lunedì 28 dicembre 2020

Umberto AGNELLI

 

«La Juventus è un modo di essere, di esprimersi e di emozionarsi, vivere insieme a tanti altri la stessa passione per il calcio. Una passione che ha unito e che unisce persone di condizione sociali e fedi politiche diversissime… A Torino, in Italia e in tutto il mondo».

ANTONIO GIRAUDO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL LUGLIO 2004
È un momento tristissimo, in cui è molto difficile raccontare le mie emozioni. Umberto Agnelli è stato un personaggio fondamentale nella mia vita, sotto l’aspetto umano e professionale.
Con lui ho trascorso giorni indimenticabili, in lui ho sempre visto un punto di riferimento e provo un’immensa gratitudine per la fiducia che ripose in me fin da quando mi chiamò a collaborare con lui. Lavorare con Umberto Agnelli è stato un privilegio che mi ha consentito di imparare moltissimo: il metodo, la costanza, l’applicazione e per certi versi anche la riservatezza. Sono state queste le regole che ho fatto mie e mi sono portato dietro in tutte le esperienze lavorative che ho affrontato.
Sul piano umano era una persona straordinaria, con la quale era piacevole e istruttivo confrontarsi. Da lui ho ricevuto tanti aiuti e consigli, ma soprattutto ho sempre avuto la piacevole sensazione di sentirmi protetto. Mi faceva sentire come uno di famiglia ed io ho sempre provato un affetto speciale per lui, sua moglie donna Allegra e i suoi figli Andrea e Anna. Giovanni Alberto, suo primogenito, era per me come un fratello minore.
Mi mancheranno le sue telefonate quotidiane e quelle che inevitabilmente, dopo ogni partita, ci portavano a commentare i risultati della “Sua” Juventus. Era profondamente innamorato dei colori bianconeri e proprio per questo il suo entusiasmo era sincero, profondo, contagioso, e le sue critiche puntuali, mirate e costruttive.
Abbiamo condiviso e costruito assieme l’entusiasmante progetto della Juventus di questi ultimi dieci anni. È stato vicino a me, a Moggi e a Bettega partecipando in prima persona alle scelte che ci hanno consentito di essere protagonisti e vincenti. E anche la nuova Juventus, che nasce oggi con l’arrivo di Fabio Capello, è il suo capitolo finale di una storia iniziata quando, a soli 22 anni, diventò il più giovane presidente della storia della Juventus.

ANGELO CAROLI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL LUGLIO 2004
È l’ultima ferita sulla quale piangono la famiglia Agnelli, la Fiat e la Juventus. Si è spento Umberto Agnelli, il Dottore. Per noi bianconeri era ed è il Dottore.
Dolcezza e rigore. Userei questi sostantivi se dovessi imprigionare il ricordo in una frase. Certo che l’immagine di Umberto Agnelli richiede concetti più estesi, impegnati e impegnativi. A me piace cominciare con due parole, “dolcezza e rigore”. Mi perdoni il lettore se per celebrarne la memoria mi appello a qualche itinerario autobiografico.
Ho poco più di 18 anni, è l’inverno del 1956. La Juve gioca a Bologna. In treno l’allenatore Sandro Puppo mi presenta Giampiero Boniperti e ai compagni di squadra con cui avrei debuttato. Vinciamo 1 a 0, perdonatemi se vi ricordo anche questo dettaglio, con un mio gol. Non so da quanti mesi la Juve, che è piuttosto congiunturale, non riesce nell’impresa in trasferta. Siamo tutti felici. Torniamo a Torino, Porta Nuova mi offre una sorpresa inimmaginabile, ben di là dalle mie ardite congetture di giovane sognatore.
Non ci sono molti tifosi, mezzanotte è passata da un po’. Mi affaccio al finestrino, al mio fianco sorridono per i flash Bruno Garzena e Karl Praest. Noto sul marciapiede la minuta figura di mio padre e i suoi baffetti curati. Vicino giganteggiano due persone: una è leggendaria, Giampiero Combi, l’altra è già permeata di suggestioni e prestigio, Umberto Agnelli che ha 21 anni. Scendo dal treno e lui mi viene incontro, con il sorriso appena abbozzato, docile e dolce ma volitivo. Tipico di chi vede e legge lontano. Un sorriso mai enfatico. Come la voce. Una voce che pesa le sillabe e non dispensa mai teoremi vacui. La voce di un uomo schivo che rifiuta la pubblicità. Persino la stretta di mano sintetizza vigore e garbo. Così ricevo il saluto di un signore di altri tempi. Prima di stringermi la mano per il commiato mi bisbiglia, inclinando il capo verso il basso: “Ora devi insistere, sei appena all’inizio”.
Mi sembra di sognare, di aver scoperto intorno a me un universo disegnato nelle mie notti quiete solo come luminoso tragitto onirico di Chagall. Da quel giorno apprezzo del Dottore la signorilità, lo stile, il rigore operativo, la dedizione al lavoro e la competenza. Sì, la competenza. Perché imbastisce un discorso tecnico con perfetta conoscenza anche del calcio. Ed ha l’invidiabile capacità di circondarsi, progetto dopo progetto, di uomini molto validi.
Gli acquisti di Charles e Sivori appartengono alle prime intuizioni di una serie che condurrà all’era di Deschamps, Zidane, Davids, Trezeguet e Nedved tanto per restare nell’ambito straniero. La personalità del giovane Umberto si nasconde dietro un’espressione del viso infantile. L’applicazione e la concretezza sono i suoi tatuaggi. È insomma l’ago magnetico che orienta coloro che lo affiancano. La Juve si arricchisce pertanto di un alone speciale. È difficile non restarne affascinati. L’avvento ufficiale del Dottore nell’orbita juventina risale all’8 novembre del ‘55. Durante l’assemblea dei soci Umberto Agnelli viene eletto commissario, anche se la dicitura su cui discutono i consiglieri più tradizionalisti è quella di reggente.
Gli stretti collaboratori sono Mandelli, Cerutti, Giordanetti e Amapane. Il giovane Agnelli, tra un esame e l’altro in facoltà, si presenta ogni giorno in sede e ausculta i palpiti della squadra e della società. Lievita l’abitudine di frequentare il vernissage ferragostano a Villar Perosa, fra esplosioni di bandiere e tifo ad alta fedeltà. Si moltiplicano le frequentazioni nello spogliatoio dopo una partita e a bordo campo durante gli allenamenti. Per incoraggiare, suggerire, analizzare, capire. Il più giovane presidente della storia calcistica italiana ha idee geniali, come quella di seguire le indicazioni di Carletto Levi, il quale gli confessa che il River Plate è in crisi economica e per 180 milioni può vendergli uno dei tre angeli dalla faccia sporca. Sivori passa alla Juve perché “è un affare tecnico ed economico, con lui vinceremo tanto”, questa la filosofia del Dottore. Insieme con Walter Mandelli vola poi in Gran Bretagna e contatta Charles John è in parola con l’Inter. Senonchè Angelo Moratti è invaghito di Vonlanthen e lascia John al Dottore. Germoglia il ciclo di tre scudetti.
Il ‘59 è un anno speciale per Umberto Agnelli. Sposa Antonella Piaggio, si laurea in Giurisprudenza ed è eletto presidente della Figc. Il 9 agosto lo nomina l’Assemblea federale con formula plebiscitaria. “Mi manca qualcosa”, confida agli amici. Trattasi dell’11° scudetto, il 10° della dinastia Agnelli. Sorride, è convinto che arriverà presto. E infatti l’impresa si realizza la primavera del ‘60, replicata nel ‘61. Ma questa è un’altra storia che indurrà il Dottore a prendere decisioni irrevocabili. Ascoltate.
La Juve comanda la classifica con 40 punti davanti a Milan (37) e Inter (36). In aprile ospita i nerazzurri di Helenio Herrera. Il Comunale è un anfiteatro, un bollitore di emozioni pacifiche. I posti a sedere non sono sufficienti, gli spettatori si accomodano ai bordi del campo. Come è accaduto due stagioni prima al Vomero, dove il Napoli ospita i bianconeri e dove i tifosi dilagano fino ai limiti del campo.
Boniperti e C. giocano e perdono 4-3 senza protestare. Invece Helenio Herrera, dopo mezz’ora e col risultato sullo 0 a 0, pretende lo stop del match. L’arbitro Gambarotta si piega alla richiesta. La Juve è fuori di sé! Il giudizio di primo grado assegna a tavolino il 2-0 all’Inter. L’avvocato Vittorio Chiusano, con un colpo di coda legale, evoca la tesi della responsabilità oggettiva che in quel caso non c’è. La sentenza della Caf recita che “il match è da rifare”. La Juve ha già il 12° titolo in tasca e dilaga contro i boys nerazzurri capitanati da Sandrino Mazzola.
Il verdetto riporta il sorriso nel Palazzo bianconero, ma il Dottore è troppo preso dalla Fiat e irremovibile, allora si dimette dalla carica federale. Con lo scudetto in bacheca la Juve festeggia. Il Dottore ci invita tutti al Perruquet, il più fascinoso night degli Anni ‘60. Il locale è tutto per noi. La serata è accarezzata dalla voce flautata di Gilbert Becaud.
L’anno successivo Umberto conclude il rapporto “presidenziale” con la Signora, ma non il romanzo d’amore. Come il fratello Giovanni, resta l’angelo custode della Juve. Lo sarà fino al 27 maggio del 2004. Gli anni sembrano volare, il Dottore non cambia filosofia. Resta l’esponente pensoso e operoso della coerenza sabauda. Nel ‘64 viene eletto presidente della Fiat France, raddoppia il fatturato e colloca l’azienda al 5° posto nelle importazioni di vetture in Francia. Nel ‘65 è eletto presidente della Piaggio, mentre l’Avvocato nel ‘66 è presidente del gruppo Fiat. Ma c’è dell’altro: Giovanni nel ‘67 assume la presidenza dell’Editrice La Stampa e nel ‘74 quella della Confindustria; Umberto nel ‘70 ricopre la carica di Amministratore delegato della Fiat e nel ‘76 di vice presidente. Nello stesso anno è eletto senatore a Roma, area Dc. E la Juve? Sfuma come un orizzonte autunnale tra le foschie dell’oblio? O resta un obiettivo da raggiungere con appuntamenti occasionali e fuggitivi? No, il Dottore lavora, vigila e dispone. Una sorta di amorevole divinità.
La Juve va avanti e non rinuncia ai successi che rastrella con sorprendente stillicidio di cicli. I presidenti, dall’on. Catella a Boniperti, bandiera bianconera, mietono vittorie. Il calcio si converte in meccanismo sempre più complesso. Nel Palazzo juventino viene accolto l’avvocato Luca Cordero di Montezemolo, vicepresidente esecutivo che si muove in maniera impeccabile a Roma ‘90. Casa Juve gli spalanca finestre e prospettive. Non basta però la sua figura carismatica e ipercinetica, ha la ventura di imbattersi in un tecnico simpatico ma inesperto come Maifredi. Per la prima volta l’area Europea si nega alla Juve. Il Dottore è impegnato in ogni angolo del mondo. L’Avvocato decide per il rientro di Boniperti amministratore delegato e Trapattoni tecnico. Per Luca di Montezemolo, manager duttile e poliedrico, si concretizza il ritorno alla Ferrari dove progetta un ciclo sbalorditivo che inorgoglisce e dura tuttora.
La Juve ha grinta, ma la portaerei berlusconiana è inaffondabile. Il progetto della Famiglia è immutabile, a Boniperti scade l’accordo triennale. Il Dottore dice che è arrivato il momento di Bettega. L’ex Bobby gol è il neo vicepresidente. Umberto sfoggia un pragmatismo che garantisce continuità attraverso mutamenti graduali e sostanziali. La Famiglia rivisita l’organigramma e il Dottore, è lui che decide tutto, si affida a “menti operative” di altissimo spessore.
Il presidente è l’avvocato Vittorio Chiusano ed è affiancato dalla “triade” Roberto Bettega, che eredita da Boniperti una staffetta generazionale, il dottor Antonio Giraudo che si occupa di problemi finanziari in qualità di amministratore delegato, e Luciano Moggi il direttore generale responsabile del mercato che farà parte del Cda. Le loro qualità si miscelano alla perfezione. Il marketing è gestito dall’instancabile Romy Gai. La società è un esempio, una scuola di vita aziendale. Mi piace cioè definire “singolare strabismo operativo” il modo con cui il Dottore rivolge un occhio alla voce “tecnica” e l’altro al “bilancio”.
La “new age” si completa con Lippi, toscano aspro e vincente. Il Dottore lo invita a dare alla squadra gioco, successi, serenità e divertimento. Eseguito. Il Dottore si occupa sempre più direttamente della Juve nonostante sia presidente dell’Ifil e amministratore delegato dell’Ifi. L’avvento della “triade” scandisce l’apertura di un altro ciclo fiabesco: 5 scudetti, una Champions League, un’Intercontinentale, una Coppa Italia, 3 Supercoppe Italiane e 2 Europee. Tutto in due fasi interrotte dalla parentesi non fortunata di Ancelotti. Il ‘97 è un anno glorioso, la Juve compie 100 anni. È bello vedere Giovanni e Umberto Agnelli seduti, con Chiusano e Boniperti, sulla panchina dove si radunavano gli studenti D’azeglini per inventarsi il marchio Juventus. Ma è anche un anno sconvolgente per la Famiglia. Il 13 dicembre muore a 33 anni Giovanni Alberto, figlio di Umberto Agnelli e Antonella Piaggio. Il destino è più forte del ragazzo che ha grosse capacità professionali e umane.
Il destino ha forze ciniche. Nel 2000 Giovanni Agnelli è eletto membro onorario del Cio, ma in novembre perde il figlio Edoardo che ha 46 anni. Il 24 gennaio del 2003 muore l’Avvocato e l’Italia è in lutto. Il Dottore assume la carica di presidente della Fiat. Muore anche Vittorio Chiusano. Franzo Grande Stevens, legale di enorme prestigio, riceve la fiducia dalla famiglia e si impossessa delle redini juventine. Il Dottore, uomo dai molteplici interessi, è dunque responsabile del Gruppo Fiat, vicepresidente della Fondazione Agnelli, membro del Cda della Danone, Worms & Cie, della Worms & C e della Luiss Guido Carli, membro della Giunta direttiva dell’Assonime. Fa inoltre parte degli International Advisory Board dell’Allianz e della Salomon Smith Barney e dell’European Advisory Board della Schroder Salomon Smith Barney. È Co-presidente dell’Italy Japan Business Group. È inoltre Grand’Ufficiale al merito della Repubblica e Officier della Legione d’Onore Francese, Consigliere Internazionale del “Premium Imperiale”. Ciò nonostante non trascura la passione Juve. L’ultimo exploit in campo imprenditoriale è il risanamento della Fiat.
Sedici mesi dopo la morte dell’Avvocato, ecco il dolore e la tristezza per la scomparsa del Dottore. Sulla sua memoria si convoglia la commozione di capi di Stato e Governo, industriali, impiegati e operai, calciatori e tifosi. Una commozione sentita e non retorica perché rivolta a un uomo di valore assoluto.
Si va avanti. La Juve cambia il vertice tecnico. Si chiude il ciclo Lippi e si apre l’era Capello, altro trainer vincente. Si va avanti, dicevo. Ma mi è impossibile immaginare nella tribuna del Delle Alpi il posto del Dottore vuoto e pensare che la sua mano “docile e dolce” non stringerà più quella dei campioni in arrivo. In un momento di grande tristezza noi juventini ci sentiamo vicini con affetto a donna Allegra Caracciolo e ai figli Anna e Andrea. Concludo con un sogno, una speranza, che un giorno un giovane Agnelli si presenti alla stazione o all’aeroporto per salutare una vittoria importante della Juve in trasferta. E magari per stringere la mano, con “sorriso dolce e rigoroso”, di un giovanissimo debuttante autore del gol vincente.

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