vivere di ciò che era la sua passione, l'arte. Forse per questo, in uno degli ultimi colloqui che ebbi con lui durante sua malattia. mi disse convintissimo, presente un suo caro nipote: «Io sono un mancato!».
Noi sorridemmo increduli ed egli, di fronte alle nostre rimostranze, stava per partire in quarta per dimostrarci la veridicità della assurda sua affermazione, quando opportunamente entrò altra persona nella stanza e il discorso cadde evitandogli una fatica nella dissertazione che certamente ne avrebbe fatto. Così era Craveri!
Credo in definitiva di poter affermare che, oltre agli affetti familiari le sue vere passioni siano state l'arte e la Juventus e certo quest'ultima, dal suo senso del bello e dalla sua correttezza trasse in gran parte la ragione della signorilità che le è giustamente attribuita.
L'ultima volta che l'andai a trovare, pochi giorni prima della fine, egli era sotto una atroce crisi del male; tuttavia, dal suo letto di dolore, udita la mia voce dalla camera adiacente, volle vedermi e, il viso contratto dallo spasimo ebbe la forza di sorridermi e di dirmi, stringendomi la mano: «Grazie, caro Tonino salutami il Presidente e tutti gli amici juventini».
Mi ritirai ed ebbi la dolorosa impressione che quello fosse un congedo definitivo e lo tu veramente, caro mio fraterno amico, cavaliere senza macchia e senza paura.
Il tempo libero, già da allora, lo dedicava tutto alla Juventus nella quale ricopriva cariche sociali.
Ricordo che in quell'epoca egli organizzò una gara fra la squadra dei F.C. Ivrea e la Juventus stessa allora Campione d'Italia, gara che si svolse ad Agliè alla presenza dì poca gente ma del ben noto poeta, nostro amico Guido Gozzano che si rammaricava di non poter essere con noi nella squadra: naturalmente fummo battuti.
Trasferitomi a mia volta, alla fine del 1908 a Torino; da lui presentato entrai nel club dei bianconeri e seguii l'attività sociale dell'amico carissimo fino alla sua dipartita.
Nel 1912 egli andò a Milano per frequentare lo studio di un eminente giurista e fu appunto da quell'epoca il battagliero rappresentante della Juventus nelle Assemblee Federali che si tennero in quella città e altrove distinguendosi sempre in modo particolare per la sua facondia e per l'autorevolezza dei suoi proficui interventi nelle spesso accalorate discussioni.
Tornato qualche anno dopo a Torino riprese intensamente l'attività nella Juventus ricoprendo ininterrottamente (salvo il periodo della guerra 1915-18 alla quale partecipò quale combattente) nella Direzione del club la carica di Vice Presidente tino alla fine del 1955. Fu così a fianco di molti Presidenti fra i quali ricordo il dott. Hess. il prof. Corrado, l'on. Olivetti, il dott. Edoardo Agnelli, il conte Emilio De la Forest, il comm. Dusio e il dott. Gianni Agnelli.
In tutto questo periodo di tempo ebbe a colleghi, tra gli altri, quali Vice Presidenti il Barone Giovanni Mazzonis, il geom. Domenico Monateri e il dott. Cravetto e, mentre questi si occupavano maggiormente della squadra, egli dedicava il suo tempo alla rappresentanza della società e in particolare era suo maggiore assillo quello di dare al club quel tono di signorilità e correttezza che valsero, col valore della squadra a procurare alla Juventus simpatie in tutta Italia, come lo dimostrano oggi i circa settecento circoli juventini sparsi in ogni regione con notevole preponderanza in Lombardia.
Il periodo d'oro della Juventus, il famoso quinquennio dei cinque campionati consecutivi, vede pertanto il suo nome strettamente legato a quelli di Edoardo Agnelli, di Giovanni Mazzonis e di Domenico Monateri. Più probante ancora è la opera spesa nei momenti difficili e indubbiamente uno dei suoi più alti meriti fu quello di essere riuscito, dopo l'immatura dipartita di Edoardo Agnelli, a mantenere, con Mazzonis, saldamente in piedi la società alla quale era venuta improvvisamente a mancare la forza morale ed economica del suo benemerito Presidente.
E ugual merito egli si è acquistato più tardi quando col compianto Prof. Vittorio Ferrero, col dottor Cravetto e il comm. Remo Giordanettì riuscì a superare la crisi del 1952-53 in cui venne a trovarsi il Club fino all'ascesa, quale Presidente, del dottor Umberto Agnelli.
Gli amici Pozzo e Corradini, pur loro già scomparsi lasciando un gran vuoto nella stampa sportiva, nei profili di cui trattarono la “Stampa” e “Tuttosport” dell'11 e 12 novembre, hanno mirabilmente sintetizzato la figura di Enrico Craveri.
Disse Pozzo: «L'avv. Craveri è uno degli uomini che creò la Juventus e ne fece l'ente che esso è. Buon parlatore, dotato di rara facondia, egli era presente in tutte le manifestazioni oratorie, in tutte le tenzoni polemiche in cui si trattava di difendere il nome della sua società… e per anni e anni, nelle assemblee federali la sua voce acuta, squillante, impetuosa e decisa. pungente, prese di punta i problemi più importanti del momento. Era la negazione del diplomatico, era l'espressione diretta di principi, di idee, di convinzioni».
Disse Corradini: «Anticonformista per eccellenza, indipendente di pensiero e di azione, signore nel gesto e nella parola, Enrico Craveri fu, col Barone Mazzonis, una tipica espressione della quadratura e della mentalità juventina… Uomo integerrimo, sportivo di suprema lealtà ed equanimità. inflessibile con i suoi stessi colleghi di direzione, diede alla Juventus quell'impronta di serietà, di correttezza e di signorilità che ancor oggi la caratterizzano. Gli anziani lo ricordano con schietta simpatia e lo rimpiangono come dirigente di elevatezza sportiva difficilmente eguagliabile».
La Juventus era per lui assai più che un passatempo, era in gran parte la sua vita. Ebbe a sostenere per essa anche un duello e pure in tale occasione rifulse la sua fierezza, il suo carattere intrepido, pungente, veramente singolare.
Ne ricordo l'episodio.
I motivi che l'avevano portato a battersi erano piuttosto seri: si trattava di parole che potevano ledere la correttezza della persona. I duellanti erano già in guardia con le sciabole pronte all'attacco, il direttore dello scontro stava per dare l'avvio, quando il suo antagonista con mossa fulminea, precedendo per un istante “l'a voi” egli menò un fendente alla testa. Craveri preso alla sprovvista riuscì tuttavia a parare, ma la lama dell'avversario lo tenni all'avambraccio recidendogli i muscoli e il nervo radiale. Mi raccontò il chirurgo Vittorio Ferrero, che assisteva all'incontro, che mentre stava medicando la grave ferita, Craveri, incurante del dolore, con fare sprezzante disse forte all'altro duellante: «Da lei non mi aspettavo altro».
E l'impronta di serietà, di correttezza e di signorilità ricordata così bene da Corradini, ha luminosa conferma in quest'altro episodio che anche oggi, più che mai, ha valore di monito.
Negli ultimi venti minuti di gioco in una partita già vinta dalla Juventus che virtualmente significava la vincita dello scudetto, un bravissimo giocatore bianconero si dilettava a beffeggiare, con finte e contro finte un avversario già evidentemente disfatto dalla chiara sconfitta schernendolo anche, come sembrava evidente da sorriso canzonatorio e parole di dileggio che si udivano: poco cavalleresco comportamento verso avversari già avviliti per la grave sconfitta subita.
Ebbene, al termine della gara, Craveri, recatosi negli spogliatoi, si compiacque con tutti per la brillante vittoria conseguita e particolarmente con quel giocatore che era stato uno degli elementi più efficaci, al quale però aggiunse con molta serietà, cambiando di tono: «Però sia la prima e l'ultima volta che lei si permette di sbeffeggiare gli avversari, si ricordi che ciò non è sportivo».
Il fare era così secco che il giocatore ritenne doveroso di scusarsi dicendo: «Si, avvocato: è giusto quello che lei dice, però nel match di andata loro hanno preso in giro noi che avevamo perso».
Al che il Craveri rispose: «Altri facciano ciò che più gli aggrada, noi, no, non è del nostro stile».
Non era ambizioso e ciò sembrava strano dato il suo carattere fiero, tendente sempre a voler primeggiare: rifiutò infatti costantemente alte cariche federali che più volte gli erano insistentemente offerte.
Nella sua professione di avvocato fu veramente distintissimo, apprezzato sia nel foro e sia nel campo industriale cui dedicò pure parte della sua attività, ma, forse, la sua aspirazione nella vita sarebbe stata ben altra, Anima di squisito artista, sensibilissimo al bello, era un fanatico dell'arte e profondissimo esperto, specie in materia di antiquariato per cui, con senso quasi religioso, aveva raccolto nella sua casa pregevolissimi pezzi.
Vi era in lui spesso, e dal suo dire ben traspariva, come un desiderio di evadere dal consuetudinario mondo degli affari per vivere di ciò che era la sua passione, l'arte. Forse per questo, in uno degli ultimi colloqui che ebbi con lui durante sua malattia. mi disse convintissimo, presente un suo caro nipote: «Io sono un mancato!».
Noi sorridemmo increduli ed egli, di fronte alle nostre rimostranze, stava per partire in quarta per dimostrarci la veridicità della assurda sua affermazione, quando opportunamente entrò altra persona nella stanza e il discorso cadde evitandogli una fatica nella dissertazione che certamente ne avrebbe fatto. Così era Craveri!
Credo in definitiva di poter affermare che, oltre agli affetti familiari le sue vere passioni siano state l'arte e la Juventus e certo quest'ultima, dal suo senso del bello e dalla sua correttezza trasse in gran parte la ragione della signorilità che le è giustamente attribuita.
L'ultima volta che l'andai a trovare, pochi giorni prima della fine, egli era sotto una atroce crisi del male; tuttavia, dal suo letto di dolore, udita la mia voce dalla camera adiacente, volle vedermi e, il viso contratto dallo spasimo ebbe la forza di sorridermi e di dirmi, stringendomi la mano: «Grazie, caro Tonino salutami il Presidente e tutti gli amici juventini».
Mi ritirai ed ebbi la dolorosa impressione che quello fosse un congedo definitivo e lo tu veramente, caro mio fraterno amico, cavaliere senza macchia e senza paura.
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