Il freddo che riscalda. La frase fu coniata in occasione della Supercoppa vinta dalla Juventus nel gennaio del 1985 e disputata tra fiammate di tifo irripetibili per intensità emotive. È un’immagine che sintetizza l’assemblaggio tra l’efficienza operativa della società e l’amore dei tifosi. Nel gelo del Comunale la Juventus supera il Liverpool e conquista la terza coppa della sua storia, un trofeo molto importante, anche se non sempre pubblicizzato nella giusta misura dai mezzi di informazione.
Di fronte si trovano le vincitrici della Coppa dei Campioni e della Coppa delle Coppe. Il freddo che riscalda, è scritto in quella circostanza. Anche il calcio, dunque, è poesia. E questa suggestiva e paradossale strofa è suggerita da un insieme di circostanze e di manifestazioni d’affetto confluite nel capoluogo subalpino.
L’inverno è gelido, i torinesi sembrano trasferirsi in massa nella calotta polare. La città si nasconde sotto un manto bianco, le strade sono ghiacciate come piste di pattinaggio, la circolazione è caotica e lenta, le vetture ed i mezzi pubblici transitano con estrema difficoltà, la neve disegna sugli alberi e lungo i declivi della collina perfetti arabeschi, trasformandola in un suggestivo angolo di presepe.
Un numero inquantificabile di telex viene catapultato nell’etere, con impressionante frequenza, dal Liverpool e dalla Juventus. I due club si dibattono in mezzo a legittime divergenze organizzative, a causa di date infarcite di impegni ad ogni livello. E quando la data è stabilita, il maltempo stringe l’Europa in una morsa di gelo.
Poi, improvvisamente, la temperatura concede una tregua alla nostra Penisola e la neve torna a cadere con insistenza. Il giorno della vigilia, trenta centimetri ingombrano lo stadio Comunale, che ha l’aspetto spettrale di un monumento in pensione. Giampiero Boniperti entra in azione, si attacca al telefono ed impartisce ordini come un generale che osservi un’immensa carta geografica animata da un esercito di bandierine bianconere piantate dove sorgono città e paesi.
Giampiero mobilita Comune, Provincia e Regione. Questa partita s’ha da fare. La mistica del successo è più che mai la filosofia del presidente bianconero. Alza il naso verso il cielo, che è lattiginoso come una nuvola di bambagia, ma ha buoni presentimenti. Voli di colombi infreddoliti che cercano riparo sotto i tetti di casolari di campagna sono per il presidente auspici particolarmente propizi. Come accadeva nell’antica Roma. E Boniperti sembra un sacerdote che cerca di leggere il destino della Juventus in ogni particolare.
Mette in stato di all’erta una città intera, il ghiaccio viene rimosso dall’aeroporto di Caselle, il Liverpool, inizialmente contrario ad un viaggio nella tormenta, può atterrare con tranquillità. Il Comunale non cambia volto, ha l’aspetto di una steppa non frequentata dagli uomini, cumuli di neve vengono innalzati dal respiro ansimante e freddo del vento. Ma 300 spalatori entrano in azione ed, a poche ore dal match, sono ancora in pieno stato operativo. Poi, come una pagina ritagliata da un libro di fiabe, dentro il Comunale fiorisce un prato verde.
Boniperti e Giuliano vincono la loro battaglia, ad andare in guerra ci pensano i bianconeri. Che tentano il primo attacco al grande slam (quattro coppe) dopo aver conquistato la Coppa Uefa e quella delle Coppe. Il tempo è sempre inclemente, i teloni vengono tenuti per precauzione sopra l’erba fino a tre ore prima della finalissima.
La curva Filadelfia, frattanto, allestisce il suo show colorito. 300 torce e 1.500 fumogeni variopinti sono pronti ad incendiarsi nel cielo grigio e glaciale. Bandieroni e tamburi aspettano soltanto che l’arbitro Dieter Pauli fischi l’inizio della partita. L’Eurovisione diffonde le immagini di Juventus - Liverpool (oltre che in Italia e in Inghilterra) in Jugoslavia, Austria, DDR, Portogallo, Tunisia, Marocco, Olanda, Polonia e Svizzera.
La sfida è incertissima, due superpotenze sono di fronte. Il calcio italiano è stato rivalutato dalla conquista del titolo di Campione del Mondo in Spagna nel 1982, ma ha subito un’evidente flessione globale. L’Europa l’aspetta comunque al varco, anche se a livello di club. I britannici in testa.
Queste le formazioni annunciate alla vigilia: Bodini; Favero e Cabrini; Bonini, Brio e Scirea; Briaschi, Tardelli, Rossi, Platini e Boniek da una parte.
Grobbelaar; Neal e Kennedy; Lawrenson, Nicol ed Hansen; Walsh, Whelan, Rush, McDonald e Wark dall’altra.
Ian Rush è appetito da molte società italiane, la Juventus lo fa seguire da tempo, ma il gallese evita ogni domanda al riguardo, precisando che sarebbe felice di approdare nel nostro paese, senza specificare indirizzi.
Brio promette una grossa partita: «Rush, con me, non passerà».
La vigilia di un grosso avvenimento è piena di sogni per chi lo segue. Il sottoscritto (quanto è immaginifica la fantasia notturna dell’uomo!) mette insieme una serie di pensieri che, il giorno dopo, riassume così:
Decollai come un airone l’avversario era solo una nuvola di confuse velleità. Accarezzai l’aria con un volteggio e lo stacco sembrò un pensiero impossibile. La gente fermò il respiro, la traiettoria si fissò in un disegno indecifrabile e l’urlo della curva condannò il portiere. Rimasi solo con la gioia di compagni infesta. Lo stadio fece eco al mio giovane volo. Mia madre bussò alla porta, non so quante volte, e mi svegliai dal sonno.
Era soltanto una poesia costruita nel sonno, molto lontana dalla realtà che appartiene a protagonisti autentici, reali. L’amico e collega Piero Soria, caposervizio degli Spettacoli di “Stampa Sera”, tifosissimo della Juventus, nei giorni della suspense (si gioca o non si gioca?) concepisce l’idea di scrivere un brillantissimo thrilling, uscito in questi giorni con il titolo “Colpo di coda”.
Ma torniamo alla partita. Al Comunale confluiscono sostenitori juventini da ogni angolo d’Italia, arrivano in pullman ed in treno da Trapani e da Cosenza, da Bari e da Avellino. È un viaggio faticoso, date le condizioni climatiche. Però il ritorno è una festa. La Juventus vince, infatti, il terzo trofeo della sua storia. Davanti a 65.000 spettatori ed in mezzo ad uno sventolio di bandiere e in una scenografia dantesca, i bianconeri infilano per due volte la rete del portiere clown Grobbelaar.
Il protagonista è sempre lui, Boniek, il re di Coppe, che concretizza la fantasia della “Signora”, che riduce alla ragione una squadra forse più esperta in campo internazionale, molto forte e solida ma alquanto monotona negli schemi. Le occasioni più prelibate capitano fra i piedi dei bianconeri, i quali sbagliano con Rossi e Briaschi ma non con Boniek.
Al 40’ si registra il primo goal del polacco. Il Liverpool tenta la carta Gillespie al posto di Lawrenson, ma è un appello vano. Il pareggio potrebbe essere nel destro di Whelan, però Bodini rimedia ad un errore precedente parando con intuito ed agilità. Dopodiché Briaschi mette Boniek di nuovo in condizione di andare in rete. Il simpatico Zibì non sbaglia e chiude la partita al 78’.
Inutili risultano i tentativi dei “Reds”. I giochi sono fatti. La gente si unisce in un festoso abbraccio collettivo, i sacrifici (30 ore di pullman per arrivare perfino da Giardini Naxos, in Sicilia) sono ampiamente ripagati. L’ostinata volontà di Boniperti, il lavoro di tanti spalatori volontari hanno avuto ragione sul tempo e sugli eventi.
II dopo partita è ricco di bollicine di spumante e di elogi. Soltanto gli inglesi sono ovviamente tristi e ammettono, con esemplare fair-play, che i bianconeri sono stati più bravi. L’avvocato Giovanni Agnelli, per solito poco tenero con Boniek, spende questa volta parole speciali: «È stato splendido!».
Trapattoni ammette che la sua Juventus «è ormai di levatura europea ed ha sfoggiato una grossa personalità».
Platini si esprime con cautela e precisa che «non abbiamo incontrato il solito Liverpool, ma è il successo che conta». Bodini è felice di aver partecipato a questa grossa gioia bianconera.
Boniperti, il presidente che subito dopo un trionfo pensa seduta stante a quello successivo, confessa con aria minacciosa: «E ora puntiamo alla Coppa dei Campioni. Incontrare il Liverpool ci ha consentito di capire quanto sia forte questa squadra. È stata un’esperienza impagabile, soprattutto nel caso in cui il destino dovesse mettercela di nuovo di fronte sulla strada che porta al massimo trofeo europeo per società».
E rappresenta una singolare profezia: infatti, un altro più prestigioso sogno si concretizzerà nel mese di maggio, anche se pagato con un prezzo altissimo di sangue italiano.
Ma quel freddo 16 gennaio del 1985 ha sprigionato un calore indescrivibile per sospingere la “Vecchia Signora” ad un successo importantissimo come la Supercoppa, mai ottenuto in precedenza da un club italiano.
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