domenica 8 settembre 2013

8.12.1985: COPPA INTERCONTINENTALE


VLADIMIRO CAMINITI, “HURRÀ JUVENTUS” DELLOTTOBRE 1992
Tokyo, 8 dicembre 1985. Di questa partita ricordo tutto, è stata sicuramente una delle più belle (tenuto conto del valore che aveva) alle quali abbia avuto la fortuna di assistere. Una sorta di godimento assoluto, anche per gli juventini che l’avranno vissuta con il cuore in gola, com’è comprensibile. Una partita da riproporre spesso a scopo didattico, una sintesi di tutto quello che il calcio può offrire: goal, emozioni, finezze tecniche, errori, tensioni. Una di quelle partite che non si vorrebbero mai veder concluse.
Se mi è permessa un’osservazione critica, direi: forse la più bella Juve vista nelle trasferte di coppa, allo stesso livello dello squadrone che violò il tempio dell’Aston Villa, allora Campione d’Europa (2-1), due mesi prima della beffa patita ad Atene ad opera dell’Amburgo.
Dunque, ricordo il freddo di quei giorni passati a Tokyo in vista della partitissima. La Juve era volata in Giappone, dopo una sofferta vittoria in campionato contro la Fiorentina (1-0). Erano momenti particolari per Platini, che stava decidendo il futuro: lo volevano in Svizzera ma soprattutto lo volevano Barcellona e Berlusconi.
Michel era turbato (soprattutto dal gran chiacchiericcio intorno al suo nome), Trapattoni era preoccupato dal valore degli argentini (la squadra che era stata di Maradona) sul conto dei quali aveva ricevuto relazioni abbondanti. Visti al videoregistratore, gli erano sembrati molto pericolosi. Non sbagliava.
«Soffrono il gioco aereo, per fortuna noi abbiamo Serena per metterli in crisi»; mi diceva Trap nelle ore della vigilia, trascorse in un albergo enorme, in compagnia degli argentini (era lo sponsor, la Toyota, ad offrire il soggiorno alle due finaliste).
Jobé Yudica, l’ottimo tecnico dell’Argentinos Juniors, era ottimista, temeva più di ogni altro avversario Michael Laudrup. Come vedremo, non sbagliava neppure lui. E, intanto, decantava il talento di Claudio Borghi, del quale noi italiani al seguito avevamo solo sentito parlare.
Trapattoni aveva paura di una soluzione ai rigori, cosa che poi accadde. Lo vedevo determinato, il sabato, 24 ore prima della sfida, mi disse: «Da dieci anni non vince una squadra europea, i sudamericani ci tengono moltissimo, questa per loro è una vetrina formidabile, ma stavolta tocca a noi».
Platini si paragonò a Bjorn Borg, il campionissimo del tennis: «quando ho vinto la prima coppa della mia carriera con il Nancy (era naturalmente la coppa di Francia) ho fatto festa per sette giorni, quando ho vinto l’ultima coppa ho soltanto tirato un sospiro di sollievo».
Cominciava ad essere stanco di vincere, Michel: alla fine di quel bellissimo dicembre gli fu assegnato per la terza volta consecutiva il Pallone d’oro, un’impresa che nessuno ha saputo realizzare, né prima di lui (Cruijff ha vinto tre volte ma non di fila) né dopo (Van Basten ne ha ricevuti due consecutivi).
La partita: intanto, ricordo il sottofondo di quelle sirene azionate ininterrottamente dal pubblico giapponese che aveva riempito il National Stadium. C’erano alcune migliaia di tifosi della Juve: qualcuno dall’Italia, la maggior parte dall’Australia, da Bangkok, da Singapore.
Si parte, in Italia sono le 4:00 del mattino, a Tokyo è mezzogiorno, il timore della neve rende inquieto Trapattoni che non gradirebbe un rinvio. La Juve ha momenti esaltanti, Laudrup finisce a terra per un intervento sospetto di Olguin, uno dei guerrieri dell’Argentina Campione del Mondo nel 1978. Platini sfiora il palo. Ma si capisce che la consistenza degli avversari, unita al loro stile di gioco, è di primissimo livello.
Borghi, il finto centravanti, porta a spasso Brio, preparando il terreno per gli inserimenti dei centrocampisti tra i quali (per dinamismo e senso tattico) se ne segnala uno dal nome sinistro, Videla, come il generale dittatore. A dirigere la manovra sudamericana era il lungo, incerto Batista: passo pesante, idee chiare.
Finisce il primo tempo, godibile ma non entusiasmante: 0-0. C’è chi pensa che sarà un episodio a decidere, errore! Il secondo tempo è un concentrato di suspense.
Vediamo: annullato un goal di Laudrup per fuorigioco (peraltro non sbandierato) al 46’. Ed ecco al 55’ l’Argentinos Juniors in vantaggio. Borghi attira su di sé Brio e Scirea, porge a Videla che libera Ereros sbucato al centro, proprio dove Borghi gli aveva fatto posto. Ereros, un’ala guizzante, batte Tacconi con un astuto pallonetto: 0-1, gelo tra i fan bianconeri.
Annullato, sempre per fuorigioco, un goal di Castro, l’altra ala, mentre la Juve è in evidente difficoltà. Ma, con l’orgoglio di sempre, acciuffa il pari al 63’: Platini porge a Serena, che viene atterrato da Olguin, è rigore, Michel spiazza il portiere Vidallé, 1-1. Esce Scirea (infortunio serio, starà fermo a lungo), entra Pioli. Favero diventa il libero, la partita diventa sempre più bella, la Juve c’è.
Al 68’ accade il fatto più singolare, che però non è entrato in nessun almanacco: Platini inventa un goal strepitoso, uno dei più belli che abbia mai segnato. Riceve la palla da Bonini, la controlla con il destro, la porta sul sinistro dopo aver scavalcato un difensore ed infine la sbatte con forza e precisione in porta. Un guardalinee ha la bandierina alzata; l’arbitro, il tedesco Roth, convalida, ma poi (sballottato dagli argentini) va dal suo collaboratore e dice di no. Quella prodezza non è valida, Platini si sdraia per terra, incredulo più che arrabbiato: «Soltanto un tedesco mi poteva negare quel goal», dirà più tardi.
La Juve non ci sta, vuol vincere, si sbilancia e viene castigata in contropiede: Borghi, formidabile, lancia Castro che scatta, arriva quasi sul fondo e da lì, da posizione difficile, cava fuori con l’esterno del piede destro un tiro tagliatissimo che inganna Tacconi e piove in porta, 2-1.
Un’occhiata agli orologi: manca un quarto d’ora, sembra finita. Trapattoni gioca allora la carta della disperazione, dentro Briaschi, la punta di scorta, fuori Mauro. Briaschi si era fatto male qualche mese prima a Bordeaux, al ginocchio. La Juve si rovescia nella metà campo altrui, anche Brio spinge, la squadra è stremata ma non si arrende.
All’82’ acciuffa il 2-2. Laudrup e Platini, uno-due perfetto ed ecco il danese in area da solo, lo affronta il portiere Vidallé che lo tocca a una gamba, Laudrup barcolla, se finisse a terra probabilmente otterrebbe il rigore, ma Laudrup resta in piedi, si allarga sulla destra, arriva a meno di 40 centimetri dalla linea bianca, la luce della porta gli si restringe passo dopo passo, ma lui indovina l’unico pertugio disponibile ed insacca: sommerso dall’abbraccio dei compagni! Qualcuno rivede in lui Cruijff niente meno.
I supplementari non cambiano la sostanza, né il punteggio. Nessuna delle due merita di perdere, bisogna riconoscerlo. Si va ai rigori, segna Brio, poi Olguin, poi Cabrini (con brivido, perché Vidallé aveva intuito e sfiorato), Tacconi para su Batista, la coppa sembra più vicina, segna Serena, segna pure Lopez, 3-2.
Laudrup, rincorsa troppo lunga e tiro mediocre, fuori. Ma Tacconi si supera su Pavoni, blocca il pallone e lo consegna a Platini. È il momento solenne, il penalty che decide: Vidallé a destra, palla a sinistra, 4-2 ai rigori, cioè totale 6-4, la Juve colma una delle poche lacune della sua storia, diventa campione del mondo e riprende l’aereo per Torino. Platini sorride: «Il calcio era morto a Bruxelles, è rinato a Tokyo».
La Juventus a Tokyo è tornata di recente, facendosi onore.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Quella finale è stata giudicata da autorevoli addetti ai lavori <>.

Leo Junior, indimenticato fuoriclasse del Brasile anni '80 e del Torino, disse a Trapattoni: <>. Detto da un brasiliano, un complimento "senza tempo" alla Juventus ed all'Argentinos Juniors.

Quella Juventus mondiale (e poi scudettata) andrebbe maggiormente ricordata: talvolta noto come, anche nei libri di storia juventina, venga un po' oscurata da quelle precedenti (cioè quelle di Boniek, Rossi e Tardelli). Tuttavia questa finale, che brilla per bellezza ed importanza di luce propria, conferisce all'11 di Tokio un posto di assoluto privilegio nella leggenda juventina.

Senza contare che poi quella squadra vinse uno scudetto indimenticabile (contro, forse, la miglior Roma di sempre) e, con un po' più di fortuna (chi ricorda sa) avrebbe potuto ripetersi anche in Coppa Campioni.

E poi, in un'ultima analisi: Platinì-Laudrup. Che coppia! Tecnicamente, forse, la migliore che abbia mai visto. Il triangolo da cui nasce il secondo goal è l'esempio più lampante: realizzato contro una difesa completamente piazzata a difesa del risultato (e con un tiro finale scoccato da posizione impossibile)

Io non credo di aver mai più visto una rete dalla dinamica così... forse uno delle tre migliori azioni-goal di tutti i tempi (anche se, spesso, gli osservatori ricordano anzitutto la rete annullata a Platinì).

Ma voi provate a trovare, in tutta la storia del calcio, un'altra rete, come quella di Laudrup, nata con una dinamica simile... Penso non riuscirete a trovarne nessuna che si possa paragonare a questa gemma...

Emiac ha detto...

Ho effettuato la radiocronaca diretta da Tokio. la mia e stata l`unico resoconto giunto in Italia dal Giappone. Uno spettacolo indimenticabile.Ne vado fiero. Gianfranco Acco radiocronista juventus dal 1980 al 2000