«A tutti i tifosi juventini, premesso che si tratti per me di una cosa assolutamente inusuale scrivere sui social (di cui sono sprovvisto, questo è di mia moglie) e, infatti, è la prima volta che lo faccio, penso che in questa occasione sia assolutamente necessario esprimere da parte mia un ringraziamento particolare a tutto il popolo bianconero che in questi anni mi ha dimostrato costantemente il suo affetto.
So assolutamente che un semplice grazie non può bastare a spiegare la mia gratitudine verso tutto l’ambiente juventino: questi sono giorni in cui provo sentimenti contrastanti, da una parte sono carico a mille per la nuova avventura che mi attende, dall’altra provo un grande nodo alla gola per quello che sto lasciando e che con questa lettera voglio ringraziare.
GRAZIE innanzitutto a tutti i miei compagni che ho avuto in questi cinque anni, ognuno di voi mi ha dato e lasciato qualcosa di speciale e importante, difficilmente avrò la fortuna di trovare un altro gruppo così unito e solido in ogni occasione, per me è stato un onore immenso giocare con tutti voi e vi ringrazio di avermi fatto sentire importante e apprezzato all’interno del gruppo.
GRAZIE agli staff tecnici di mister Conte e mister Allegri dai quali ho potuto imparare cose nuove e vincenti. GRAZIE ad ogni persona che ha lavorato a contatto con noi (Matteo Fabris, dottori, fisioterapisti, magazzinieri, marketing) e chi lavora costantemente “dietro le quinte” e a “fari spenti” dando il suo fondamentale contributo ai successi recenti.
GRAZIE alla società (presidente, direttori Marotta e Paratici, Pavel Nedved) migliore che possa esserci, il cui obiettivo è sempre quello di migliorare e grazie a questo spirito è riuscita a essere avanti anni luce rispetto a tutti in Italia e lo diventerà anche a livello europeo e che mi ha dato la possibilità di confrontarmi a un livello altissimo come la Champions. GRAZIE alla bellissima città di Torino, dove sono nati i miei amati figli e che rappresenterà sempre per la nostra famiglia lo scenario di ricordi meravigliosi.
E GRAZIE a tutti i tifosi che in questi anni ci hanno fatto sentire il loro appoggio e personalmente mi hanno apprezzato nonostante le mie qualità mediocri per il livello Juventus ma che hanno capito che in ogni occasione ho cercato di onorare la maglia dando tutto me stesso: i vostri complimenti mi fanno provare sinceramente un po’ di vergogna, perché penso di non meritarmeli e per questo vi sarò eternamente grato. Me ne vado via felice e con profonda soddisfazione e fierezza pensando di aver dato anche solo un briciolo di contributo a tutti i trionfi che abbiamo avuto la fortuna di avere in questi ultimi cinque anni.
In poche parole GRAZIE JUVE!!!! Vi saluto tutti con grande affetto, facendovi un grande in bocca al lupo per il futuro. Simone Padoin».
CATERINA BAFFONI, TUTTOJUVE.COM DEL 20 GIUGNO 2016
Si dividono dopo quattro anni e mezzo le strade tra Simone Padoin e la Juventus. A 32 anni, dopo aver vinto tantissimo in maglia juventina, il centrocampista e difensore friulano ritrova il compagno Marco Storari, ex bianconero, e soprattutto avrà molto più spazio per giocare di quanto ne abbia avuto con la Signora. Idolatrato e sempre incitato dai tifosi bianconeri, il Pado ha voluto salutare tutti i tifosi e la società con una lunga lettera a tratti toccante. Il numero 20 bianconero è stato più che un giocatore, era diventato un totem: amato dai tifosi e trasformato in amuleto dopo aver vinto 5 scudetti di fila. Ora, per Simone, arriverà finalmente l’opportunità di essere titolare in campo e soprattutto con un ruolo da protagonista.
Dopo aver assaggiato tanta panchina nell’ultima stagione, con appena 589 minuti collezionati in 14 presenze, il centrocampista bianconero ha accettato la proposta del neopromosso Cagliari e a 32 anni riparte lasciando un po’ orfana tutta la Juve, perché un gregario così, sempre pronto e disponibile al momento giusto e al posto giusto, non si trova tutti i giorni e ora anche mister Allegri dovrà fare la storia, una nuova storia. Conquistare il 6° scudetto bianconero senza poter contare sull’uomo talismano che da quando è arrivato a Torino, gennaio 2012 su forte richiesta di Conte, non ha smesso di vincere. Non solo i 5 campionati di fila, come Buffon, Barzagli, Bonucci, Cáceres e Marchisio, ma anche le 2 Coppa Italia e le 3 Supercoppa italiane. Senza dimenticare la finale di Champions a Berlino, dove i tifosi bianconeri lo osannavano con il coro: «Che ce frega di Leo Messi, noi abbiamo Padoin». Indimenticabile.
Esempio per tutti in questi anni e professionista esemplare, capace di dare sempre un contributo affidabile grazie all’uomo (che viene sempre prima del giocatore, soprattutto alla Juve) abile a fare gruppo. Ruolo secondario, uomo silenzioso ma presente, ha parlato poco e conquistato tutto e tutti, diventando un pupillo dello spogliatoio e un jolly per gli allenatori. A livello di professionalità e serietà, per diventare un amuleto, per diventare un “Padoin” alla Juve ci vuole tempo e non è da tutti.
ANTONIO CORSA, JUVENTIBUS.COM DEL 20 GIUGNO 2016
Iniziamo da un ripasso veloce, per amor di cronaca. È arrivato a Torino l’ultimo giorno utile per il mercato “di riparazione” del gennaio del 2011, come ricorderete. Era il primo anno di Conte e la Juve lottava e faticava contro il Milan di Allegri, Ibrahimović e Thiago Silva. Fino al suo arrivo. Conte lo conosceva già, avendolo allenato all’Atalanta. Non si oppose. Eppure: non convocato col Siena, non convocato col Milan, non convocato col Napoli, non convocato col Palermo, non convocato con la Lazio, non convocato con la Roma, non convocato col Cagliari. Alla fine giocò 4 partite da titolare e segnò pure un goal, indimenticabile: il 5-0 alla Fiorentina, quello dell’umiliazione. Finimmo col vincere quel campionato, Padoin “bastò” e venne pure riconfermato, anno dopo anno, anno dopo anno.
Il secondo giocò 10 volte da titolare (comprese due in Champions). Il terzo ancora 10 partite da titolare (una di Champions). Il quarto, permettetemelo, è stato un anno straordinario per davvero. 18 partite da titolare (inclusa una in Champions League), ma soprattutto la svolta tattica giocando terzino. Sinistro, per giunta. Giocò tanto, tantissimo, bene. Così bene che iniziarono per lui le prime pagine “vere”, quelle di ammirazione, quelle che «Vuoi vedere che oltre alla simpatia e alle battute questo è pure un giocatore?».
Dalla parte sua, a sinistra, non passava nessuno. Le cavalcate alla Alex Sandro non le faceva, non vi voglio vendere fumo, ma almeno non si faceva uccellare, faceva le diagonali, teneva l’uomo, trasmetteva sicurezza. Un’alternativa tattica trovata per terra, ma utilissima e a tratti salva-stagione. In campionato, fu il 14° giocatore più utilizzato da Allegri. Nella stagione forse migliore di sempre. Caro Simone (e magari qualcuno che lo conosca gli faccia pervenire queste parole) hai dimostrato con i fatti di poterci stare in un roster della Juventus, altroché.
Ma un tributo, dicevo, deve venire dal cuore. E dal cuore vi dico che Padoin è stato bello e divertente, una favola nella favola, fino al 30 agosto dello scorso anno. Dopo quel maledetto Roma-Juventus nel quale Allegri lo immolò da regista, stop, fine del padoinismo: una brutta partita (con mille attenuanti) ha distrutto tutto. Il Pado è stato zitto, non si è mai lamentato, non ha mai sbagliato una parola (neanche dopo l’esclusione dalla lista Champions), il giorno dopo Roma era di nuovo al suo posto, pronto ad allenarsi più degli altri. Primo ad arrivare e ultimo ad andarsene, e non è un modo di dire abusato nei tributi: nel suo caso è pure vero. Testa bassa e pedalare, senza mai sentire nulla, né gli elogi, né i mugugni. Ho visto presunti “fenomeni” crollare psicologicamente in situazioni analoghe. Mezzi uomini. Non lui. Lui è quello che, dopo essere scomparso dai radar perché non più “alla moda” come un tempo, il 17 aprile fece un gran goal contro il Palermo, ricevendo l’abbraccio di tutti i compagni di squadra.
Simone è stato un grande e da grande ha lasciato così, con l’ovazione dello Stadium e con delle parole di puro amore e riconoscenza affidate all’account Instagram della moglie, riunendo tutti, nuovamente, in un unico lungo applauso. Ha chiuso da vincente professionalmente e umanamente e mi mancherà. Andrà al Cagliari, leggo. In fondo ne sono felice. Tornerà a giocare, con una nuova sfida davanti. Anch’io, che nutro la massima stima per lui, sono abbastanza onesto intellettualmente da non ritenerlo all’altezza di una lista ristretta nella Juve. E allora che vada a riprovare l’emozione di partire titolare, di tirare da fuori, di inserirsi senza palla, di sentirsi uno dei leader della squadra. Faccia vedere a ‘sti ragazzini sardi che lui, prima di andare a fare l’umile soldatino alla Juve, era un bel giocatore, anche di qualità. Torni a far parlare di sé come calciatore.
Ciao Simone. Forza Simone. Alla tua.
ENRICO ZAMBRUNO, “HJ MAGAZINE” DEL GENNAIO 2014
Parte dal basso il volo di Simone Padoin, comincia nella provincia. Umiltà, sacrifici, sudore e lavoro. La ricetta è sempre e solo questa. Ma c’è un segreto. Perché Simone non è da solo, perché le cose più belle sono quelle condivise. E qui scende in campo Valentina, più importante di qualsiasi allenatore, perché lei è l’anima gemella. Il loro è un cammino lungo, che ha radici profonde. E così mentre Simone arriva alla corte della Juventus, raggiungendo l’apice della carriera, Valentina corona il suo obiettivo. Aprire un luogo tutto suo, nell’amata moda, lavorandoci con passione giorno e notte.
Ma partiamo da più lontano. Valentina e Simone si fidanzano nel 2002, a Bergamo, città che per lui è ormai diventata una seconda casa. Gioca nelle giovanili dell’Atalanta, il club che più ha creduto sulle sue capacità, prelevandolo a soli 14 anni dal Donatello di Udine. «Eravamo ragazzini, è passato tanto tempo – racconta Valentina – fu un colpo di fulmine immediato, Simone era ed è ancora oggi l’umiltà e la semplicità in persona. Alla Juventus non ci arrivi per caso, ma attraverso tanto lavoro. Me lo ricordo bene il giorno decisivo per il suo passaggio a Torino. Simone mi guardò negli occhi e mi disse della Juve, che c’era questa possibilità. Che grande gioia provai in quel momento per lui. Era un sogno, gli dissi di non pensarci neanche un attimo».
Da un sogno all’altro. Febbraio 2013, nasce a Seriate (a una manciata di chilometri da Bergamo) il Simone Padoin Atelier. «Una boutique di alta moda con sartoria interna alla quale mi sto dedicando tantissimo – aggiunge Valentina – io e Simone abbiamo deciso di metterci in gioco, nonostante il periodo difficile in Italia per attività del genere. La sentiamo come una cosa nostra, creata da zero, che seguiamo passo dopo passo».
E qui arriva Simone. Con i tempi giusti – perché la sua carriera da calciatore è ancora lunga – già pensa a quello che sarà una volta appese le scarpe al chiodo. «Fra 10 anni non mi immagino ancora nel calcio. Questo è un mondo che ti svuota a livello di energie mentali. Non mi vedo a fare l’allenatore, dirigente o osservatore. Al massimo mi piacerebbe aprire una scuola calcio e gestire un Centro Sportivo. Io mi vedo a Bergamo, a fare un lavoro a contatto con la mia famiglia, portare avanti le attività che deciderò di mettere su. Sicuramente vorrò aiutare mia moglie in negozio. Lei è l’imprenditore di famiglia, mi piace l’idea di starle accanto e dare il mio contributo».
Otto anni di fidanzamento, poi il matrimonio nel 2010. «La portai un week-end sul lago di Garda, poi la sera della richiesta ufficiale andammo nella parte alta della città, dove si domina tutta Bergamo, e le diedi l’anello. Ci siamo sposati a San Paolo d’Argon, vicino a Bergamo, il suo paese natale».
L’amore per il calcio nasce invece a Gemona del Friuli. «Quando ero piccolo andavo al campo in bicicletta, indossando già con le scarpe con i tacchetti. Partivo dal negozio di articoli per la scuola di mia mamma e volavo là felice. Ho ancora in testa tutte le prediche di mia madre quando rientravo a casa con i vestiti sporchi».
Inizia a giocare nella Gemonese, poi a 11 anni c’è il passaggio al Donatello di Udine, la squadra che raccoglieva i migliori giovani della zona. La svolta arriva a 14 anni, perché alla porta di casa Padoin bussa l’Atalanta. «Ai tempi feci anche dei provini con Milan e Inter, ma alla fine non se ne fece nulla. Andare a Bergamo è stato fondamentale, anche se non è stato facile lasciare casa così presto».
Simone esce dal Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci di Bergamo con 98/100. Da piccolo adorava sciare («per due anni consecutivi ho portato a casa due secondi posti in discesa libera ai Campionati Regionali»), mentre oggi segue il tennis, con Rafa Nadal in cima alla lista delle preferenze. Ha un cane di nome Toby, in ritiro è in camera sempre con Andrea Barzagli e il miglior amico che ha nel mondo del calcio è Daniele Capelli, oggi a Cesena. Divora i libri di Giorgio Faletti, ammira il cestista LeBron James, in TV non si perde neanche per sbaglio una puntata di “X Factor” e un giorno vorrebbe andare da Papa Francesco proprio come ha fatto Carlos Tevez.
Il legame tra Padoin e la Juventus sboccia tutto nel cerchio di poche, decisive ore. «Era fine gennaio 2012. Mi chiamò il mio procuratore e mi disse dell’interesse della Juve. Dovevo dare una risposta immediata: o sì, o no. Con Valentina ci sedemmo sul divano, io diventai bianco in faccia. Questi sono treni che passano una volta nella vita. Fui convinto anche dall’aver visto la Juve, da avversario a Bergamo, qualche settimana prima. Perdemmo 2-0 e mi fece un’impressione pazzesca. Lì capii lo spirito straordinario di questo gruppo, che ho ritrovato qui».
Arriva a Torino, prende posto nello spogliatoio a Vinovo, vince lo scudetto, vince la Supercoppa Italiana e concede il bis tra maggio e agosto scorso. Una favola. Costruita con passione. Costruita con il sudore. Sempre con Valentina accanto.
Si dividono dopo quattro anni e mezzo le strade tra Simone Padoin e la Juventus. A 32 anni, dopo aver vinto tantissimo in maglia juventina, il centrocampista e difensore friulano ritrova il compagno Marco Storari, ex bianconero, e soprattutto avrà molto più spazio per giocare di quanto ne abbia avuto con la Signora. Idolatrato e sempre incitato dai tifosi bianconeri, il Pado ha voluto salutare tutti i tifosi e la società con una lunga lettera a tratti toccante. Il numero 20 bianconero è stato più che un giocatore, era diventato un totem: amato dai tifosi e trasformato in amuleto dopo aver vinto 5 scudetti di fila. Ora, per Simone, arriverà finalmente l’opportunità di essere titolare in campo e soprattutto con un ruolo da protagonista.
Dopo aver assaggiato tanta panchina nell’ultima stagione, con appena 589 minuti collezionati in 14 presenze, il centrocampista bianconero ha accettato la proposta del neopromosso Cagliari e a 32 anni riparte lasciando un po’ orfana tutta la Juve, perché un gregario così, sempre pronto e disponibile al momento giusto e al posto giusto, non si trova tutti i giorni e ora anche mister Allegri dovrà fare la storia, una nuova storia. Conquistare il 6° scudetto bianconero senza poter contare sull’uomo talismano che da quando è arrivato a Torino, gennaio 2012 su forte richiesta di Conte, non ha smesso di vincere. Non solo i 5 campionati di fila, come Buffon, Barzagli, Bonucci, Cáceres e Marchisio, ma anche le 2 Coppa Italia e le 3 Supercoppa italiane. Senza dimenticare la finale di Champions a Berlino, dove i tifosi bianconeri lo osannavano con il coro: «Che ce frega di Leo Messi, noi abbiamo Padoin». Indimenticabile.
Esempio per tutti in questi anni e professionista esemplare, capace di dare sempre un contributo affidabile grazie all’uomo (che viene sempre prima del giocatore, soprattutto alla Juve) abile a fare gruppo. Ruolo secondario, uomo silenzioso ma presente, ha parlato poco e conquistato tutto e tutti, diventando un pupillo dello spogliatoio e un jolly per gli allenatori. A livello di professionalità e serietà, per diventare un amuleto, per diventare un “Padoin” alla Juve ci vuole tempo e non è da tutti.
ANTONIO CORSA, JUVENTIBUS.COM DEL 20 GIUGNO 2016
Iniziamo da un ripasso veloce, per amor di cronaca. È arrivato a Torino l’ultimo giorno utile per il mercato “di riparazione” del gennaio del 2011, come ricorderete. Era il primo anno di Conte e la Juve lottava e faticava contro il Milan di Allegri, Ibrahimović e Thiago Silva. Fino al suo arrivo. Conte lo conosceva già, avendolo allenato all’Atalanta. Non si oppose. Eppure: non convocato col Siena, non convocato col Milan, non convocato col Napoli, non convocato col Palermo, non convocato con la Lazio, non convocato con la Roma, non convocato col Cagliari. Alla fine giocò 4 partite da titolare e segnò pure un goal, indimenticabile: il 5-0 alla Fiorentina, quello dell’umiliazione. Finimmo col vincere quel campionato, Padoin “bastò” e venne pure riconfermato, anno dopo anno, anno dopo anno.
Il secondo giocò 10 volte da titolare (comprese due in Champions). Il terzo ancora 10 partite da titolare (una di Champions). Il quarto, permettetemelo, è stato un anno straordinario per davvero. 18 partite da titolare (inclusa una in Champions League), ma soprattutto la svolta tattica giocando terzino. Sinistro, per giunta. Giocò tanto, tantissimo, bene. Così bene che iniziarono per lui le prime pagine “vere”, quelle di ammirazione, quelle che «Vuoi vedere che oltre alla simpatia e alle battute questo è pure un giocatore?».
Dalla parte sua, a sinistra, non passava nessuno. Le cavalcate alla Alex Sandro non le faceva, non vi voglio vendere fumo, ma almeno non si faceva uccellare, faceva le diagonali, teneva l’uomo, trasmetteva sicurezza. Un’alternativa tattica trovata per terra, ma utilissima e a tratti salva-stagione. In campionato, fu il 14° giocatore più utilizzato da Allegri. Nella stagione forse migliore di sempre. Caro Simone (e magari qualcuno che lo conosca gli faccia pervenire queste parole) hai dimostrato con i fatti di poterci stare in un roster della Juventus, altroché.
Ma un tributo, dicevo, deve venire dal cuore. E dal cuore vi dico che Padoin è stato bello e divertente, una favola nella favola, fino al 30 agosto dello scorso anno. Dopo quel maledetto Roma-Juventus nel quale Allegri lo immolò da regista, stop, fine del padoinismo: una brutta partita (con mille attenuanti) ha distrutto tutto. Il Pado è stato zitto, non si è mai lamentato, non ha mai sbagliato una parola (neanche dopo l’esclusione dalla lista Champions), il giorno dopo Roma era di nuovo al suo posto, pronto ad allenarsi più degli altri. Primo ad arrivare e ultimo ad andarsene, e non è un modo di dire abusato nei tributi: nel suo caso è pure vero. Testa bassa e pedalare, senza mai sentire nulla, né gli elogi, né i mugugni. Ho visto presunti “fenomeni” crollare psicologicamente in situazioni analoghe. Mezzi uomini. Non lui. Lui è quello che, dopo essere scomparso dai radar perché non più “alla moda” come un tempo, il 17 aprile fece un gran goal contro il Palermo, ricevendo l’abbraccio di tutti i compagni di squadra.
Simone è stato un grande e da grande ha lasciato così, con l’ovazione dello Stadium e con delle parole di puro amore e riconoscenza affidate all’account Instagram della moglie, riunendo tutti, nuovamente, in un unico lungo applauso. Ha chiuso da vincente professionalmente e umanamente e mi mancherà. Andrà al Cagliari, leggo. In fondo ne sono felice. Tornerà a giocare, con una nuova sfida davanti. Anch’io, che nutro la massima stima per lui, sono abbastanza onesto intellettualmente da non ritenerlo all’altezza di una lista ristretta nella Juve. E allora che vada a riprovare l’emozione di partire titolare, di tirare da fuori, di inserirsi senza palla, di sentirsi uno dei leader della squadra. Faccia vedere a ‘sti ragazzini sardi che lui, prima di andare a fare l’umile soldatino alla Juve, era un bel giocatore, anche di qualità. Torni a far parlare di sé come calciatore.
Ciao Simone. Forza Simone. Alla tua.
ENRICO ZAMBRUNO, “HJ MAGAZINE” DEL GENNAIO 2014
Parte dal basso il volo di Simone Padoin, comincia nella provincia. Umiltà, sacrifici, sudore e lavoro. La ricetta è sempre e solo questa. Ma c’è un segreto. Perché Simone non è da solo, perché le cose più belle sono quelle condivise. E qui scende in campo Valentina, più importante di qualsiasi allenatore, perché lei è l’anima gemella. Il loro è un cammino lungo, che ha radici profonde. E così mentre Simone arriva alla corte della Juventus, raggiungendo l’apice della carriera, Valentina corona il suo obiettivo. Aprire un luogo tutto suo, nell’amata moda, lavorandoci con passione giorno e notte.
Ma partiamo da più lontano. Valentina e Simone si fidanzano nel 2002, a Bergamo, città che per lui è ormai diventata una seconda casa. Gioca nelle giovanili dell’Atalanta, il club che più ha creduto sulle sue capacità, prelevandolo a soli 14 anni dal Donatello di Udine. «Eravamo ragazzini, è passato tanto tempo – racconta Valentina – fu un colpo di fulmine immediato, Simone era ed è ancora oggi l’umiltà e la semplicità in persona. Alla Juventus non ci arrivi per caso, ma attraverso tanto lavoro. Me lo ricordo bene il giorno decisivo per il suo passaggio a Torino. Simone mi guardò negli occhi e mi disse della Juve, che c’era questa possibilità. Che grande gioia provai in quel momento per lui. Era un sogno, gli dissi di non pensarci neanche un attimo».
Da un sogno all’altro. Febbraio 2013, nasce a Seriate (a una manciata di chilometri da Bergamo) il Simone Padoin Atelier. «Una boutique di alta moda con sartoria interna alla quale mi sto dedicando tantissimo – aggiunge Valentina – io e Simone abbiamo deciso di metterci in gioco, nonostante il periodo difficile in Italia per attività del genere. La sentiamo come una cosa nostra, creata da zero, che seguiamo passo dopo passo».
E qui arriva Simone. Con i tempi giusti – perché la sua carriera da calciatore è ancora lunga – già pensa a quello che sarà una volta appese le scarpe al chiodo. «Fra 10 anni non mi immagino ancora nel calcio. Questo è un mondo che ti svuota a livello di energie mentali. Non mi vedo a fare l’allenatore, dirigente o osservatore. Al massimo mi piacerebbe aprire una scuola calcio e gestire un Centro Sportivo. Io mi vedo a Bergamo, a fare un lavoro a contatto con la mia famiglia, portare avanti le attività che deciderò di mettere su. Sicuramente vorrò aiutare mia moglie in negozio. Lei è l’imprenditore di famiglia, mi piace l’idea di starle accanto e dare il mio contributo».
Otto anni di fidanzamento, poi il matrimonio nel 2010. «La portai un week-end sul lago di Garda, poi la sera della richiesta ufficiale andammo nella parte alta della città, dove si domina tutta Bergamo, e le diedi l’anello. Ci siamo sposati a San Paolo d’Argon, vicino a Bergamo, il suo paese natale».
L’amore per il calcio nasce invece a Gemona del Friuli. «Quando ero piccolo andavo al campo in bicicletta, indossando già con le scarpe con i tacchetti. Partivo dal negozio di articoli per la scuola di mia mamma e volavo là felice. Ho ancora in testa tutte le prediche di mia madre quando rientravo a casa con i vestiti sporchi».
Inizia a giocare nella Gemonese, poi a 11 anni c’è il passaggio al Donatello di Udine, la squadra che raccoglieva i migliori giovani della zona. La svolta arriva a 14 anni, perché alla porta di casa Padoin bussa l’Atalanta. «Ai tempi feci anche dei provini con Milan e Inter, ma alla fine non se ne fece nulla. Andare a Bergamo è stato fondamentale, anche se non è stato facile lasciare casa così presto».
Simone esce dal Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci di Bergamo con 98/100. Da piccolo adorava sciare («per due anni consecutivi ho portato a casa due secondi posti in discesa libera ai Campionati Regionali»), mentre oggi segue il tennis, con Rafa Nadal in cima alla lista delle preferenze. Ha un cane di nome Toby, in ritiro è in camera sempre con Andrea Barzagli e il miglior amico che ha nel mondo del calcio è Daniele Capelli, oggi a Cesena. Divora i libri di Giorgio Faletti, ammira il cestista LeBron James, in TV non si perde neanche per sbaglio una puntata di “X Factor” e un giorno vorrebbe andare da Papa Francesco proprio come ha fatto Carlos Tevez.
Il legame tra Padoin e la Juventus sboccia tutto nel cerchio di poche, decisive ore. «Era fine gennaio 2012. Mi chiamò il mio procuratore e mi disse dell’interesse della Juve. Dovevo dare una risposta immediata: o sì, o no. Con Valentina ci sedemmo sul divano, io diventai bianco in faccia. Questi sono treni che passano una volta nella vita. Fui convinto anche dall’aver visto la Juve, da avversario a Bergamo, qualche settimana prima. Perdemmo 2-0 e mi fece un’impressione pazzesca. Lì capii lo spirito straordinario di questo gruppo, che ho ritrovato qui».
Arriva a Torino, prende posto nello spogliatoio a Vinovo, vince lo scudetto, vince la Supercoppa Italiana e concede il bis tra maggio e agosto scorso. Una favola. Costruita con passione. Costruita con il sudore. Sempre con Valentina accanto.
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