mercoledì 3 luglio 2013

IL QUINQUENNIO

ROMI GAY, “JUVENTUS IMMAGINI E STORIE” GIUGNO 1995:
La leggenda della Juventus “Fidanzata d’Italia”, della squadra capace di conquistare cinque scudetti di fila inanellando record su record e dando un contributo determinante alla Nazionale azzurra Campione del Mondo nel 1934, si dipana nel quinquennio dal 1930 al 1935, ma nasce e si sviluppa molto più indietro nel tempo. Le sue radici affondano quasi nell’indomani della Grande Guerra, negli anni Venti che assistono alla crescita ed alla sostanziale trasformazione del calcio da sport emergente in fenomeno di massa.

La Juventus, dalle proprie origini studentesche, aveva fatto parecchia strada sul piano della struttura tecnica e societaria, ma viveva ancora, come la quasi totalità delle altre società, in una dimensione semi-dilettantistica. Il presidente, Corradino Corradini, era uno scrittore ed un poeta, non esisteva un vero e proprio allenatore ed a nessuno mai sarebbe saltato in mente di rinforzare la squadra andando ad acquistare campioni affermati di altre società.
Ma quegli anni Venti sono epoca di trasformazioni rapide e profonde anche nel calcio. L’avvento alla presidenza di Edoardo Agnelli coincide con la presa di coscienza, da parte dei club più prestigiosi (Ambrosiana Inter, Bologna, Torino soprattutto) della necessità di un approccio al professionismo, naturale evoluzione per un mondo che conosce le prime grandi folle nei primi veri stadi.
E professionismo significa anche guardarsi intorno, cercare il meglio non soltanto in Italia ma in Europa e nel mondo intero. Nel 1925, così, la Juventus ingaggia insieme il primo, vero allenatore, il magiaro Jeno Karoly, ed il primo fuoriclasse straniero, la mezzala anch’essa ungherese Ferenc Hirzer. È una accoppiata vincente, anche se lo scudetto, che tosto arriva a fare il paio con quello pionieristico del 1905, è frutto del lavoro di una squadra compatta, con altri campioni (come Combi, Rosetta e Munerati) e validissimi comprimari (come l’aitante centravanti Pastore).
Quello scudetto, conquistato nel nuovo stadio di Corso Marsiglia (uno dei primissimi in muratura costruiti solo per il calcio, in Italia, e presto insufficiente a contenere le migliaia di tifosi che la squadra bianconera incomincia a raccogliere) è la prima tappa sulla strada del quinquennio trionfale. Il presidente Agnelli ed il vicepresidente, il barone Giovanni Mazzonis di Pralafera, intuiscono le enormi prospettive di crescita del calcio e trasferiscono la loro capacità manageriale ad una Juventus non solo sempre più forte, ma anche in continua crescita di consensi.
In un mondo ancora a corto dei moderni mezzi di comunicazione di massa, è infatti prodigioso il diffondersi della simpatia, dell’amore verso una squadra che ben pochi hanno la possibilità di vedere all’opera, e di cui i giornali (e presto la radio) trasmetteranno presto notizie sempre più precise e numerose. Sarà il cinema, con i cinegiornali dell’Istituto Luce, a trasformare pian piano in divi i campioni più rappresentativi.
Ma andiamo con ordine. A favorire la definitiva affermazione del calcio, che coincide non a caso con l’eccezionale periodo di fulgore bianconero, è anche la rivoluzionaria idea del girone unico, che a livello federale viene imposto anche a quei club (la maggioranza) di provincia che dalle grandi trasferte su e giù per la penisola giustamente temono di essere penalizzati.
Così, dal 1929/30, nasce quello che è nella sostanza ancora oggi il campionato: senza barriere geografiche, il meglio delle forze insieme a lottare per 30 o 34 domeniche, in un continuo confronto. È significativo che la Juventus si adegui prima e meglio degli altri alla nuova filosofia: in quella stagione la costruzione della squadra delle meraviglie procede a ritmi sostenuti, con l’arrivo, dopo Varglien I e Caligaris acquistati nelle stagioni precedenti, di Mumo Orsi e Renato Cesarini.
L’Argentina, terra di migliaia e migliaia di oriundi italiani, restituisce al nascente campionato italiano energie preziosissime, campioni che oltretutto non accusano che minime difficoltà di ambientamento.
L’arrivo di Orsi, la Stella di Amsterdam, osteggiato dalla federazione argentina che vede profilarsi all’orizzonte un pesante impoverimento del proprio patrimonio calcistico, è un tassello fondamentale del mosaico bianconero. Ma non è certo l’unico. L’anno dopo, la squadra che si prepara a vincere il primo dei 5 titoli consecutivi annovera tra gli acquisti la mezzala Giovanni Ferrari, che nell’Alessandria fa le prove generali di una carriera da regista con pochi eguali; il centravanti Vecchina ed il mediano Varglien II.
Nell’estate del 1931, all’organico che l’allenatore Carcano ha condotto al titolo si aggiungono il centromediano Luisito Monti, dal fisico imponente e dalla ferrea volontà di emergere a dispetto delle apparenze di campione ormai in disarmo; ed il mediano Bertolini, che si integra alla perfezione con lo stesso Monti e con Varglien dando vita ad una mediana insuperabile.
L’anno successivo, per cercare il terzo trionfo consecutivo, arrivano a sostegno di una rosa già ineguagliabile il giovane mediano Baldo Depetrini, (che alla Juve avrà una carriera tanto lunga quanto gloriosa), l’ala destra Sernagiotto ed il giovanissimo centravanti Felice Borel, che rivela subito impressionanti doti di cannoniere.
Infine, nel 1934, a portare nuova linfa in un organico carico di gloria ma fatalmente anche di anni, ecco il terzino Foni, il mediano-mezzala Serantoni ed il centravanti Gabetto. Sono scelte oculate che permettono il perpetuarsi di una supremazia tecnica che è nei numeri, oltre che nella leggenda.
Nel corso dei 5 campionati vinti, la squadra bianconera assomma infatti un numero impressionante di record: dal massimo delle vittorie in campionato (25 nel 1931 e nel 1932/33) al minimo di sconfitte (appena 4, nel 1930/31 e nel 1931/32); dal massimo punteggio in classifica (55 punti nel 1930/31) al record dei goal fatti (89 nel 1931/32) ed al minimo di quelli subiti (22 nel 1932/33); dalla miglior serie di partite senza sconfitta (21 nel 1933/34) al primato di giocatori schierati contemporaneamente in Nazionale (9 in Italia-Ungheria dell’ottobre 1933). E ben 6 di questi (Combi, Ferrari, Borel, Orsi, Monti e Bertolini) si laureano Campioni del Mondo aggiudicandosi la edizione 1934 della Rimet.
Ma i numeri non sono che un aspetto del fenomeno Juventus degli anni trenta: nasce la squadra simbolo, il sogno degli sportivi, a Torino come a Roma, a Firenze come a Palermo. È davvero la “Fidanzata d’Italia”.
«La grande regolarità della Juventus nel vincere è quella che la rende indiscutibile. Sarebbe infatti terribilmente stupido parlare di fortuna. Si potrà sospettare di fortuna una squadra per settimana o qualche mese, specie nei casi in cui a brillanti sequenze susseguono tracolli rovinosi; ma aver fortuna per quattro anni, per 136 partite, in modo da vincerne un centinaio e pareggiarne una ventina è difficile crederlo». Così scriveva il grande Carlin sul “Guerin Sportivo” del 2 maggio 1934.
Una considerazione quanto mai attuale.

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