domenica 22 novembre 2020

Claudio RANIERI

 

Per Jean-Claude Blanc è l’uomo del futuro – scrive Federica Furino su “Hurrà Juventus” del luglio 2007 –. Per Buffon e Del Piero, la persona adatta a riportare in alto la Juventus. I tifosi lo vedono come il nuovo Lippi mentre i giornali lo hanno apostrofato come la soluzione più adatta al momento storico dei bianconeri. Claudio Ranieri, invece, venti giorni dopo aver accettato di passare le prossime tre stagioni sulla panchina più pesante d’Italia, di sé pensa essenzialmente una cosa: di essere un uomo fortunato e molto, molto orgoglioso.
Orgoglioso di diventare l’allenatore della Juventus, orgoglioso di essere stato scelto da un club tanto prestigioso, orgoglioso di far fruttare gli anni passati in giro per gli stadi di mezza Europa e tutte le fatiche di “self-made man” del calcio italiano. Lo aveva detto già nella sua prima uscita in bianconero, a Vinovo. Ma l’orgoglio, nei discorsi ufficiali, ha sempre un sapore anonimo di circostanza. Quando ti stai godendo l’ultima vacanza prima dell’anno più intenso della vita, invece, la retorica va a farsi benedire.
Mister, da giocatore ha vestito la maglia della Roma, poi ha allenato Fiorentina e Napoli. Insomma ha avuto a che fare quasi con tutte le rivali storiche della Juventus. Che effetto le fa, ora, ritrovarsi in bianconero?
«La Juventus è la Juventus. Per la gente della mia generazione rappresenta comunque uno stile difficile da superare: è un’idea che ci siamo portati dietro dall’infanzia, quando Charles era il gigante buono e la Juve un simbolo di sportività. Lo era per tutti anche per chi, come me, non era bianconero. Che effetto mi fa ora? Sono orgoglioso e molto felice».
L’avrebbe mai detto?
«No, ma non per particolari preconcetti. Semplicemente sono uno che pensa a lavorare, non mi sono mai chiesto dove mi avrebbero portato i miei sforzi. Sono fatto così, mi accontento di fare bene. Questa volta sono stato fortunato, ma chi crede che io veda questa panchina come un punto di arrivo si sbaglia: la Juventus è un punto di partenza».
Un anno fa la bufera di Calciopoli era nel caos più totale: intercettazioni, processi, retrocessioni. Che cosa ha pensato?
«Essere un allenatore italiano all’estero in quei giorni non è stato facile: ero subissato dalle domande dei giornalisti. Meno male che c’è stata subito la Nazionale che ci ha permesso di ridare credibilità al nostro calcio».
Intanto la Juventus finiva, unica, in Serie B. Lei era tra quelli che davano per scontata la promozione?
«Sapevo che per i ragazzi della Juventus sarebbe stata molto dura, tanto più visti i punti di penalizzazione con cui sono partiti. Sapevo che avrebbero dovuto sudarsi la promozione su tutti i campi: quando presi la Fiorentina in Serie B fu lo stesso. Quando sei una squadra importante e giochi nella serie cadetta, nessuno ti regala nulla. Sei quello da battere a ogni costo. Quindi no, non davo per scontata la promozione: questi ragazzi hanno compiuto un’impresa».
Mister, lei arriva a Torino in un momento di certo non facile per la storia della Juventus. I tifosi si aspettano di vincere. Ci sono stati investimenti e rinnovi importanti, ma la squadra non è quella dell’ultima partita giocata in Serie A. Qualche ansia da prestazione?
«Sì certo che ce l’ho l’ansia da risultati. Ma aggiungo: ce la dobbiamo avere tutti. Perché siamo la Juventus e la Juventus deve vincere. Il pubblico, invece, non deve avere ansie. Questo è l’anno zero, non ci sono termini di paragone. Non possiamo dire l’anno scorso siamo arrivati terzi, quarti, quinti o secondi e ora dobbiamo migliorare. No, l’anno scorso eravamo in Serie B. Vediamo dove arriveremo: cercheremo di andare il più in alto possibile e poi, eventualmente, di migliorare. Questo è il nostro obiettivo».
Nel suo primo giorno da allenatore della Juventus non ha parlato di risultati. Non ha mai pronunciato la parola scudetto. Questo vuol dire che lo ritiene un risultato al di là delle possibilità della squadra?
«Non ho detto questo. Non abbiamo fatto proclami, ma ci vogliamo essere. La Juventus deve vincere e i tifosi devono sapere che torneremo a farlo. Però bisogna sapere che non è possibile riformare da un giorno all’altro la squadra di un tempo. Questo non significa che non andremo su tutti i campi d’Italia e poi d’Europa a giocare per portare a casa i tre punti: lo faremo perché questa è la mentalità della Juventus, dei suoi giocatori ma anche del suo allenatore. Con tutte le mie squadre, prima di ogni partita ho sempre detto: non mi interessa chi ho di fronte, io voglio vincere. Se poi gli altri sono più bravi, vinceranno loro».
Come sarà la Juventus di Ranieri?
«Una squadra in cui prevale lo spirito di gruppo. Alla Juventus non è mai mancato ed è da qui che bisogna ripartire: voglio vedere i giocatori che si sostengono uno con l’altro per raggiungere insieme gli obiettivi. E poi ci deve essere l’entusiasmo, la voglia di dimostrare: “ecco siamo tornati, i tifosi possono essere orgogliosi di noi”».
Mister, vuole dire che il gruppo conta più dei singoli?
«Il calcio è uno sport di squadra. Ben vengano i singoli, i campioni che sanno imporsi al di sopra degli altri. Ma i singoli devono mettersi al servizio del gruppo, altrimenti non si va da nessuna parte».
Lei arriva da una lunga esperienza all’estero. In Inghilterra, in particolare, c’è la tendenza a valorizzare i giovani. La Juventus, lo scorso anno, ha cercato di investire sui ragazzi del vivaio e ha avuto successo. Palladino, Paro, Marchisio, Giovinco sono ormai talenti riconosciuti. L’anno prossimo pensa di continuare su questa strada?
«In Inghilterra chi ha scelto di puntare sui giovani ha avuto successo. L’Arsenal con grandi giocatori di esperienza non era riuscita ad andare oltre i quarti di finale di Champions League. Nel momento in cui ha messo dentro i ragazzini è arrivata in finale con il Barcellona. Lo stesso ha fatto il Manchester quando ha rinunciato a Beckham e Van Nistelrooy, conquistando comunque la finale di Champions. Io credo che i giovani debbano uscire fuori, soprattutto quelli che valgono. La Juventus ha grandi campioni: Buffon, Del Piero, Nedved, e tutti gli altri. Ma anche ottimi giovani: tocca a noi farli diventare campioni».
La nuova Juventus guarda con attenzione al modello delle società inglesi. Arrivando a Torino ha riconosciuto qualche affinità con le squadre d’oltremanica?
«Devo ammettere che l’organizzazione della società mi ha colpito. Ho sentito entusiasmo, voglia di fare, di lasciarsi il passato alle spalle e aprire un ciclo. Il progetto che sostiene la Juventus è ambizioso e concreto».
Lei crede che la Juventus potrà rappresentare un modello di rinnovamento per il calcio italiano?
«Si seguono i modelli solo se sono vincenti: noi stiamo cercando di incamminarci su una strada nuova ma per indurre gli altri a seguirci dobbiamo vincere».

La prima stagione con Ranieri in panchina si conclude al terzo posto. Un buon piazzamento se si considerano due fattori importanti. In primis la pessima campagna acquisti: i “gioielli” Marchisio, Giovinco e De Ceglie ceduti in prestito e gli arrivi non all’altezza delle ambizioni juventine. Aveva forse ragione Deschamps nel dire che erano meglio due acquisti di grande spessore che cinque o sei modesti? Il solo Iaquinta rappresenterà un valore aggiunto alla rosa bianconera. Grygera, Brazzo Salihamidžić, Criscito, Tiago, Almirón, Molinaro, Nocerino si riveleranno ben poca cosa. Discorso diverso per il brasiliano Andrade: arrivato mezzo rotto, si infortuna alla quarta giornata, uscendo definitivamente di scena.
Questa grave assenza e l’inadeguatezza di Criscito, porta Ranieri a spostare Chiellini al centro della difesa, affiancandolo a un sempre più convincente Legrottaglie. Ci penseranno poi i “senatori” a fare il resto: Del Piero vince la classifica cannonieri con 21 reti, Trézéguet lo segue a ruota con 20, Nedved la solita “furia”, Buffon sempre più sicuro e Camoranesi segna due reti all’Inter, una nel pareggio di Torino e una nella vittoria di San Siro.
Il secondo fattore, non meno importante, che determinerà la stagione, saranno le molteplici “sviste” arbitrali, alcune clamorose. Ricordiamo Bergonzi a Napoli, quando concede ai partenopei due rigori inesistenti. O Dondarini a Reggio Calabria, capace di negare un rigore netto alla Juventus e “regalarne” uno ai calabresi. Oppure il gol misteriosamente annullato a Iaquinta a Parma, rete decisiva per la vittoria bianconera. Insomma, una specie di “sudditanza psicologica” già notata nel recente campionato di serie B.
Ma tant’è, ci si qualifica per la Coppa dei Campioni, e c’è la convinzione che con qualche giusto acquisto si possa spezzare l’egemonia dell’Inter.
E gli arrivi sono di spessore: il roccioso difensore svedese Mellberg e, soprattutto, Amauri, autore di una grande stagione a Palermo. Rientrano alla base Giovinco, De Ceglie e Marchisio. Approda a Torino anche Christian Poulsen, famoso per i suoi litigi con Gattuso e per lo sputo ricevuto da Totti. E proprio il danese è il primo punto di rottura fra Ranieri e la società e i tifosi. Infatti, l’obiettivo primario era lo spagnolo Xabi Alonso che avrebbe fatto fare un enorme salto di qualità al centrocampo bianconero. Ma il tecnico romano è irremovibile: Xabi non serve, troppo lezioso, molto meglio le randellate del danese.
I primi mesi sembrano dar ragione a Ranieri. La squadra gioca bene, soprattutto in Europa. Clamorose le due vittorie contro il Real con Del Piero protagonista assoluto: un gol meraviglioso all’Olimpico e una doppietta da favola al Bérnabeu, con tanto di standing ovation del pubblico delle Merengues e relativo inchino di ringraziamento di Ale.
L’avventura in coppa si conclude agli ottavi contro il Chelsea: sconfitta 0-1 a Stamford Bridge e pareggio 2-2 a Torino. La Juve, in pratica, si spegne con questa eliminazione. Ben sette partite senza vittorie la portano a un passo dal non qualificarsi per l’Europa. Cosicché la società corre ai ripari e, a due giornate dalla fine, Ranieri viene esonerato e sostituito da Ciro Ferrara.
Ciro vince le due seguenti partite e Pavel Nedved appende la sua mitica maglietta numero 11 al chiodo. Claudio Ranieri lascia a Torino un buon ricordo e conquisterà altrove meritati successi.


Nessun commento: