domenica 9 giugno 2013

22.8.1926: SCUDETTO

DA “LA STORIA DELLA JUVENTUS” DI PERUCCA, ROMEO E COLOMBERO:
Ed ecco, ventun anni più tardi, il secondo scudetto. La squadra, se non proprio rifatta, è stata ritoccata per metà. Uomini che hanno scritto belle pagine della storia bianconera, come Grabbi o Gianfardoni, sono ormai a mezzo servizio; arrivano Allemandi, terzino dalle ottime risorse, Torriani, un buon tornante, soprattutto l’ungherese Hirzer detto la Gazzella. È una Juventus molto ungherese, che oltre alla gazzella conta su Viola e sull’allenatore Karoly. C’è poi un acquisto dell’ultima ora, Vojak, slavo di Pola che arriva dalla Lazio. Dopo aver patito una sconfitta salutare alla terza giornata, che fa comprendere come la concentrazione debba essere sempre massima, i bianconeri ingranano la quarta e staccano ben presto tutte le rivali. Giocano nel girone B della Lega Nord, conquistano il diritto a battersi per la finale addirittura con tre giornate d’anticipo, quando a metà maggio sconfiggono seccamente a Torino la concorrente diretta per la promozione, la Cremonese. Perderanno poi a Reggio Emilia, ma la mente è ormai concentrata sulla finale, sull’altro girone dove Bologna e Torino danno vita ad una lotta serrata risolta a favore degli emiliani soltanto in extremis.

Siamo alle tanto attese finali, dunque. L’andata si disputa a Bologna l’11 luglio, con una gran folla che incita i rossoblu. In effetti si scatena la squadra di casa, si porta in vantaggio per 2-0, sembra irraggiungibile. Ma non ha fatto i conti con l’orgoglio bianconero e nella ripresa la velocità e la tecnica della Gazzella Hirzer fanno breccia due volte: è il pareggio. Hirzer è subissato di abbracci dai suoi, in effetti con le 35 reti messe a segno nel torneo sarà decisivo nella conquista di questo scudetto.
Partita di ritorno a Torino, campo di corso Marsiglia, 25 luglio. Karoly, l’allenatore, ha qualche timore, esclude Pastore che pure è il secondo goleador bianconero (27 reti in totale, nell’anno) ma è anche un bel ragazzo e pensa a volte più alla carriera cinematografica (che infatti tenterà in seguito) che non al pallone. Così torna Rosetta all’attacco e non ne può sortire, dalle reciproche paure, che uno 0-0. Karoly si dispera, ha perso la grande occasione di chiudere il discorso con il fattore campo a favore, ora ci sarà la bella in campo neutro. Quest’uomo in passato così sereno è sofferente, abbattuto: quattro giorni più tardi la sua tragedia si compirà.
E la domenica, sul campo dell’Arena di Milano, mentre si sta finendo di costruire San Siro, la squadra gioca con rabbia e dolore anche e soprattutto per il suo allenatore. Proprio l’estroso e discontinuo Pastore, escluso nell’ultimo incontro, segna la prima rete e Vojak metterà il sigillo a questa stagione dopo il pareggio di Schiavio. Quando i bianconeri tornano a Porta Susa c’è folla ad attenderli, c’è festa ed amarezza insieme ricordando l’allenatore scomparso. Si scrive tra l’altro, all’epoca: «Il titolo andò alla squadra più degna. Su questo punto non vi sono dubbi da sollevare, né discussioni da avanzare. Per comune consenso la squadra che si è dimostrata più compatta ha strappato la vittoria. Il bellissimo gesto di Gianni e Della Valle, che toltesi le maglie con lo scudetto tricolore sono andati a farne omaggio rispettivamente a Combi e Bigatto, è una riprova di quella che era la convinzione in campo bolognese: che la sconfitta fosse stata regolare ed ai migliori fosse toccata la palma». Già, perché il Bologna aveva vinto lo scudetto l’anno precedente, dopo quelle drammatiche cinque finali col Genoa.
Abbiamo detto dunque scudetto alla Juventus, ma in realtà abbiamo precorso i tempi. Da anni la vincente dello spareggio nella Lega Nord era considerata a tutti gli effetti campione prima ancora di giocare le due partite conclusive contro la squadra qualificatasi attraverso i vari gironi della Lega Sud, perché era grande la differenza di gioco e tecnica fra i due blocchi del calcio italiano. Ma la Juventus in agosto deve andare ad adempiere a quella che è considerata da tutti una formalità, la finalissima per il titolo con la squadra romana dell’Alba. Ed una formalità è davvero, 12 goal segnati ed uno soltanto subito in due partite. Si legge, sui giornali: «Confesso che sono uscito dal campo della Juventus (queste righe si riferiscono al 7-1 dell’andata, ndr) senza ricordare con precisione quale fosse il numero dei goal con cui si era concretata la vittoria della squadra torinese. Sei, sette, dieci? Ma il numero non conta. Quello che conta è il modo con cui la vittoria fu ottenuta. Quello che emerge è l’enorme differenza di classe esistente fra le due squadre. Io giungo al punto da dubitare che l’Alba non abbia potuto svolgere il suo gioco, che abbia disputato la gara al di fuori della sua forma. Non posso infatti pensare che gli attuali reggitori del football italiano, che mi rifiuto di credere incompetenti, abbiano commesso l’errore di giudicare l’Alba degna di far parte della divisione d’onore, se non erano in possesso di prove ben più conclusive sul valore e sulla classe della squadra romana».
Il Sud, con pochi mezzi, comunque si batteva, ed è stato importante che abbia avuto la possibilità fin da allora di mantenere i contatti col grande calcio, che gli hanno permesso di crescere fino alla dignità odierna. Ma allora il problema esisteva e si andrà infatti, nel giro di pochi anni, proprio per ovviare a queste finalissime burletta, a decidere di compiere il grande passo, si andrà al girone unico.
Gloria dunque alla Juventus in questa stagione con lo scudetto, meritatissimo, numero due.

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