sabato 4 giugno 2016

Emiliano MORETTI


Il girotondo di Moretti è quello in campo – scrive Matteo Marani sul “Guerin Sportivo” del 17-23 settembre 2002 –: dalla Fiorentina alla Juve, dal centro della difesa al ruolo di laterale dove l’ha rimesso Lippi. Aspettando Pessotto. L’estate bianconera ha promosso un nuovo protagonista e il campionato lo conferma. «Mi sono calato bene nella realtà bianconera, ma è faticoso stare dietro a tanti campioni» dice con la finta e appagante stanchezza del neofita.
A 21 anni si ritrova con tante cose alle spalle: un passato nella Lodigiani, una fascia di capitano della Fiorentina Primavera, un paio di brutti infortuni, il debutto in A con Mancini e l’approdo nell’Under 21 di Gentile. Dall’alto dei suoi 185 centimetri usa tutta l’accortezza del caso: «Ho capito la Juventus quando sono arrivato qui e mi sono trovato ad allenarmi con tutti nazionali. Oggi li guardo, li osservo e cerco di imitarli nel comportamento. La cosa difficile del calcio non è fare uno stop preciso».
– Partiamo con un atto di sincerità: butti l’occhio ai risultati della Fiorentina?
«Sì, ci ho guardato. Sono partiti in ritardo con la preparazione, ma con il passare delle settimane le cose miglioreranno. Ho lasciato molti amici laggiù, non posso che tifare per loro».
– Scegli il destinatario di un messaggio e compila un saluto.
«Lo mando a Di Livio. Un uomo di cuore, la sua scelta di rimanere a Firenze non mi ha sorpreso. Pochi mesi fa era al Mondiale e ora sta in C2. Quando gli ho parlato al telefono, ho capito che Angelo ha ancora rabbia, cuore, voglia di lottare. E a Firenze vive benissimo».
– Cosa ti lascia l’ultimo anno viola?
«Penso che peggio non potesse andare, però i problemi non dovevano funzionare da alibi per la squadra. Mettiamola così: toccato il fondo si può soltanto iniziare a risalire».
– Prima di voltare pagina, vorrei chiederti se c’era modo di salvare la Fiorentina.
«Si poteva fare di più per salvarla. Sì. Non ritengo che fosse l’unica società in crisi, almeno così leggo sui giornali».
– Oltre dieci anni fa Baggio fece il tuo stesso tragitto ma faticò a integrarsi. Lo capisci?
«Firenze è più piccola, è una città a misura d’uomo. Ma seppure pare fredda, in realtà Tonno non lo è. C’è modo di ambientarsi molto bene. Ho preso casa in collina, zona Moncalieri».
– Con chi hai legato di più? Hai trovato un nuovo Palombo come ai tempi viola?
«Essendo tutti e tre nuovi, all’inizio ho stretto parecchio con Baiocco e Chimenti. Poi, professionalmente, ho fatto gruppo con Montero e Ferrara. In campo pensano più a me che a loro. Alla Juve si respira un’aria familiare. Mi ha colpito come l’efficienza si sposa con l’umanità. Quando sono venuto a firmare, il direttore (Luciano Moggi ndr) si è messo al tavolo e ha parlato con me come a un qualunque grande nome della rosa. È un gesto che mi ha colpito».
– Lo sai? Un tempo veniva etichettato come stile-Juve.
«Esiste un marchio di fabbrica. Lo ravvisavo in Di Livio e Torricelli, che erano passati di qui. Siccome ricevi tutto, con un’organizzazione che ti risolve ogni minimo problema, ti senti anche in dovere di dare tutto».
– E si vince.
«Con lo scudetto sulla maglia siamo la squadra da battere. A me fanno paura Milan e Inter, specie quest’ultima perché la vedo fenomenale in ogni reparto».
– Ancora un attimo per i pronostici. Prima raccontaci la Juve vista da dentro.
«Colpisce la presenza delle forti personalità, che riducono lo spazio per polemiche e fratture tipiche di altre piazze».
– Tutto bene fine al rientro di Pessotto, e poi?
«È il migliore nel ruolo, forse non abbastanza apprezzato per quanto valga. Uno che gioca nella Juve e in Nazionale è per forza il numero uno del gruppo, e poi lo dimostra pure il fatto che nessuno gli ha portato via il posto».
– L’elenco dei candidati è in effetti lungo: da Athirson a Paramatti, risalendo fino a Dimas e Jarni.
«Se la domanda è: hai paura? dico no, perché non sono qui per portare via il posto a nessuno e perché non ho mai fatto la mia corsa sugli altri».
– L’Italia non offre grandi alternative nel ruolo: ci sono Coco e poco più.
«Verissimo, meglio così. Battute a parte, la carenza di alternative si vede nel fatto che molti “destri” giocano a sinistra. Noi mancini siamo davvero pochi, per questo a parità di mezzi siamo favoriti sulla concorrenza».
– Apriamo una parentesi sull’Under 21. Il gruppo c’è?
«Trovo che si tratti di una buona squadra, il mister Gentile lo ripeteva nello spogliatoio dopo la vittoria sull’Azerbaigian».
– Abbiamo recuperato Cassano.
«Abbiamo recuperato lui e Brighi, presto ci sarà Bonera. E poi sono felice per l’esplosione di Borriello».
– A te piace più marcare o lanciarti sulla fascia?
«Io gioco in un ruolo preciso: dove c’è una maglia libera. Lippi mi sta impiegando più come cursore, che forse è il mio ruolo naturale. Ma non muoio per la posizione da tenere in campo».
– Il tecnico cosa ti ha chiesto? Intendo nei colloqui a tu per tu, lontano dalle telecamere e dai compagni.
«Mi ha parlato moltissimo durante il ritiro, il mister ha spinto perché mi togliessi di dosso la soggezione e il timore di stare nella Juve. Insomma, mi ha sciolto».
– Chi ti ha insegnato di più?
«Con Lippi ho la fortuna di lavorarci. L’altro è Mancini, dal punto di vista mentale mi ha insegnato a essere calciatore».
– Mandiamo un messaggio anche a lui?
«Un grande in bocca al lupo. Farà bene, ne sono convinto, e da ex simpatizzante della Lazio non posso che rallegrarmi della sua avventura. Mancini sa fare gruppo e questo vale più del 50 per cento del lavoro».
– Vogliamo dire a questo punto chi fosse il tuo idolo?
«Nesta, non lo nego, proprio per il fatto di avere una simpatia laziale. Oggi, standogli accanto, stimo molto Montero».
– Qual è stato il colpo migliore del mercato?
«Quello più affascinante è stato Rivaldo».
– Se ne è andato Ronaldo.
«Vero, ma l’Inter avrà un terzetto composto da Crespo, Vieri e Recoba. Lo ripeto: vedo l’Inter come principale minaccia per la Juve».
– Qual è l’attaccante con cui hai sofferto di più in marcatura?
«Ho avuto tante difficoltà con Montella. Lo soffro, forse perché ha intuizione, è rapidissimo con i piedi. Se non stai attento è capace di prenderti il tempo e batterti di testa, lui che alto non è».
– E il giocatore che ti ha colpito qui alla Juve?
«Del Piero, ma non solo per le capacità tecniche. Non è facile chiamarsi Del Piero, hai una pressione costante da parte di tifosi e stampa. E invece lui è equilibrato, attento, deve avere un grande equilibrio mentale per riuscire a stare ogni giorno in prima pagina».
– Fare il calciatore non è una sciocchezza, vuoi dire questo?
«È una vita bella, ma è anche una vita facile da buttare via».
– Hai cominciato a fare i conti con la popolarità?
«Riderai, ma mi sono reso conto di essere passato alla Juve dalle attenzioni ricevute in spiaggia. Quest’anno, come negli ultimi cinque, ho fatto le vacanze a Milano Marittima, un posto abitato da gente squisita come sono i romagnoli. Ebbene, ho firmato molti più autografi di prima, il marchio Juve fa effetto».
– Con chi festeggi oggi?
«A Torino mi ha seguito Alfredo, l’amico più caro che ho. Lui ha 44 anni, ci siamo conosciuti ai tempi della Lodigiani, quando Alfredo faceva il preparatore atletico e giurò che mi avrebbe accompagnato lungo la carriera. È un punto di riferimento importante, perché mi dà equilibrio e mi smorza nei momenti di eccessivo entusiasmo».
– A casa?
«Immagina tu la soddisfazione. Mio padre Luigi ha già detto che verrà a Newcastle per la trasferta di Champions, mia madre Maria mi continua a telefonare con le solite raccomandazioni. Frasi da mamma: non fare tardi, copriti bene, stai attento».
– Poi c’è la supertifosa.
«Mia sorella Romina, sono molto legato e protettivo con lei».
– Lasciamo stare lo scudetto, poniamo però che la tua stagione si dimostri buona. Quale premio chiederesti?
«C’è l’ho davvero un premio da chiedere. Visto che Juve e Ferrari sono così vicine, domanderei di conoscere Michael Schumacher. Impazzisco per lui e sarebbe un sogno stringergli la mano».
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Anche i migliori sbagliano, proprio così. E può capitare che pure il migliore dei migliori possa prendere una cantonata. Chissà, forse è una strategia per rendersi un pochino più umano e vulnerabile (ma solo nel tallone, come il prode Achille) o forse in certi giocatori, Luciano Moggi ci crede proprio. È il caso di Emiliano Moretti, arrivato a Torino nell’estate del 2002 e andatosene nel gennaio dopo, con appena una quindicina di presenze nel suo paniere.
Il bravo difensore romano, dopo aver girato mezza Italia (con pure una capatina a Valencia), troverà la sua collocazione ideale sull’altra sponda del Po, quella granata. Arriverà anche alla Nazionale, a 33 anni, stabilendo il record del giocatore più anziano a esordire in maglia azzurra.

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