DA “LA STORIA DELLA JUVENTUS” DI PERUCCA, ROMEO E COLOMBERO:
Ci vorrebbe una puntata lunghissima per raccontare questa prima stagione degli anni sessanta, tali e tante sono le vicende che fanno approdare allo scudetto numero 12 una Juventus sempre più ammirata ma fatalmente sempre più invidiata, quindi anche criticata. In questo 1960 contrassegnato nell’inverno dalla morte di Fausto Coppi, grande piemontese del ciclismo, ed in estate dal successo olimpico sui 200 metri di Livio Berruti, grande torinese dell’atletica, la grande squadra piemontese del calcio viene coinvolta in qualche polemica, interna od esterna.
Cerchiamo di riassumere in ordine cronologico: avvio entusiasmante in campionato con 4 successi consecutivi, primo posto con Inter e Roma che non sono state da meno. L’euforia però dura poco, c’è l’eliminazione al primo turno in Coppa dei Campioni e seguono due sconfitte consecutive che fanno cadere alla sesta giornata la testa del discusso Cesarini.
Parola resterà da solo in panchina un paio di mesi, finché arriverà come direttore tecnico uno del famoso trio svedese del Milan targato GRE-NO-LI, Gren appunto. Ma restiamo per un momento a Cesarini: nell’incontro che gli costa il posto, contro il Milan, fa esordire l’ala Bruno Mora, che ha già giocato in campionato con la maglia della Sampdoria.
Cos’è successo? La squadra bianconera, che in estate non ha cambiato sostanzialmente nulla (gli acquisti di maggior rilievo sono stati quelli del friulano Burgnich e di Mazzia) si è accorta di aver bisogno di un “tornante”, ed ottiene dunque in novembre il permesso dalla federazione di acquistare l’ala blucerchiata attraverso la scappatoia (allora non molto chiara) delle liste suppletive. Piovono critiche, e la posizione di Umberto Agnelli, presidente della Federcalcio e della società bianconera, malgrado il personaggio cerchi di tenersi al di sopra della mischia, si fa un po’ scomoda. Ed infatti cederà la massima carica poco più in là.
Mora non basta dunque a salvare Cesarini, ed anche il derby con il giovane Torino, risalito dal purgatorio della B, primo incontro della gestione Parola, con Sivori e la Juve un po’ turbati da tante vicende, non porta di meglio che uno 0-0. Un campionato iniziato alla grande si fa difficile. La Roma tira il gruppo fino alla dodicesima, quando viene raggiunta dall’Inter a quota 18, mentre la Juve è quarta con il Catania a 3 punti, preceduta dal Milan.
Comincia a questo punto l’era Gren con una bella serie positiva: 9 partite utili, fra le quali un 2-2 casalingo con il Napoli che ha in panchina Renato Cesarini subito accasato e subito pronto a fare un dispettuccio alla squadra del suo cuore. Ma se la Juve gioca 9 volte senza perdere, anche l’Inter di Buffon, Picchi e Corso infila una serie di 12 partite utili, 9 successi e 3 pareggi, sembra imprendibile. A fine andata i neroazzurri transitano, nel bel mezzo di quella serie positiva, con 26 punti contro i 23 del Milan ed i 22 di Juve e Roma.
I bianconeri non sono più la macchina da goal dell’anno precedente ma ribattono colpo su colpo, e semmai accusano qualche sbandamento di troppo in una difesa che non trova l’assetto definitivo, con Gren che fa ruotare un po’ troppo gli uomini. Nel ritorno però la compagine bianconera si scatena come sa, 7 successi consecutivi interrotti solo da uno scivolone con i rossoneri; due domeniche più tardi, a fine marzo, una larga vittoria in trasferta contro il Bologna del cannoniere Vinicio coincide con il primato in classifica. La gran rincorsa è andata a buon fine, l’Inter, dopo quella volata di cui si è detto, è letteralmente scoppiata, 4 sconfitte consecutive!
Ora che hanno raggiunto il primato, i bianconeri lo difendono dal Milan (a 2 punti) e dall’Inter in fase calante. C’è a metà aprile un Juventus-Inter dai mille strascichi di cui parleremo poi. C’è a fine aprile, alla ventinovesima, una pericolosa battuta d’arresto in casa della Samp. Per fortuna della Juve anche il Milan perde e non avviene l’aggancio, ma ciò non basta a salvare Gren (che si avvaleva dei consigli di Korostolev), per il quale si concludono così i 100 giorni sulla panchina bianconera. Torna a tappare egregiamente il buco Carletto Parola: questo scudetto numero 12 sarà cucito insieme da quattro tecnici!
È l’ultimo momento di suspense del campionato. Il Milan perde di nuovo alla trentesima, la Juve ha definitivamente via libera. Ma non sarebbe completa questa ricostruzione senza tornare alla ventottesima, a Juve-Inter. Bianconeri a quota 40, neroazzurri ormai staccati, a 36. C’è ugualmente attesa spasmodica però, tifosi da tutta Italia, in molti restano senza biglietto. A forza di premere saltano i cancelli, entrano forse 10.000 persone in più, le gradinate scoppiano. Così il pubblico va ad accomodarsi fin sulla pista di atletica ed ai bordi del campo. Due spettatori addirittura, rileva qualche cronista attento, vanno a sedersi sulla panchina interista al fianco del Mago Helenio Herrera.
Si gioca per mezzora nella correttezza assoluta e sotto un diluvio che improvvisamente innaffia tutti. Ma ecco che i neroazzurri richiamano l’attenzione dell’arbitro Gambarotta sulla situazione anomala, chiedono la sospensione con la speranza del 2-0 a tavolino, malgrado stessero giocando bene: «Pareva avessero le ali ai piedi», scrive Vittorio Pozzo.
Tutti a casa dunque, con la gente delusa. L’Inter ha il 2-0 dal giudice, ma dimezza solo un distacco ormai incolmabile. Ma non è finita. Si è quasi a fine campionato, quando la CAF, su reclamo bianconero, il 3 giugno accetta la buona fede della società ospitante e ordina la ripetizione della famosa partita sospesa. È ormai una formalità questo incontro, la Juve ha lo scudetto in tasca, manca una giornata alla fine. I neroazzurri però la ritengono un’ingiustizia, e schierano poco sportivamente la squadra ragazzi.
I bianconeri per nulla inteneriti infilano un impietoso 9-1 a quei giovanotti, fra i quali fa l’esordio in A (e segna su rigore il goal della bandiera) Sandro Mazzola, figlio di capitan Valentino granata. Segna 6 reti Sivori, record per una partita di A, eguagliando Piola (nel 1933 contro la Fiorentina), e grazie a questo bottino diventa capocannoniere. Ma signorilmente Umberto Agnelli manderà il premio del goleador (un milione, allora) anche al sampdoriano Brighenti, superato in extremis ed un po’ truffato da questa vicenda.
«Un’offesa allo sport», scrive Vittorio Pozzo di questa partita, «ed in un modo un po’ sconcertante si chiude questo lungo campionato».
Nessun commento:
Posta un commento