giovedì 3 gennaio 2013

Matthias SINDELAR


Matthias Sindelar, esile artista del goal di origine ebraica, era nato nella Moravia austriaca ai confini con quella che oggi è la Slovacchia, il 10 febbraio 1903. Cresciuto in famiglia dalle risorse economiche limitate, si trasferisce a Vienna, dove si scopre calciatore per caso. Il papà muore sull’Isonzo combattendo nella “Grande Guerra”: per la famiglia Sindelar la vita diventa più dura. La mamma mantiene Matthias e tre sorelle aprendo una lavanderia. Il ragazzo aiuta in casa, ma quando può si butta in strada a calciare palle improbabili fatte di stracci. Matthias cresce e qualcuno pensa di farlo giocare con un pallone di cuoio. Incomincia con l’Hertha, poi passa all’Fk Austria. Grazie ai suoi goal (siamo nel 1927) la squadra vince la Mitropa Cup, potremmo definirla la Champions dei giorni nostri.
Con Sindelar nasce il Wunderteam, una nazionale destinata a segnare un’epoca: dal maggio 1931 all’aprile 1933 l’Austria guidata da Cartavelina (che in tedesco suona der Papierene) raccoglie una serie impressionante: 16 partite, 12 vittorie 2 pareggi e solo 2 sconfitte, 63 reti segnate, 20 subite.
Il Mondiale in Italia è alle porte ed il nazismo è imperante, si aprono i primi lager con gente come Sindelar finita in un angolo e tanti altri ebrei nei campi di sterminio, dopo espropri, umiliazioni, privazioni. In quell’epoca Matthias pensa solo a tenere sotto controllo il ginocchio destro (che portava fasciato) e dribblare gli avversari.
Così lo ha raccontato Vladimiro Caminiti: «Era cresciuto senza scarpe e soffrendo la fame. Kalman Konrad lo aiutò a diventare il finissimo rapsodico del calcio. Uno stelo appeso a due occhi azzurri che saettava come una freccia verso i goal più meravigliosi».
«Sindelar era imprendibile. Monti non ce la faceva proprio con quel diavolo», così lo vedeva Angiolino Schiavio nella semifinale del Mondiale. È il 1934, San Siro, l’Italia scopre il calcio: le tribune traboccano di spettatori, è una partita memorabile che esalta le doti di Combi portiere e la prontezza di Guaita che al 19’ del primo tempo realizza il goal partita. Quello che lancia l’Italia verso il primo titolo iridato e che consacra Sindelar.
Il Mozart del calcio (come lo chiamava Hugo Meisl, la guida di quella Nazionale) non gioca la finale per il terzo posto ed un’Austria in grandi ristrettezze economiche perde con la Germania 3-2. In campo Sindelar c’è, invece, nel famoso 8-2 sull’Ungheria, qualche tempo prima (quando Matthias segna tre goal e fornisce tutti e cinque gli assist ai compagni per le altre reti) ed ancora in quel 3 aprile 1938, a Vienna. Nella capitale si “festeggia la pacifica annessione” del Paese.
Ovunque bandiere con la svastica a benedire l’Anschluss. Il Prater, lo stadio che adesso sta a fianco della ruota panoramica, è in festa per la partita coi “fratelli tedeschi”. La propaganda del regime di Hitler crede nello sport, come dimostrano le Olimpiadi (estive ed invernali) organizzate nel 1936.
La Germania, che quattro anni prima aveva vinto la medaglia di bronzo, con l’inserimento dei più forti giocatori austriaci, a cominciare da Sindelar, può puntare alla Coppa Rimet, che di lì a poco si giocherà in Francia. L’Austria, che quel giorno va in campo per l’ultima volta con la sua maglia biancorossa, sa già che non potrà disputare il Mondiale. L’annessione ha escluso Sindelar e compagni da quell’appuntamento, ci sarà solo la “Grande Germania”.
I tempi sono cambiati, vanno di moda le camicie brune, alcuni club ebraici sono già stati chiusi. All’Austria Vienna verrà imposto di cambiare nome (in Ostmark, provincia orientale). E mentre i giocatori non vengono toccati, molti dirigenti di origine ebraica sono rimossi dai rispettivi incarichi.
Sindelar non ha paura di esporsi e si rivolge così al vecchio presidente ebreo: «Il nuovo führer dell’Austria Vienna, ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla».
Sindelar non si smentisce neppure in campo quel 3 aprile 1938. Ubriaca i tedeschi in campo e li sfida: segna il decisivo 2-1 e disputa una delle sue partite più belle. Alla fine il rigido protocollo impone il saluto ai gerarchi presenti in tribuna. Non tutti alzano il braccio teso davanti agli occhi: Sindelar e Karl Sesta rifiutano.
Sepp Herberger, l’allenatore della Germania, capisce che il ginocchio non c’entra nulla quando Matthias gli dice che non avrebbe cambiato maglia.
«Mi accorsi», racconterà anni dopo il tecnico tedesco, «che c’erano altri motivi per cui non voleva giocare ed io decisi di lasciarlo in pace, anche se sapevo che era ancora il più forte».
Dietro quel no si sta per chiudere anche la vita di Sindelar: alcuni compagni ebrei scelgono di giocare con la Germania, ma dopo il rovescio francese (eliminazione negli ottavi da parte della Svizzera) scappano all’estero.
Per Matthias c’è l’ultima partita a Berlino, l’ultimo goal, l’ultimo mese di vita, prima di un presunto suicidio il 23 gennaio del 1939, a neppure trentasei anni. Accanto a lui trovano una giovane ebrea italiana, Camilla Castagnola, che aveva incontrato qualche giorno prima (morirà dopo pochi giorni senza aver mai ripreso conoscenza). La versione ufficiale fornita è avvelenamento da monossido di carbonio. Ma la tesi appare dubbia: qualcuno ha parlato di suicidio, altri di omicidio (da parte della Gestapo), altri ancora di incidente. Comunque la polizia austriaca archivia il caso in fretta.
Dopo la guerra sparisce anche l’incartamento legato alla vicenda Sindelar. Restano i suoi goal, il suo genio calcistico, il suo fiero rifiuto di piegarsi alla violenza ed all’arroganza del nazismo.
 
 
tratto da: http://www.storiedicalcio.altervista.org/index.html

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