mercoledì 2 gennaio 2013

LA LAZIO DI RE CECCONI

24 ottobre 1976: Lazio-Bologna 3-0. Per Luciano Re Cecconi è l’inizio della sua quinta stagione nella Lazio; durante la partita s’infortuna ad un ginocchio e, zoppicante, abbandona il campo dell’Olimpico. Nessuno immagina che il biondo centrocampista ha appena indossato, per l’ultima volta, la maglia che più di tutte gli ha dato soddisfazione e che per lui rappresenta gioie ed affetti.

Sembra essere un infortunio lieve, di facile risoluzione, basta restare fermi un po’ di tempo. In un mese torna ad allenarsi, ma proprio in questa delicata fase, subisce una dolorosa ricaduta, rischiando l’intervento chirurgico. Luciano stringe i denti ed attinge a tutta la sua grande forza di volontà per rimettersi in forma.
Martedì 18 gennaio 1977: gioca, finalmente, per intero la partitella d’allenamento con il resto della squadra. È felice, corre verso il dottor Ziaco e gli confida: «Tutto bene, una meraviglia, qui caro dottore facciamo una sorpresa a tutti, alla prossima di campionato mi presento a Cesena e gioco!»
Nato il primo dicembre 1948 a Sant’Ilario di Nerviano nel milanese, Re Cecconi arriva alla Lazio nel 1972, richiesto insistentemente da Tommaso Maestrelli, che già conosce le sue grandi doti dai tempi in cui erano insieme a Foggia. La sua carriera o, per meglio dire, i suoi sogni calcistici erano cominciati alcuni anni prima, nell’Aurora Cantalupo e già a sedici anni vestiva la maglia delle giovanili della Pro Patria, col suo correre a tutto campo senza mai stancarsi.
Carlo Regalia, all’epoca responsabile tecnico della squadra lombarda, tenacemente convinto delle potenzialità del ragazzo lo fa esordire in serie C, nel campionato 1967/68, e lo ripropone spesso, nonostante i mugugni dei tifosi. Infatti, corsa a parte, Luciano ha qualche lacuna nei fondamentali e per questo viene sottoposto a ripetuti esercizi specifici per affinarne la tecnica. Re Cecconi diventa presto un idolo dei tifosi, che per il suo gioco e la sua chioma lo ribattezzano Wolkswagen o Cecconetzer, in omaggio al grande giocatore tedesco, Günther Netzer, a cui tutti dicono che assomigli.
Nella squadra pugliese, mette in luce le sue qualità di centrocampista moderno, instancabile, dotato di un buon tiro e di un’ottima dedizione al gioco di contrasto, offrendo sempre un grande rendimento, soprattutto nel campionato di serie B del 1970/71. Poi la Lazio in serie A e, nel 1973, lo scudetto fallito per un soffio e sul filo di lana, stagione nella quale Re Cecconi è un indubbio protagonista.
Ed infine, il 28 settembre 1974, l’esordio in maglia azzurra in occasione di Jugoslavia - Italia, a quattro mesi dal trionfo in campionato con la Lazio nel 1974. Il saggio, come viene chiamato nello spogliatoio laziale, ha combattuto a lungo per quel traguardo e lottato per quella maglia, sulla quale finalmente può esibire in bella mostra quello scudetto storico, il primo della storia biancoceleste.
È una splendida Lazio, quella che vince il campionato; è una squadra che anticipa i tempi, che gioca all’olandese e che corre talmente tanto da sfiancare tutti gli avversari. La Lazio del presidente Umberto Lenzini, del dottor Ziaco e di Padre Lisandrini.
Il portiere è Felice Pulici, ha giocato nel Novara, ma non è fra quelli che eccellono nel ruolo, secondo molti, sarebbe addirittura meglio il suo vice, Moriggi. Terzini sono Sergio Petrelli, ex romanista, e Luigi Martini, autentica rivelazione nel ruolo di fluidificante, ritenuto al più un buon calciatore, ma uomo forte dello spogliatoio.
Libero gioca un napoletano dal cognome inglese, ereditato dal padre; si chiama Giuseppe Wilson, ma tutti lo chiamano Pino. È stato, nell’ultimo campionato, il migliore nel suo ruolo, ma la sua statura lo penalizza molto nel gioco aereo e lo costringe a puntare sul tempismo e sul senso della posizione; è una figura carismatica nella squadra, spesso funge da allenatore in campo, comanda il gioco ed è amico di Giorgio Chinaglia col quale ha giocato in Serie C nell’Internapoli.
Stopper è il giovane Giancarlo Oddi, romano di borgata; robusto, un corazziere, la sua prestanza fisica gli permette di supplire a qualche mancanza tecnica e la sua intesa con Wilson è perfetta. A centrocampo la squadra poggia su di un quadrilatero perfettamente dimensionato. Due stantuffi, Franco Nanni e Re Cecconi appunto, un regista vero, forse l’ultimo nel suo ruolo, Mario Frustalupi, il metronomo, ed un tornante mancino ricco di estro e di fantasia, un autentico potenziale fuoriclasse: il giovanissimo Vincenzo D’Amico.
Di punta, accanto a Chinaglia, autentico trascinatore della squadra, gioca un’ala guizzante e veloce: Renzo Garlaschelli. Tanto Chinaglia è dirompente, quanto Garlaschelli è aggirante. L’uno punta la porta di potenza pura, da autentico ariete, l’altro è pronto a colpire sulle palle morte, sui rinvii sporchi cui le difese, spesso, sono costrette per arginare le incursioni del poderoso compagno di reparto. I due si integrano a meraviglia, ma fuori dal campo non mancano i momenti di tensione, in quanto non si sopportano proprio. Non sono tempi di panchine lunghe, pertanto le riserve Polentes, Facco, Inselvini, Manservisi e Franzoni, in pratica uno per reparto, sono ritenute sufficienti.
Il grande capo è lui, Tommaso Maestrelli. Capace di tacere senza chinare il capo, l’unico in grado di gestire lo spogliatoio più difficile della storia del nostro calcio, composto da persone che si detestano. E Maestrelli è l’unico vero comune denominatore di questo gruppo di pistoleri pazzi, l’unico uomo che riesce a farsi ascoltare, a farsi adorare. Morì, si dice, quando era ad un passo dalla Nazionale e la sua morte fece sì che Chinaglia tornasse dagli Stati Uniti per portare il feretro sulle spalle, il giorno del funerale.
Quella Lazio, tuttavia, è anche la storia di uno spogliatoio spaccato, una storia di pugni in allenamento, di porte sfondate a calci, di risse sotto la doccia. Una storia di pistole, di spari contro i lampioni nel ritiro dell’albergo. Maestrelli capisce di avere un tesoro fra le mani ed è bravo a capire di doverla difendere soprattutto dagli eccessi che, ben convogliati, ne determinano le caratteristiche migliori. Il tecnico arriva a dividere la squadra in due spogliatoi diversi, a far allenare la rosa in due gruppi per evitare che le cose precipitino.
Una parte dei giocatori fa capo a Chinaglia e Wilson, gli altri a Martini e Re Cecconi, ex commilitoni. Si parla anche di politica: «È una squadra di fascisti», si dice in giro.
Gigi Martini, allora, dichiara pubblicamente di votare Msi, anche Re Cecconi e Petrelli hanno fama di simpatizzanti dell’estrema destra, lo stesso Chinaglia non fa mistero della sua simpatia per Giorgio Almirante. Dietro di loro anche gli altri si incolonnano, i saluti romani spesso spiccano nelle foto della Curva Nord; secondo i ben informati, molti dei calciatori della Lazio giocano con le catenine ornate di croce celtica.
Ma i premi partita vengono rigorosamente divisi per l’intera rosa, non solo fra chi ha giocato e chi è andato in panchina, come accade in molte altre squadre. Si dice anche, che i calciatori si tassino per rendere più corposa la busta paga della lavandaia, del magazziniere, del guardiano di Tor di Quinto. Quella Lazio è fatta anche di queste cose.
Ma c’è un altro volto di quella squadra. Tutti girano armati, spesso nei lunghi ritiri in un albergo dell’estrema periferia romana, ingannano il tempo col tiro a segno, ma si racconta anche di qualche scherzo pericoloso. L’iniziazione dei nuovi acquisti consisteva nello sparare, al malcapitato, in mezzo alle gambe, vicino ai testicoli.
Una sera, prima di un derby decisivo, gli ultras giallorossi decidono di far confusione sotto le finestre dell’hotel che ospita la Lazio, per non far dormire i giocatori; prima che il direttore dell’albergo chiami la polizia, qualche giocatore spara ai lampioni del viale d’accesso. Martini e Re Cecconi prendono il brevetto di paracadutismo, la società lascia fare, nonostante sia un passatempo discutibile, in quanto molto rischioso, per un calciatore professionista.
Un’altra caratteristica unica di quella squadra irripetibile, sono le partitelle di allenamento, nelle quali nessuno vuol perdere e che il povero Maestrelli vive con angoscia. Ogni tackle, ogni azione può portare all’infortunio, perché si gioca undici contro undici e la gamba non la toglie mai nessuno, peggio che in partita, perché da quelli non si può perdere, mai. Qualche anno dopo Borgo, leggendario capitano della Pistoiese e giocatore della Primavera della Lazio ai tempi dello scudetto, racconterà di aver avuto paura durante quelle sfide interminabili.
La spaccatura fra i due clan è insanabile, Martini, in particolare, non sopporta gli atteggiamenti dispotici di Chinaglia e, la partitella del venerdì, è spesso l’occasione per la resa dei conti. Qualcuno indossa i parastinchi, anche se ne fa a meno nelle partite di campionato. La Lazio è tutto questo, pistole, pugni, bottiglie rotte, calcioni in allenamento.
Ma la domenica, spesso, è puro spettacolo. Tensioni e rabbia si fondono in agonismo, la squadra diventa monolitica come un blocco di granito, le scazzottate, le bottiglie rotte, brandite minacciosamente per farsi le proprie ragioni, sono lasciate fuori dal campo e la domenica giocano tutti per lo stesso scopo: vincere. È una grande orchestra che oramai conosce alla perfezione lo spartito.
Un episodio su tutti: campionato dello scudetto, è la venticinquesima giornata. La Lazio riceve il Verona all’Olimpico e va subito in vantaggio. Sembra fatta, ma accade l’incredibile. Zigoni pareggia e, mentre sta per finire il primo tempo, Oddi mette a segno il più classico degli autogoal. Sullo stadio scende il gelo, Chinaglia se la prende con tutti, con Nanni, addirittura, rasenta lo scontro fisico nel tunnel che conduce agli spogliatoi e molti già prevedono che, nel chiuso dello spogliatoio, ci sarà un regolamento di conti.
Ma sulla porta trovano Maestrelli che li rimanda tutti in campo; la Lazio, in pratica, non fa l’intervallo. Ogni calciatore si dispone sul campo, al suo posto, ed aspetta. Il pubblico dapprima è sorpreso, poi comincia ad incitare la squadra. Chinaglia sfoga la sua rabbia prendendo a calci il pallone, anziché i compagni. Quando il Verona, sorpreso, rientra in campo lo stadio Olimpico è una bolgia. I veneti sono letteralmente travolti, in mezzora scarsa il punteggio è ribaltato: 4-2 per la Lazio.
Il ciclo di quella straordinaria Lazio si conclude l’anno successivo con un ottimo quarto posto. Si ammala Maestrelli, che lascia la panchina a Lovati e, nel campionato 1975/76, inizia l’opera di smantellamento della Lazio tricolore: partono Nanni, Frustalupi e Oddi. Chinaglia non resta insensibile alle sirene americane e vola negli States. Garlaschelli ed il nuovo bomber Bruno Giordano, prodotto del vivaio, tengono a galla la Lazio, che si salva dalla serie B, soltanto per una migliore differenza reti ai danni dell’Ascoli. La stagione 1976/77 è contrassegnata da gravi lutti: muoiono Tommaso Maestrelli, il 5 dicembre 1976, e Re Cecconi. Il sipario si chiude.
Tanto tempo è passato da quella sera del 18 gennaio 1977, quando Luciano Re Cecconi, insieme al compagno di squadra Pietro Ghedin, inscena, per scherzo, una rapina in una gioielleria di Roma. Entra con le mani infilate nelle tasche del soprabito, il colletto alzato per nascondere il viso e grida: «Fermi tutti, questa è una rapina!»
Il proprietario, Bruno Tabocchini, stanco dell’ennesima aggressione, gli spara a bruciapelo un colpo di rivoltella, non riconoscendo l’illustre rapinatore.
Luciano Re Cecconi aveva ventinove anni; Wolkswagen terminava, in questo tragico modo, la sua ultima corsa, quella della vita.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Grande "Cecco", uno degli ultimi esempi di un calcio che non c'è più...

angelo 33 ha detto...

L'artefice di quella impresa fu Maestrelli, ben più di Chinaglia,il quale, dotato di notevole sensibilità umana e psicologica, riuscì a creare un gruppo così unito e compatto da sembrare un anima sola.

Guidato da un grande trascinatore come Chinaglia.

Così avvenne che una squadra di giocatori che ,presi uno per uno, erano assolutamente ordinari (il valore di mercato di tutti messi insieme non arrivava a quello di Gigi Riva), vinse con pieno merito il campionato.

La Lazio dello scudetto è uno degli esempi più illustri di come nel calcio la coesione del gruppo sia lo scopo primario da realizzare se si voglia vincere una competizione.

Bearzot e Lippi, che non disponevano di Maradona o di Baggio, lo sapevano e lo hanno applicato molto bene.

Pur non essendo della Lazio andavo allo stadio qualche volta per vedere quella squadra. Che effettivamente era molto motivata e compatta.I giocatori erano in perfetta sintonia tra loro.

In essa spiccavano non solo il furore agonistico trascinante di Chinaglia, ma l'incessante, inarrestabile propulsione di Re Cecconi.

Il quale non solo era un grande incontrista in quanto recuperava una miriade di palloni a centrocampo, fornendoli,poi, a Frustalupi che li orientava per le punte, ma sosteneva anche l'attacco con frequenti incursioni in area.

Insomma era un un mediano d'attacco.

Ritengo sia stato più forte e trascinante di Oriali, Bertini e Benetti (anche se meno solido di quest'ultimo).

Me lo ha ricordato qualche volta Baresi (che, infatti, giocò mediano all'inizio della sua carriera)nelle sue incursioni oltre la linea di centrocampo.
Solo che Baresi quelle incursioni le faceva una volta tanto.

Potente fisicamente, aveva una resistenza alla fatica ed una capacità di macinare chilometri quasi analoga a quella di Angelo Domeghini.

Perciò sarebbe stato molto valorizzato e sarebbe diventato una stella se avesse giocato nell'Olanda di Crujff.

Valcareggi, che pure era un allenatore di buon senso, commise un errore non inserendolo fra i titolari della nazionale del 1974 che partì favorita per la vittoria dei campionati del mondo in Germania.

Evidentemente ritenne prudente non modificare una squadra fortissima che appena l'anno prima gli aveva dato grandi soddisfazioni ed era considerata dai maggiori esperti la più forte del mondo.

Pur non avendo esperienza internazionale Re Cecconi avrebbe conferito al centrocampo di quella nazionale , un entusiamo, una freschezza ed un dinamismo ben maggiori di quelli di Benetti o di quello che,per esempio, Oriali fornì ai campionati in Spagna.

Ma Valcareggi nel tempo diventò molto tradizionale e meno aperto di quello che era stato all'inizio della sua gestione.

Come in Messico giocarono diversi calciatori del Cagliari, che avevano appena vinto lo scudetto, era ragionevole ritenere che in Germania non avrebbe giocato titolare solo Chinaglia.

Infatti come il Cagliari, squadra molto provinciale, aveva compiuto il miracolo di vincere uno scudetto, così anche la Lazio aveva compiuto un impresa quasi analoga.


Angelo Balzano.

Giuliano ha detto...

I calciatori, e gli sportivi in generale, di solito non valgono molto come persone. Con le dovute eccezioni, naturalmente: non poche, per fortuna. Io ho avuto mio padre che queste cose me le insegnava, da bambino: so purtroppo che per molti non è così.
(per tacere degli atleti olimpici dopati, dei ciclisti...)
Le cronache di questi ultimi anni danno Chinaglia che si fa manovrare da uomini legati a speculazioni poco chiare, Martini indagato per corruzione e tangenti all'ENAV... Questa storia dei colpi di pistola tra le gambe è spaventosa, ma per l'imbecillità di chi ne era artefice.
Una squadra che si ricorda comunque con affetto, perché tecnicamente molto ben costruita. Ricordo che giocavano quasi sempre gli stessi undici, dev'essere un record.

Anonimo ha detto...

Nerviano, non Nervino!

Stefano ha detto...

Correzione effettuata, grazie della segnalazione.

Anonimo ha detto...

Re Cecconi nn disse mai questa e' una rapina