lunedì 17 agosto 2020

Salvador CALVANESE

 

SALVATORE LO PRESTI, DAL SUO LIBRO “TANGO BIANCONERO”
Salvador Calvanese è stato solo una meteora nella galassia juventina. Arrivato in prestito dal Catania, dove aveva disputato due ottime stagioni (segnando 13 gol in 57 partite), in modo da poterne valutare le qualità in vista di un possibile ingaggio. L’obbiettivo era quello di sostituire l’indisponibile Charles. Calvanese venne utilizzato in quattro delle sei partite giocate nell’ambito della fase eliminatoria della Mitropa Cup, cui la Juventus si era iscritta per far fare un po’ di esperienza internazionale ai suoi giovani giocatori. Con la Juve c’erano anche Atalanta, Fiorentina e Bologna.
La Juventus venne inserita in un girone con Dinamo Zagabria, i cecoslovacchi dello Spartak Hradec Králové e gli ungheresi del Ferencváros. Vincendo una volta con ciascuna delle tre avversarie e pareggiando la seconda partita con gli ungheresi la Juventus si piazzò al terzo posto e venne eliminata. La qualificazione fu appannaggio dei croati (allora più genericamente jugoslavi). Calvanese si fece apprezzare per dinamismo e volontà ma in un paio di occasioni, anche per via di terreni poco adatti alle sue qualità tecniche, non riuscì a fornire una prova adeguata del proprio valore. Sicché il prestito non ebbe seguito e venne restituito al Catania.
Nato Buenos Aires il 17 agosto 1934, Calvanese era cresciuto nel Ferrocarril Oeste con la cui maglia disputò quattro campionati (59 partite e 17 gol) prima di passare al C.A. Atlanta (41 partite e 18 gol in due campionati e con cui vinse la Copa Suecia di cui fu capocannoniere con 6 gol). Dall’Atlanta lo acquistò il Genoa: i proventi della sua cessione contribuirono a finanziare la costruzione del nuovo stadio Leon Kolbowski. All’ombra della Lanterna, tuttavia, Calvanese stentò a farsi largo (per tesserarlo era stato necessario cedere Leopardi, un idolo dei tifosi), e passò quindi nel 1960 al Catania. In maglia rossoazzurra in due stagioni disputò 57 partite andando a segno 13 volte. La sua seconda stagione catanese gli valse le attenzioni della Juve che, tuttavia, si risolsero nell’infruttuoso prestito per la disputa della Mitropa Cup in maglia bianconera.
Tornato al Catania, dopo un inizio in sordina a novembre fu ingaggiato dall’Atalanta. Anche a Bergamo si mise in evidenza come centravanti di manovra che segnava pochi gol ma si dimostrò un preziosissimo trampolino di lancio per Dino Da Costa e Angelo Domenghini. E contribuì alla conquista della Coppa Italia del 1963. Tornato nel 1964 al Catania, visse il triennio migliore della sua carriera italiana (63 partite e 9 gol in rossoazzurro), prima di appendere le scarpe al chiodo e iniziare la carriera di allenatore nelle giovanili del Catania. Il suo idillio con il presidente Massimino si ruppe quando questi gli chiese di allenare la prima squadra pur non avendo il patentino. Lo fece dietro le quinte per un mesetto ma poi cambiò aria, allenò per un breve periodo il Siracusa prima di rientrare in patria.
Totò (così lo battezzarono a Catania) Calvanese acquisì un momento di grande notorietà quando il 4 giugno 1961, al 70’ di un’infuocata Catania-Inter (2-0), segnò, dopo aver resistito a una carica di Facchetti, il secondo gol del Catania consegnando praticamente, e contro ogni pronostico, lo scudetto alla Juventus. Fu l’occasione in cui Sandro Ciotti gridò al microfono quel “Clamoroso al Cibali” diventato negli anni un’icona del linguaggio giornalistico-sportivo. Sulla paternità di Ciotti circolano parecchi dubbi: qualche altro collega ne rivendica la primogenitura. Nessuno è mai riuscito a fornire la prova: le registrazioni non esistono più. E non è neanche fondamentale a questo punto. Sandro Ciotti certamente ha dato a quella coloritissima immagine la grande notorietà.
L’italo-argentino Calvanese non sarà il solo giocatore che passerà per la Juventus giocando in coppa senza mai essere utilizzato in campionato. Capiterà allo svedese Roger Magnusson che nel 1967/68 giocò in bianconero 6 partite di Coppa dei Campioni (segnando 2 gol) senza mai esordire in Serie A. Non per suo demerito ma per la chiusura agli stranieri che la Federcalcio aveva decretato da un paio d’anni mentre l’UEFA non era altrettanto intransigente.

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