Da Olbia, classe 1943 – si legge su “Hurrà Juventus” dell’aprile 2005 – è una di quelle tante meteore che passano nel cielo bianconero senza lasciare troppe tracce. A diciannove anni, arriva a Torino accompagnato dai giudizi lusinghieri degli osservatori, che lo hanno seguito a lungo sui campi minori. È un difensore eclettico e assai moderno, nel senso che sa fare il terzino e il mediano; un giocatore universale per cui stravede Pablo Amaral, l’allenatore brasiliano appena arrivato a guidare la Juventus fuori dalle secche nelle quali la squadra si era incagliata l’anno prima. Amaral, nel ritiro precampionato di Cuneo, prova a convertire la sua squadra al nuovo verbo calcistico, il tipico 4-2-4 brasiliano che nel mondo va per la maggiore, dopo che la Nazionale brasiliana, pur priva del suo fuoriclasse Pelé, ha battuto tutti nel Mondiale cileno.
Caocci è tra i più duttili a raccogliere il messaggio, che altri colleghi di più lungo corso vedono con una punta di scetticismo. Va da sé, che il buon Renato venga messo dall’allenatore sullo stesso piano dei titolari. Ma il ragazzo non ha la minima esperienza di calcio a un certo livello e le sue prove fanno presto ricredere Amaral.Non tanto sulla formula, che perfezionerà adottandola per tutta la stagione, quanto sugli interpreti. Caocci finisce, così, quasi sempre in tribuna, rispolverato solo quando i vari Castano, Sarti, Leoncini, per non dire Salvadore, devono marcare visita. Il giovanotto, che pure è un buon incontrista e sa pure impostare l’azione, raggranella solamente nove presenze in tutto, suddivise tra campionato e Coppa Italia. E l’anno dopo finisce al Palermo, dove giocherà ben di più, costruendosi un’onesta e non breve carriera.
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