sabato 4 agosto 2012

UN INGLESE A MOSCA

ALEC CORDOLINI, “GS “ MARZO 2010:
James Riordan è uno studente di Portsmouth, appassionato di calcio e comunismo. Negli anni Sessanta si iscrive alla scuola del Pcus e gioca nello nello Spartak. Oggi dedica un libro a quel ricordo. Ma in Russia mancano conferme.

I primi anni Sessanta a Mosca non erano sicuramente Swinging come quelli a Londra, ma la ventata di aria fresca si poteva percepire anche nella capitale dell’Unione Sovietica. Yuri Gagarin era volato nello spazio; la politica di destalinizzazione voluta da Nikita Krushev aveva portato alla rimozione del corpo del dittatore georgiano dal Mausoleo di Lenin per seppellirlo fuori dalle mura del Cremino; lo scrittore Aleksander Solgenitsin aveva pubblicato “Una giornata di Ivan Denisovic”, romanzo che denunciava gli orrori dei gulag; la musica jazz stava rapidamente diffondendosi nei ceti popolari.
Senza dimenticare che a livello politico il modello proposto dall’URSS appariva solido e compatto come non mai. Cuba e diversi stati africani avevano scelto il socialismo anziché il capitalismo, militarmente l’Urss gareggiava alla pari con gli USA e dal punto di vista economico la produzione di gas ed acciaio superava addirittura quella del nemico americano.
«Sembrava proprio che il comunismo stesse marciando verso un grande futuro»: con questo spirito sbarcava a Mosca nel 1963 un giovane studente inglese di Portsmouth, James Riordan, iscrittosi alla scuola superiore del Pcus, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
Riordan aveva due passioni nella vita: il comunismo ed il calcio. La prima era maturata durante il servizio militare, che Riordan aveva svolto a Berlino seguendo un corso di addestramento per spie. Proprio il costante contatto con studenti e soldati sovietici lo aveva spinto a passare dall’altra parte della barricata, ed una volta tornato in Inghilterra si era iscritto al partito comunista locale. I contatti acquisiti tra esercito, ambasciata e partito avevano infine reso possibile il proprio sogno: recarsi direttamente in URSS per studiare il socialismo in presa diretta.
A Mosca, Riordan lavora come traduttore, segue le lezioni di Leonid Brezhnev e della Pasionaria Dolores Ibarruri, beve vodka con Krushev, pranza con Lev Jashin e, nel tempo libero, gioca a calcio. Le partite le organizza l’ambasciata britannica secondo lo schema “Inghilterra ed Irlanda contro resto del Mondo”. A Riordan capita di trovarsi davanti l’ambasciatore del Kenya, che gioca scalzo, ma anche il difensore dello Spartak Mosca e dell’URSS Gennady Logofet. Proprio da lui arriva un invito molto particolare: «Vieni al nostro prossimo allenamento e porta le scarpe da calcio».
Inizia così l’avventura del primo inglese ad aver giocato nel campionato sovietico. Riordan era cresciuto nel mito della Dinamo Mosca, che nel 1945 aveva disputato una serie di incontri in Inghilterra riscuotendo numerosi consensi per l’elevata qualità del proprio calcio. Il piccolo James era uno dei bambini presenti sugli spalti quando i sovietici toccarono la costa meridionale d’Albione.
Poco meno di vent’anni dopo, eccolo esordire al centro della difesa dello Spartak Mosca di fronte a 60.000 persone che gremiscono il Lenin Stadium. Nikita Simonyan, il tecnico dello Spartak, lo aveva scelto per sostituire Valery Volkov, in condizioni pietose dopo l’ennesima sbronza.
L’avversario è il Pakhtakor Tashkent, l’incontro termina 2-2 e Riordan, annunciato dallo speaker con il nome di Yakov Eordahnov («Per evitare complicazioni», ricorda il diretto interessato), disputa una buona partita. «Iniziai all’inglese», scherza Riordan, «liberando l’area con un paio di campanili, e venni ripreso dal capitano Igor Netto. “Passala a un compagno” mi disse “non al pubblico”. A fine partita, stremato, ricevetti i complimenti della squadra».
Nell’1-0 rifilato al Kairat Alma Ata un paio di settimane dopo Riordan/Eordahnov è nuovamente in campo. Poi l’esperienza si conclude. Lo Spartak terminerà secondo in campionato alle spalle della Dinamo Mosca.
Nel 1965 Riordan, disilluso dal regime sovietico, rientra in Inghilterra. Era stato dichiarato persona non gradita in URSS dopo la pubblicazione sul “British Soviet Friendship Journal” di un articolo dal titolo “I crescenti dolori della gioventù sovietica”, ed anche in Inghilterra il partito comunista aveva stigmatizzato i suoi sofismi borghesi. L’ex studente di Portsmouth in realtà era rimasto profondamente colpito dall’esperienza con lo Spartak Mosca, e soprattutto dall’incontro con il suo fondatore Nikolai Starostin, l’uomo che assieme ai suoi tre fratelli fu deportato da Stalin in un campo di lavoro in Siberia, dove vi rimase dieci anni, con l’accusa di propagandare uno sport di ideali borghesi.
I fili della condanna farsa erano stati mossi da Lavrenty Beria, capo dei servizi di sicurezza sovietici, nonché presidente di quella Dinamo Mosca che nel 1938 aveva dovuto assistere impassibile alla doppietta campionato e coppa messa a segno dallo Spartak. Dall’anno successivo erano iniziati gli arresti, le esecuzioni e le deportazioni di numerosi membri della squadra.
«Il calcio veniva manipolato e controllato dal potere», ha scritto Riordan, «perché la sua capacità di aggregazione e la sua vitalità era temuta dai dittatori. Sono convinto che se non fosse stato un giocatore di fama nazionale, Starostin non sarebbe sopravvissuto né a Stalin né a Beria».
La carriera calcistica di Riordan è proseguita nella Dockyard League di Portsmouth, ottava divisione inglese. Ben più consistente è stata la sua attività di scrittore, con la pubblicazione di “Sport in Soviet Society”, il primo libro che ha raccontato in occidente la storia dei fratelli Starostin, e dell’autobiografia “Comrade Jim - The spy who played for Spartak”.
Qualche anno fa Riordan è tornato a Mosca come inviato della BBC per ripercorrere la sua storia, imbattendosi però in ciò che il diretto interessato ha chiamato “L’amnesia post URSS”. Nessuno, ad eccezione del vecchio compagno di squadra Galimzyan Khusainov, ha voluto incontrarlo e diverse persone hanno negato di conoscerlo.
«Cancellare il passato», ha commentato Riordan, «un atteggiamento tipicamente russo. Non nego di esserci rimasto molto male. Nemmeno i vecchi compagni alla scuola del Pcus hanno accettato di vedermi».
Oggi a Mosca non esiste alcuna traccia di Yakov Eordahnov: non c’è negli archivi dello Spartak, né in alcun giornale d’epoca. L’unica via percorribile è il mercatino delle pulci, cercando tra le collezioni di cartoncini che venivano inseriti nei pacchetti di sigarette. Alcuni di questi raffiguravano calciatori del campionato sovietico: «Niente televisione, niente figurine, uno dei pochi modi che i giocatori avevano per farsi conoscere era questo. Una volta mi fermò un tizio e mi chiese il permesso di prepararne alcuni dedicati al sottoscritto».
Alexey Smertin, acquistato nel 2003 dal Chelsea del neo presidente Roman Abramovich, ha confermato di aver ascoltato delle storie riguardanti un inglese nel campionato sovietico nei primi anni Sessanta. Si era anche accordato con Riordan per scrivere la prefazione di “Comrade Jim”, ma l’idea è stata bocciata dall’editore. Non sapeva chi fosse Smertin.
A Mosca, però, di questa storia non ci sono tracce. Nessuno si ricorda di Riordan e Khusainov, oggi settantaduenne, spesso non ci sta con la testa. Per gli annuari, quello Spartak-Pakhtakor finì 4-4.

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