È difficile che la Juventus di Boniperti e Trapattoni si conceda delle pause per due anni di seguito. Così, dopo aver dato via libera alla Roma, colleziona lo scudetto numero 21. E proprio grazie al lasciapassare di quella Coppa Italia che era sembrata allora un piccolo premio di consolazione, va a conquistare il secondo trofeo europeo della sua storia, la Coppa delle Coppe, battendo nella finale di Basilea i portoghesi del Porto.
Ma questo succede alle soglie dell'estate 1984, in conclusione di una bella annata. Andiamo invece per ordine. Partiamo dall'estate precedente, dal movimento dei giocatori che precede sempre le grandi manovre in campo. Ci sono come al solito arrivi e partenze, ma è a queste ultime che bisogna dare la precedenza della citazione, per rispetto ai “monumenti” che si sfilano una maglia portata sempre con grande dignità. Diciamo di Dino Zoff, portierone della Nazionale e della società più illustre, diciamo di Roberto Bettega, che tenta una breve avventura nel calcio canadese comprendendo di non avere più la necessaria integrità per restare il leader della Juve.
Due uomini che meriterebbero da soli una storia. Ed insieme ai due va accomunato Beppe Furino, che resta ancora fedelmente a disposizione, è vero, ma che fatalmente consumato dal gran correre e dalla lunga carriera giocherà soltanto 40 minuti scarsi della ripresa nella penultima giornata contro l'Avellino, nella partita che dà alla Juve con un turno d'anticipo la certezza matematica dello scudetto. Appena 40 minuti, quanto basta però per passare alla storia, almeno fino alla metà degli anni ottanta, come l'uomo che ha conquistato il maggior numero di scudetti con la stessa società, ben otto.
Con l'arrivo di Tacconi e Vignola da Avellino, di Penzo da Verona in cambio di Galderisi, con la partenza di un estroso giocatore che aveva destato tante speranze insieme a tante perplessità, Marocchino, la Juve affronta il campionato con la determinazione che le era mancata l'anno precedente. Lo si capisce fin troppo alla prima giornata con un pirotecnico 7-0 all'Ascoli dove segnano in tanti ma soprattutto Platini il quale, con una doppietta inaugurale dopo aver già vinto il titolo dei cannonieri l'anno precedente, fa capire di aver tutta l'intenzione di fare il bis. Così sarà, con un incremento di 4 reti (20 a 16) rispetto all'anno prima.
Ma andiamo al cammino dei bianconeri dopo quel 7-0 iniziale che suona punteggio d'altri tempi. Dopo cinque giornate Juve 9 e Roma 8, sembra già delinearsi la sfida e nello stesso tempo la rivincita dell'anno prima; alla sesta però il Torino dell'inesauribile Zaccarelli e di Dossena infligge la prima sconfitta ai bianconeri, propiziando il sorpasso della Roma. Già nel girone di ritorno della stagione scorsa era stato un disgraziato derby a decidere praticamente del duello fra Roma e Juve.
C'è chi sventola quei fantasmi, dopo l'euforia iniziale, e la successiva sconfitta casalinga con la Sampdoria propiziata da Brady, un ex, sembra dar corpo a questi fantasmi, con la Juve ora staccata di 3 punti (9 a 12). Ma è giusto un attimo di pausa. Bastano due giornate per raggiungere i giallorossi, altre due per conquistare il primato in solitudine, malgrado una bella e fortunata rovesciata di Pruzzo al 90' permetta alla Roma di salvarsi al Comunale e di mantenere le distanze.
La domenica successiva il pareggio di Udine offre ai giallorossi l'effimero aggancio, ma il 18 dicembre (tredicesima giornata) la Juve torna sola. E sola resterà fino al termine, prima respingendo l'attacco del Torino che nella fase centrale del torneo si dimostra l'avversaria più viva (23 punti la Juve, 22 i granata dopo la sedicesima), poi tenendo a bada la Roma come il gatto fa col topo. Soltanto alla ventiduesima (sconfitta di Verona) i giallorossi si avvicinano a due punti. Ma quando la Juventus all'ultima giornata va a perdere contro un Genoa disperato, a cui la prodezza non basterà per salvarsi, lo scudetto numero 21 è già ben saldo in mano.
Ed insieme allo scudetto, una luccicante Coppa delle Coppe.
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