In coincidenza col battesimo del nuovo anno – scrive Federica Bosco su “Hurrà Juventus” del febbraio 1988 –, in molti individui si riscopre una vena astrologica e si sprecano le previsioni che in qualche modo, benché facciano semplicemente sorridere il pubblico, condizionano la vita di coloro che ricercano nelle stelle la risposta ai loro problemi. Lo stesso Dalla cantava «L’anno che verrà», inno ormai incontrastato del prossimo futuro italiano, che puntualmente accompagna quel processo di presagio che coinvolge ogni settore di cronaca del nostro Paese, alla sfrenata ricerca di conoscere con un margine d’anticipo gli eventi che condizioneranno il 1988.
In questa sfilata di maghi e cartomanti non si discosta il mondo dello sport, dove, se pur in misura restrittiva, si svelano ipotetici vincitori di scudetti, di coppe o di gare; il tutto frenato da un certo scetticismo degli atleti, che crea nel calcio un terreno poco fertile in cui svilupparsi. Perciò alle tante parole profferite da astrologi di tutta Italia, rispondono con omertà i protagonisti, ormai completamente immersi nella battaglia del campionato così da non essere soggetti a condizionamenti esterni.
Quindi in un clima fiabesco non poteva mancare una storia fantastica; a conclusione di tante predizioni surreali occorrono delle certezze per dare speranza ai tifosi demoralizzati dai pronostici pessimistici espressi dalla cabala. Ecco dunque in vetrina il gioiello di Como: Pasquale Bruno, un ragazzo che in riva al lago ha trovato la sua dimensione di uomo e atleta; e oggi ha saputo dar conferma del suo valore anche con la Juventus. Perciò senza ombra di dubbio il futuro, bianconero s’intende, sarà suo; e, mai come in questo caso, le stelle staranno a guardare...
– Durante la scorsa estate sei stato uno dei protagonisti del mercato italiano, appetito da diverse squadre e sei poi approdato alla Juventus; eppure molti tifosi bianconeri ancora non ti conoscono. Puoi supplire a questa mancanza raccontandoti in breve al nostro pubblico?
«La mia avventura nel mondo dello sport è iniziata con la maglia giallorossa; infatti nelle giovanili del Lecce sono cresciuto e ho appreso i segreti del calcio; quindi a 17 anni ho esordito in serie B con la squadra pugliese e per quattro stagioni ho difeso i colori della mia città. In seguito sono stato acquistato dal Como, con cui ho giocato tre campionati cadetti e uno nella massima divisione; dopodiché il destino mi ha spalancato le porte del grande calcio e, in sordina, sono arrivato a Torino».
– Il tuo aspetto da duro ricorda vagamente Claudio Gentile; chi è stato il tuo modello?
«Per anni ho sognato di emulare giocatori come Antonio Cabrini e lo stesso Gentile, che personalmente ritengo un duo formidabile di difensori. L’aver costruito per molte stagioni l’ossatura portante della retroguardia bianconera dimostra tutta la loro grandezza a livello nazionale ed europeo; perciò sono lusingato ogni qual volta il mio stile viene avvicinato a un campione di quella caratura! Se è possibile azzardare un paragone ritengo di avere, dell’atleta di Tripoli, la camminata piuttosto simile sul terreno di gioco; per cui, quando ho l’opportunità di rivedere delle partite della Juventus di quegli anni, m’identifico col personaggio da te citato sotto il profilo atletico».
– Ma nel tuo caso i tratti somatici ricalcano le caratteristiche essenziali di un carattere piuttosto spigoloso e grintoso; o in realtà dietro uno sguardo inflessibile si cela un ragazzo diverso?
«Sul terreno di gioco sprigiono un’aggressività a me sconosciuta nella vita privata; perciò si può parlare di una vera e propria metamorfosi che interessa il mio carattere durante un incontro di calcio. La mia indole quotidiana è piuttosto tranquilla, quindi decisamente in antitesi all’aspetto che assumo quando indosso i panni di sportivo, il che non mi disturba affatto; anzi penso che un duplice aspetto permetta di condurre un’esistenza equilibrata, senza incorrere nel rischio di mescolare il lavoro con la personalità».
– Da Lecce, tua città natale, sei arrivato, dopo una lunga gavetta, alla Juventus; nell’arco della tua carriera non hai mai avvertito una crisi di rigetto nei confronti del calcio?
«La passione che mi ha coinvolto sin da bambino ha avuto il sopravvento su ogni ostacolo, per cui non si è mai verificato un senso di assuefazione per lo sport che ancora pratico con diligenza. Sicuramente nell’arco di 10 anni ho provato un’inversione di tendenza circa la concezione del pallone: in un primo momento per me rappresentava lo svago, il divertimento; in seguito ha preso spazio una maggiore sicurezza nelle capacità personali e il gioco ha lasciato via libera al lavoro, cosicché l’hobby ha assunto il significato di professione».
– Ma pensi che nel tuo caso il calcio abbia creato l’uomo o l’uomo abbia generato il calciatore?
«Ritengo che un contributo alla maturazione provenga proprio dal mondo dello sport; attraverso un ambiente complesso ho imparato a destreggiarmi anche nelle vicende quotidiane. Con ciò però vorrei precisare che le vere maestre di vita sono state le esperienze negative che coinvolgono ogni individuo indipendentemente dalla sua professione».
– Agli occhi del pubblico il mestiere di calciatore appare immune dai tanti problemi che invece accomunano la gente; concordi con questa tendenza?
«C’è un fondo di verità nella parola “privilegiato” con cui viene etichettato uno sportivo professionista; in quanto la retribuzione è ottima e inoltre abbiamo l’opportunità di divertirci lavorando. Non bisogna dimenticare però che non è tutto oro ciò che luccica e, sotto la campana di splendore in cui siamo avvolti, si nascondono piccole insidie e tante questioni spesso trascurate dal tifoso che del calcio conosce solo i lati positivi».
– Puoi svelare quali sacrifici deve affrontare un atleta per raggiungere l’affermazione e soprattutto per conservarla?
«Non c’è nulla di misterioso nelle difficoltà che deve superare un professionista: in primo luogo è indispensabile una vita regolare; perciò un ragazzo che intende affermarsi nello sport, qualunque esso sia, deve ben presto dimenticare la parola divertimento serale. Una banalità che però per un giovane è importante, quindi non è facile saper rinunciare alla discoteca, agli amici quando l’attività è in fase di sviluppo. Col passare del tempo e la maturazione sopraggiunge un nuovo handicap per il calciatore: la difficoltà nel conciliare gl’impegni lavorativi con la famiglia, quest’ultima spesso viene trascurata con grande rammarico dell’individuo in questione».
– Tra i tanti problemi sicuramente nel tuo caso il trasferimento al nord avrà fatto la parte del leone... Quale vantaggio e invece quale perdita ha determinato la tua scelta?
«In un primo momento le maggiori difficoltà erano di natura ambientale; la lontananza dalla famiglia, dai parenti, dalla ragazza, nonché un certo imbarazzo che accompagna un giovane meridionale nei suoi primi approcci col settentrione, avevano creato qualche perplessità iniziale nell’accettare la soluzione comasca, per altro accreditata dal desiderio di scoprire il mondo che si muoveva fuori da Lecce, fino ad allora totalmente estraneo per me. Quindi in un’altalena di emozioni sono giunto in riva al lago dove, per la prima volta, ho realizzato che nel calcio nulla viene regalato e ho perciò dovuto lottare parecchio per farmi apprezzare dalla società, dai compagni, ma soprattutto dai tifosi. Mentre in Puglia ero il ragazzino coccolato e vezzeggiato dalla squadra perché rappresentavo il frutto del vivaio, a Como ho conosciuto l’altra faccia del pallone, ben più spigolosa di quanto sembri apparentemente. Però l’esperienza fatta mi ha maturato moltissimo e mi ha reso più forte nella tecnica e nel carattere; dunque sono partito da casa che ero poco più di un ragazzino e sono diventato un uomo...».
– Con la vecchia Signora si è aperto un nuovo capitolo della tua vita; che significato ha avuto per te approdare alla società bianconera?
«Juventus come garanzia dello sport è il motto che accomuna questo team a un’altra grande italiana; la Ferrari; due idoli per milioni di persone che seguono rispettivamente il calcio e la formula uno. Perciò nei sogni di ogni giovane promessa calcistica si nasconde il desiderio d’indossare la maglia zebrata, e personalmente mi sento parte integrante di questa ampia fetta di atleti. Quindi nel momento in cui ho dovuto esprimere un parere in merito al mio trasferimento non ho avuto dubbi e sono arrivato a Torino, benché fosse in ballottaggio pure l’Inter. Forse con la casacca nerazzurra avrei disputato l’intero campionato da titolare, ma la mia indole bianconera ha fatto pendere l’ago della bilancia in direzione della Mole».
– Si dice che tu sia un pupillo di Marchesi, e proprio il desiderio dell’allenatore abbia inciso sul tuo trasferimento; quanto c’è di vero in questa affermazione?
«Probabilmente il ricordo di una splendida stagione coi colori azzurri ha avuto un ascendente sulle scelte della Juventus; perciò non posso che essere lusingato dell’attenzione che il tecnico ha mostrato nei miei confronti e spero di ricambiare la sua fiducia con ottime prestazioni anche con la maglia bianconera».
– Com’è il tuo rapporto con la dirigenza della Juventus?
«Nonostante la collaborazione si protragga da pochi mesi, ho avuto modo di ammirare un desiderio reciproco della società e dei giocatori d’instaurare un dialogo basato sulla fiducia, sulla stima e su un’amicizia di fondo necessaria per attenuare il naturale distacco che esiste tra le due posizioni. Per dar credito a questa tesi posso citare che il Presidente, considerato un uomo freddo, è in realtà una persona eccezionale, ben disposta a incoraggiare un giocatore nei momenti difficili, molto cordiale in ogni situazione e oltretutto simpaticissima».
– Proprio all’inizio della preparazione hai subito un infortunio che ti ha tenuto lontano dai campi di gioco per diverse settimane; quanto pensi ti abbia penalizzato tutto ciò nella ricerca dell’intesa coi compagni?
«Ancora oggi, a distanza di tanti mesi, avverto le conseguenze di una stagione iniziata con un certo ritardo; infatti, benché abbia raggiunto la forma migliore, sono danneggiato nel ritmo, non in sintonia con quello degli altri bianconeri».
– Le tue prestazioni, se pur brillanti, restano occasionali. Non pensi di meritare un posto da titolare?
«A 25 anni la carriera e ancora in fase di ampio sviluppo per cui posso attendere senza preoccupazione; oltretutto occorre considerare che la Juventus vanta nel mio ruolo gente come Cabrini, Favero e Brio: uomini che conoscono ogni più piccolo segreto del calcio e hanno in coppe e scudetti gli attestati più eloquenti della loro bravura Perciò sarebbe assurdo se, dopo sole tre partite, rivendicassi uno spazio di primo piano; l’importante e dimostrare la propria validità nei momenti opportuni, dopodiché il tempo sarà un prezioso alleato!!».
– Lo stare in panchina dopo un trascorso da titolare, sia pure col Como, che conseguenze porta a livello psicologico in un atleta?
«Certamente nessun calciatore se pur di giovane età apprezza una soluzione di ripiego, soprattutto se alle spalle vanta stagioni di piena attività; quindi il danno che scaturisce à prevalentemente di natura psichica. Pero nel mio caso devo dire che ero consapevole di dover fare un iniziale rodaggio e ho accettato ugualmente, pur mettendo in preventivo questo rischio, per ragioni affettive che mi legano da lunga data alla maglia bianconera».
– Hai la nomea di essere tra i più simpatici e divertenti; quali sono le battute migliori del tuo repertorio?
«Benché in un primo momento abbia avuto un certo timore di fronte a tanti campioni, dopo una conoscenza maggiore degli altri ragazzi, sono riuscito a superare il baratro d’imbarazzo e ho potuto esprimere la mia indole piuttosto vivace. Oggi sono un trascinatore del gruppo, ma nonostante ciò in tema di barzellette sono poco esauriente».
– Dunque sembra che tu abbia familiarizzato bene coi compagni di squadra; chi per carattere è sincronizzato meglio con te?
«Denominatore comune dello spogliatoio bianconero è l’allegria; a Como i giocatori hanno un’età pressoché analoga, qui a Torino invece la rosa è molto flessibile in quel senso, perciò i giocatori di 30 anni vantano una serietà ancora sconosciuta a noi giovani. La simpatia però supera anche la barriera anagrafica e ci rende tutti partecipi agli scherzi altrui: da Buso a Cabrini senza eccezione alcuna».
– Frequenti i colleghi anche fuori dal campo?
«La dimensione della città, nonché la presenza di figli in parecchie famiglie, penalizza i ritrovi extracalcistici... Ma quando le circostanze favoriscono incontri tra compagni di squadra si approfitta della situazione e si organizzano cene o uscite in gruppo».
– È vero che gran parte dei problemi che nascono sul campo si possono risolvere con una maggiore conoscenza dei compagni?
«Un elemento fondamentale nel mondo del calcio è lo spogliatoio; la presenza di astio o d’indifferenza è il presupposto di un campionato in sordina. Al contrario una sincera amicizia con gli altri giocatori e col tecnico è il sintomo più evidente del successo».
– Molti tuoi colleghi sono piuttosto restii nel rilasciare interviste di carattere personale; anche tu sei geloso del tuo privato?
«Non penso che una conoscenza più approfondita della mia vita possa nuocere alla carriera, mentre può rendere più affiatato il tifoso nei miei confronti. Quindi sono favorevole alla figura del calciatore come personaggio pubblico, con tutte le conseguenze, positive e non, che tale concezione comporta».
– Sei sposato?
«Sì».
– Come hai conosciuto tua moglie?
«La sua abitazione distava circa tre chilometri dalla mia, per cui tramite alcuni parenti ho avuto modo di incontrarla e... Cupido ha fatto il seguito!!».
– Cosa ti ha colpito maggiormente in lei?
«È luogo comune parlare d’intelligenza; in realtà l’impatto iniziale avviene con l’aspetto fisico, perciò di primo acchito sono rimasto affascinato dalla sua persona. In seguito ho avuto moda di apprezzare anche il carattere e ho scoperto di amarla».
– Quanta incidenza può avere la vita affettiva nella carriera?
«La famiglia è un tassello fondamentale nel mosaico di un campione: la tranquillità domestica può garantire un rendimento elevato al calciatore, mentre i problemi coniugali possono dare risvolti negativi pure sul lavoro».
– Se durante una passeggiata una tifosa ti avvicina e fa degli apprezzamenti sulla tua persona, tua moglie come reagisce?
«Per orgoglio dimostra una certa superiorità, ma, conoscendola, so che è gelosa».
– Tua moglie segue con interesse la tua carriera sportiva?
«Il mondo del calcio non l’ha mai coinvolta appassionatamente: solo ora comincia a carpire il significato di area di rigore, di centro campo; senza per altro mostrare un attaccamento che esorbiti da quello strettamente affettivo».
– Avete dei figli?
«Sì, una bambina di tre anni e mezzo di nome Sandra».
– Ma com’è Pasquale Bruno in pantofole?
«Scarico la tensione accumulata durante le partite davanti al televisore; quindi trascorro molte ore in compagnia di Sandra e di mia moglie per supplire alle tante giornate che la mia professione ruba alla famiglia».
– In casa riesci a estraniarti dal mondo del calcio, oppure una parte di te resta legata alla professione?
«È difficile separare la sfera affettiva da quella professionale, anche se, involontariamente, si resta coinvolti nel ciclone che suscita oggi la nostra attività. Quindi in ogni persona viene istantaneo seguire le trasmissioni sportive, anche quando è vivo il desiderio di dimenticare la parentesi lavorativa per qualche ora».
– Da qualche mese vivi a Torino; come giudichi il capoluogo piemontese?
«Ho sempre avuto simpatia per questa città, apparentemente fredda, che s’identifica bene col mio carattere. Negli anni passati avevo modo di conoscerla solo superficialmente; oggi ho l’opportunità di scoprire ogni angolo, anche grazie a una totale discrezione della gente che non infastidisce i personaggi pubblici ogni qual volta passeggiano per le vie del Centro».
– Hai avuto modo di conoscere le bellezze artistiche della nostra città?
«A causa dei frequenti impegni di lavoro ho potuto ammirare solo la Basilica di Superga: un monumento cittadino che riporta alla luce una storta molto amara per il capoluogo piemontese. La tragedia del grande Torino è viva ancora oggi nel cuore di moltissime persone; perciò la struttura architettonica, per altro molto bella, lascia spazio alla memoria di uomini e campioni indimenticabili e il ricordo di quel tempo dona un tocco di fascino alla costruzione».
– Tu provieni da una città di provincia; quali analogie e quali differenze hai riscontrato tra il tifoso di Como e quello di Torino?
«La Juventus per anni ha sempre significato vittoria e di conseguenza il suo pubblico, abituato a grandi campioni, si è avvezzato alle grosse imprese dimenticando col tempo il sapore delle sfide e della concorrenza; in quanto era consuetudine nel calcio italiano un monopolio bianconero. La cittadina lombarda, invece, rappresentava un capitolo atipico al punto che spesso noi giocatori avevamo l’impressione di essere in Svizzera. Quest’isola felice era contornata da un pubblico e da un calore impressionante alla domenica, mentre durante la settimana era tipica poca pubblicità, ma tanta tranquillità. Le motivazioni di questa pace sono da ricercare non nelle dimensioni della città – infatti anche nel sud, Avellino e Ascoli contano pochi abitanti però il calcio è il centro del mondo, tutto ruota intorno alla squadra locale e ai suoi campioni – ma nella concezione dello sport inteso, in riva al lago, come uno dei passatempi domenicali per gli abitanti locali, in alternativa ad altre attività».
– Quest’anno i risultati hanno deluso le attese del pubblico, perciò si è sviluppato un clima freddo nei vostri confronti; cosa diresti ai tifosi per catturare nuovamente la loro attenzione?
«Vorrei ricordare alla gente bianconera un ricorso storico: difficilmente la Juventus fallisce più appuntamenti consecutivi. Perciò è in programma un pronto riscatto, per regalare nuove soddisfazioni alla gente che ogni domenica ci segue con passione».
– Si dice che anche negli hobbies un individuo esprima la sua personalità; tu quali interessi hai oltre al calcio?
«Il mio tempo libero quest’anno è pienamente assorbito dallo studio; infatti ho deciso di diplomarmi e, poiché ricominciare dopo parecchio tempo è molto difficile, occorre il massimo impegno».
– È importante per un calciatore la cultura?
«Ritengo sia indispensabile una conoscenza di base per poter affrontare ogni discussione con un bagaglio d’idee tali da poter esprimere dei giudizi personali. A questo proposito devo dar atto ai consigli di mio padre, da me snobbati qualche anno addietro, e ora puntualmente riscoperti. Proprio in virtù di questa ragione ho deciso d’impegnarmi per essere culturalmente preparato in ogni circostanza; e tra qualche mese l’Italia potrà vantare un geometra in più…».
– Quali programmi segui alla televisione?
«E mia consuetudine guardare il telegiornale per avere una conoscenza generale dei fatti di cronaca che interessano l’Italia e il mondo; inoltre apprezzo molto il nuovo show di Renzo Arbore: “Indietro tutta”, oggetto di divertimento quotidiano nello spogliatoio bianconero».
– Le tue caratteristiche fisiche, nonché i tratti del tuo volto, farebbero di te un potenziale attore; non ti ha mai sfiorato l’idea d’interpretare un film?
«Per la verità alcune volte ho avuto il desiderio di tentare un’avventura simile, ma i miei impegni calcistici impediscono la realizzazione di ogni progetto in tal senso. Però se un giorno dovessi scegliere un’attività alternativa al pallone non giocherei le mie carte nel cinema, ma piuttosto mi cimenterei nel mondo della moda».
– Ma se domani un regista ti proponesse un ruolo, chi vorresti interpretare?
«Sicuramente scarterei una parte troppo impegnativa, non idonea al mio grado culturale; forse accetterei un personaggio in un film d’avventura sul genere di “Un tranquillo weekend di paura” o di “Rambo”».
– Quali sono le tue preferenze musicali?
«Sono un grande estimatore dei Genesis di cui conservo gelosamente ogni Lp dal 1969 a oggi, per un totale di 15 long plain veramente eccezionali».
– E in tema di canzoni italiane?
«Apprezzo i cantautori: in particolare Baglioni, Cocciante, De Gregori e Dalla».
– Come ogni anno questo è il periodo dei rimpianti e delle promesse; come pensi si possa sviluppare per te il 1988?
«Mi auguro di trascorrere una stagione tranquilla sotto il profilo della salute e di realizzare tanti successi in campo professionale».
– Un’ultima domanda: pensi di continuare il tuo rapporto con la società bianconera anche l’anno prossimo?
«Ho un contratto che mi lega alla Juventus per tre stagioni, quindi spero di soddisfare le esigenze della squadra così da poter portare a termine l’impegno sottoscritto. Se poi mi fosse confermata la fiducia per gli anni futuri, sarei ben lieto di protrarre la collaborazione fino al duemila e anche oltre».
Facendo riferimento ai famosi ricorsi storici, di G.B. Vico si può effettivamente notare, una certa analogia tra la teoria dell’antico filosofo napoletano e la Juventus.
La società di Piazza Crimea puntualmente riesce a smentire tutti coloro che giudicano ormai tramontata l’era bianconera; in passato, ogni qual volta si verificavano stagioni di transizione come l’attuale, si dava per concluso il calcio di vittorie, ma con orgoglio la squadra torinese rispondeva con nuovi allori allo scetticismo che pullulava nel mondo del calcio.
Oggi i presupposti sono tali da far rivivere la situazione sopra citata; perciò, secondo una linea di condotta ampiamente collaudata, la società saprà restituire la grinta recentemente smarrita. Quindi sull’esperienza dei campioni e sulla vitalità di giocatori come Bruno, Alessio e Buso: giovani tra i più promettenti del campionato, la vecchia signora saprà costruire le fondamenta di un nuovo «corso» di splendore…
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Il campionato 1987-88 della Vecchia Signora è molto deludente: eliminata subito dalla Coppa dei Campioni, non riesce mai a entrare nella lotta per lo scudetto. Bruno totalizza, comunque, 34 presenze e ha il merito di legare molto con Ian Rush, oggetto misterioso di quella squadra. Il gallese ricordava divertito di quando Pasquale gli insegnava le parolacce in pugliese!
La Juventus che si presenta alla partenza del campionato 1988-89, vede Dino Zoff in panchina; l’ex portiere ha molta fiducia in Bruno e lo promuove titolare, grazie alla sua capacità di disimpegnarsi in tutti i ruoli difensivi. Durante questa stagione, Pasquale realizza un gol di rara bellezza, contro il Napoli, in Coppa Uefa, che rimarrà l’unica segnatura con la maglia juventina. «Oltre alla comprensibile soddisfazione personale, ho gioito per la squadra che poteva così riscattarsi di fronte a un pubblico caloroso. Anche se per pochi giorni, sono stato l’artefice di un bel sogno. Ho avvertito un susseguirsi di emozioni indescrivibili, ma l’unico pensiero è stato per la mia famiglia».
L’ultima stagione in bianconero è in chiaro scuro: totalizza una trentina di presenze, ma sono più le espulsioni e le squalifiche che le partite giocate bene. Nel suo palmarès, comunque, ci sono la Coppa Uefa e la Coppa Italia conquistate in quella stagione.
Così, nell’estate del 1990 attraversa idealmente in Po e passa al Torino, lasciando pochi rimpianti. «Io non sputo nel piatto dove ho mangiato: la Juve mi ha dato il successo, i soldi e la possibilità di conoscere alcuni grandi personaggi come l’avvocato Agnelli e Boniperti. Quella maglia granata, però, mi è rimasta addosso per sempre».
1 commento:
Averne di cagnacci come lui in difesa.
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