martedì 26 marzo 2024

Giovanni KOETTING


Nella cartolina ufficiale della Juve 84-85, una di quelle foto di classe dove si fa “cheese” strizzando gli occhi controsole, Giovanni Koetting sta dritto in seconda fila. Il caschetto di capelli biondi e l’aria vagamente fiera spuntano all’incirca fra le costole di Platini e il gomito di Cabrini, più alti di lui, in terza fila. «Adesso sono ancora biondo, ho qualche capello in meno e qualche chilo in più» sorride Giovanni e lo fa per cortesia. «Se pensa all’attacco della Juve nei primi anni ‘80, si rende conto anche lei che era difficile trovare spazio. Adesso magari, con tutte le partite che ci sono da giocare, sarebbe più facile».
Era in assoluto il più biondo della squadra bianconero. Quando andava via in velocità tra il solito nugolo di avversari che cercavano in tutti i modi di fermarlo, ci si poteva rendere conto che quel ragazzino, che prometteva bene, non poteva che essere lui, Giovanni Koetting, detto Gianni, forse per addolcire, almeno in parte, quel cognome così duro e difficile da pronunciare. Già nelle primissime stagioni nel settore giovanile bianconero, dov’era approdato nel 1972 a soli dieci anni, il Tedesco (suo padre è germanico ma Giovanni è nato a Ivrea ed è, quindi, piemontese purosangue) emergeva per tecnica, sagacia tattica e progressione.
I suoi allenatori, da Pedrale a Grosso passando per Sentimenti IV e Bussone, non facevano fatica a intravedere in quel centrocampista, che veniva preferibilmente impiegato sulla fascia, il giusto mix di tutte le doti che fanno di un giovane promettente un potenziale campioncino: «Nel vivaio della Juventus ho fatto tutta la trafila sino alla Primavera, dove ho giocato con Pin, Storgato e Galderisi. A 16 anni ho iniziato a entrare nel giro delle Nazionali giovanili: soltanto allora mi sono reso conto che forse sarei potuto diventare qualcuno».
Così, infatti, è stato. Dopo una stagione da riserva in A con l’Udinese a soli 18 anni e il successivo torneo in B con la Spal, nel 1982 Koetting ritorna alla base, dove diventa il pupillo di Trapattoni: «Purtroppo non è andata proprio così, altrimenti avrei giocato ben di più. In ogni caso durante le tre stagioni in bianconero mi sono tolto le mie soddisfazioni: nel 1984-85, ad esempio, realizzai, contro l’Udinese, la rete decisiva quando ero entrato da appena dieci minuti. Dopo quella partita ho pensato che fosse finalmente giunto il mio momento e difatti, nel prosieguo della stagione, ho fatto piuttosto bene. Ma, purtroppo, nel calcio ci vuole sempre un po’ di fortuna. Nella prima stagione con la Juventus, ad esempio, pur di giocare una volta sono sceso in campo con trentotto e mezzo di febbre tenendo il medico all’oscuro di tutto. E, ovviamente, in quel frangente non ho certo dato il meglio di me. La verità è che quando si è impiegati con il contagocce, come mi capitava in quella compagine ricca di grandissimi campioni, risulta assai difficile dimostrare quello che si vale davvero».
In ogni caso, pur assommando soltanto 17 gettoni di presenza, tra campionato e coppe, Koetting è a tutti gli effetti da considerarsi un giocatore pluridecorato: «In un triennio abbiamo vinto uno scudetto, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e la Coppa dei Campioni. Certo, io ho giocato poco, ma non mi trovavo lì per caso: se ho dato poco in campo, nel gruppo ho sicuramente fatto la mia parte mantenendo un atteggiamento sempre positivo. Non ho mai creato alcun problema».
Nell’estate del 1985, Koetting fu ceduto per una cifra record all’Ancona in Serie C. Poteva essere l’anno della svolta e della definitiva consacrazione: «Andò diversamente: lo dicevo che nel calcio ci vuole fortuna. Nella Juventus ero chiuso e, pur avendo ancora tre anni di contratto, preferii andar via per giocare. All’inizio sembravo destinato al Bologna in B, poi invece fui venduto all’Ancona. In conseguenza di quanto era stato pagato, tutti si aspettavano da me sfracelli. Ma in quella stagione, se cadeva un sasso, non poteva che beccare me. Sono stato fermo per due mesi e poi ho accusato diversi altri problemi fisici: e il pubblico si sentiva in dovere di fischiare Mister Miliardo. Il secondo anno invece è andato molto meglio, ma alla fine ho avuto un grave problema familiare che mi ha spinto a chiedere di riavvicinarmi a casa. Così sono stato contattato dalla Pro Vercelli che mi voleva a ogni costo e a me quella sistemazione andava benissimo; purtroppo però mi sono scontrato con le esigenze della società, che, per recuperare il più possibile dalla cessione del sottoscritto, voleva vendermi in una serie superiore. Allora mi sono impuntato e, pur di stare vicino a Torino, sono andato a giocare tra i dilettanti dell’Ivrea. L’anno successivo l’Ancona, che voleva girarmi in C1 a La Spezia, dove mi offrivano un contratto annuale, mi ha richiamato: a quel punto, avendo già una famiglia sulle spalle, ho preferito chiudere con il professionismo».
Ma non con il calcio, in ogni caso. Per diversi anni Koetting ha, infatti, calcato ancora i campi piemontesi proprio con l’Ivrea e in seguito con la Rivarolese: «Grazie al cielo, avevo conseguito il diploma di ragioniere, cosicché, pur continuando a giocare, sono riuscito a trovare un posto in banca a Ivrea dopo aver superato un concorso. Se mi sono mai pentito della scelta fatta a soli 26 anni? Assolutamente no; continuando in Serie C avrei forse guadagnato di più, ma poi avrei fatto fatica a sistemarmi per la vita. L’unico rimpianto consiste nel fatto che, pur avendo buone potenzialità, ho raccolto meno del dovuto nonostante le 26 partite nelle rappresentative azzurre. Tutto il resto appartiene ormai al passato. Nostalgia? Tutte le mie scelte le ho portate avanti convinto e nella vita sono realizzato. Certo, potevo fare di più… Nelle Nazionali giovanili c’ero sempre, ero quotato, ho vinto il campionato Primavera con l’Udinese: contro la Roma ho segnato il gol decisivo in finale e mi hanno scritto anni dopo da Udine per ringraziarmi. Sono emozioni bellissime. Come quando ho esordito in Serie A».
14 settembre 1980, Udinese-Inter 0-4. «A 18 anni. O quella volta che siamo andati in trasferta in Austria con la Nazionale Juniores e uno del mio paese, che era emigrato lì e aveva aperto una gelateria a Vienna, a fine partita mi ha chiesto la maglia. Nel ‘79 con la Juniores abbiamo incontrato l’Olanda di Koeman, Rijkaard, Kieft e abbiamo vinto 3-0. Ho fatto gol. In quel tempo ero felice al 100%. Dopo, nella Juve, lo ero solo al 30%. Eppure avevo dimostrato di essere forte, a centrocampo. Mai cambiato ruolo, non mi piaceva giocare con le spalle alla porta».
Giovanni dalle bande bianconere. Un nome rimasto caro ai malati di Vecchia Signora. «Ho vinto nell’84 la Coppa delle Coppe, ho giocato in Coppa Campioni. In Coppa Italia col Milan sono andato alla grande. Nell’85 con me la Juve ci ha guadagnato. E sono rimasto juventino».


8 commenti:

Anonimo ha detto...

GRANDE RICORDO

Anonimo ha detto...

Grande ricordo e ho anche avuto la fortuna di vedere il suo unico gol con la juventus!!!

Massimo D'Agostino ha detto...

vorrei ricordare agli autori del'articolo, molto bello, che in commercio c'è un mio libro stampato con codice regolare ISBN dal titolo "Campioni nel Cassetto". Tra le interviste è presente anche quella effettuata dal sottoscritto a Giovanni Koetting nel 2003. Pur prendendo le distanze dall'editore del mio libro, per come ha gestito la pubblicazione, vorrei chiedere la cortesia agli autori del vostro sito, qualora alcune parti dell'intervista fossero state prese dal mio libro, di citare la fonte; questo perché la parte sull'Ancona Calcio è praticamente identica.

Stefano ha detto...

Buongiorno Massimo.
Questo articolo è tratto da un numero di "Hurrà Juventus" degli anni ottanta.
Io sono solito, come può notare, citare le mie fonti e le garantisco che questo articolo non è tratto dal suo libro. Libro che, fra l'altro, mi piacerebbe leggere.
Grazie e buona giornata.

Anonimo ha detto...

Ottimo giocatore ma con la sfortuna di giocare in una juve piena di campioni. Peccato !!

Anonimo ha detto...

Storie di Vita e di Sport ...Un Grande ha saputo gestire bene 👍❤️ha fatto la scelta giusta ..Come si dice un"Pezzo di carta non è mai poco ...,,Soprattutto ai suoi cari Famiglia

Anonimo ha detto...

Ricorda molto la vicenda di Roveta, anche lui abbandonò il calcio a soli 27 anni per stare vicino a casa.

Giacomo ha detto...

Lo ricordo sempre con simpatia e affetto dal periodo in cui bambino iniziavo ad appassionarmi alla Vecchia Signora. Ed in generale, come protagonista di un periodo che sia per il calcio che per la vita in generale non tornerà più, e siamo stati privilegiati ad aver vissuto.