È uno dei tre vincitori di entrambi i Mondiali degli anni ‘30, insieme a Ferrari e Meazza. Ottimo difensore dopo gli inizi nel Casale, punto di partenza quasi obbligato per lui, nato nel Monferrato, la svolta della carriera arriva con il passaggio al Bologna nel 1926. Diventa perno della difesa di una delle squadre migliori del campionato, vincitrice del suo primo scudetto solo l’anno prima e poi vicina al bis in altre due occasioni prima di centrarlo, con Monzeglio in campo, nell’ultima edizione del torneo senza girone unico, quella che si conclude nel 1929.
Con il club felsineo, fino al 1935, vincerà due Mitropa Cup, ma se ne andrà alle soglie dei 30 anni prima del periodo d’oro dei 4 scudetti in 6 anni, per chiudere la carriera dopo altre 4 stagioni alla Roma.
Proprio durante il primo Mondiale vinto, nel 1934, Monzeglio conosce Benito Mussolini e ne diviene amico, tanto che, durante la sua esperienza da calciatore in giallorosso, diverrà istruttore di tennis (altro sport praticato abilmente) e allenatore personale dello stesso Duce. Un rapporto che dopo la guerra gli creerà qualche grattacapo, presto scongiurato, perché a un calciatore si perdona tutto, soprattutto se ha vinto due Mondiali.
Con il ripristino dell’attività agonistica, nel 1946, inizia dunque una carriera di allenatore che durerà per un quarto di secolo. I buoni inizi con Como e Pro Sesto gli valgono la panchina dell’ambizioso Napoli di Achille Lauro. Con il Comandante i rapporti sono spesso burrascosi ma Monzeglio riesce a restare in sella per ben 7 stagioni. Dopo Monza e Sampdoria, e un ritorno a Napoli senza compiti di allenatore, affidati a Pesaola, la gioia di diventare tecnico della Juventus, presto dimenticata per colpa di uno spogliatoio difficile e di tifosi impazienti di tornare a vincere dopo un paio d’anni complicati. Proprio a Torino si ritirerà a vivere gli ultimi anni, fino alla morte, arrivata nel 1981, pochi mesi prima di poter vedere i suoi successori azzurri sul trono mondiale.
“TRE RE PER UNA SIGNORA” DI BERNARDI & NOVELLI
Esonerato Amaral, che avrebbe in seguito guidato il Genoa, sbarca a Torino il bicampione del mondo Monzeglio Un piemontese monferrino di Casale, una delle culle e delle glorie del calcio nazionale. Ma pure il vecchio grande Eraldo venne licenziato.
«E Sivori ha riconosciuto la sua colpevolezza, insieme a tanti suoi compagni, per la brutta stagione di Monzeglio E dice che Eraldo non ebbe colpe specifiche, se non quella di un’estrema labilità di carattere, sovente vicina alla debolezza. Ancora una volta, dobbiamo riconoscere l’onesta del Cabezon».
Diamo al Cabezon ciò che giustamente gli spetta. Facciamolo analogamente per Eraldo Monzeglio, possente difensore del Bologna, della Roma e degli azzurri del sommo Vittorio Pozzo. Compagno d’armi pedatorie, per così dire, di Combi, Rosetta, Foni, Rava, Monti, Bertolini, Borel e Orsi.
«Monzeglio, innanzitutto, era un gentiluomo, che disse a Sivori, al suo primo allenamento da tecnico bianconero “Alleni lei”. Lo responsabilizzò, volle dargli importanza. E Omar tirò il gruppo. Quando arrivò alla Juve, sostituendo Amaral praticamente all’inizio del torneo 1963-64, era felice come un bambino: era stato sempre il suo sogno quello di allenare la Juve. Non era più giovane, è vero, tuttavia aveva un fisico straordinario questo casalese che, alla Liberazione, se l’era vista brutta. Non ha mai messo il cappotto in pieno inverno, figurati che qualche volta seguiva addirittura il giocatore che doveva battere un calcio d’angolo, si accovacciava e restava a vedere come lo batteva. E questo succedeva nelle partite di campionato. Allora, sai, l’allenatore poteva muoversi, non per nulla Oronzo Pugliese fece quel famoso numero in cui insegui un’ala avversaria lungo la linea del campo, per poi entrare nel tunnel degli spogliatoi di Foggia e riemergere dall’altra parte. Straordinario personaggio anche don Oronzo».
Eppure Eraldo da Casale, nonostante il suo passato lucente di grande uomo di calcio, alla Juventus colse soltanto amarezza e coltivò tristezza.
«Arrivarono persino i tifosi a murare il Campo Combi! Tanto, dicevano loro provocatoriamente, non serviva per allenarsi visti i risultati. Quindi presero dei mattoni e li appoggiarono all’ingresso del Combi, scrivendoci sopra “Non serve”. Non usarono la calce, almeno questo. Si limitarono a mettere assieme i mattoni».
La Juve di Monzeglio, tuttavia, arrivo quarta nel 1963-64, a pari merito con la Fiorentina. Non era il massimo, ma neanche l’abisso. Inoltre Eraldo aveva fatto bene come allenatore al Napoli.
«Forse arrivò troppo tardi alla Juventus, come tecnico aveva probabilmente già dato tutto o quasi tutto. Ricordo che, quando seppe dell’esonero, mi disse delle cose sulla società bianconera che non si addicevano a un gentiluomo del pari suo. Se la prese. Si sfogò con me, si sentiva veramente deluso e, se non tradito, molto ferito. Bisogna capirlo».
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