Juan Eduardo Esnaider – scrive Stefano Salandin su “Hurrà Juventus” del febbraio 1999 – ha toccato il suolo di Torino (pardon, Caselle) alle 21 di giovedì 14 gennaio. Era diventato un giocatore della Juventus da poche ore: solo in mattinata, infatti, il suo club, l’Espanyol di Barcellona, e la Juve, avevano raggiunto l’accordo per il trasferimento e lui lo ha ratificato con solerzia ed entusiasmo. Già, niente a che vedere con i capricci di Sukur Hakan, il turco triste, perso nelle sue pretenziose richieste da star supponente, neanche fosse il Maradona dei tempi d’oro.
Juan Eduardo Esnaider, 26 anni a marzo, un fisico di tutto rispetto e una di quelle facce da macho tenebroso che vanno tanto di moda nelle pubblicità dei collant, non ha neppure pensato alle ville in collina o ai bagagli: è salito sull’aerotaxi che riportava a Torino i dirigenti bianconeri reduci dal fruttuoso blitz di mercato e si è messo a disposizione della società di Piazza Crimea. Niente moine o atteggiamenti da star, insomma, ma la consapevolezza di essere di fronte, a 25 anni, all’occasione della vita: «La mia vita professionale comincia adesso – ha spiegato, pieno di entusiasmo, il nuovo attaccante arrivato alla corte della Signora – perché giocare nella Juventus, la squadra più famosa del mondo, è un’occasione unica e non la voglio sprecare».
Sì, perché Esnaider ha un gran desiderio di rivincite dopo le delusioni spagnole: «Ero arrivato in Spagna con la convinzione che avrei bruciato le tappe e, visto come sono andate le cose, sono un po’ deluso. Per questo non vedo l’ora di dimostrare che le colpe di cene situazioni non erano mie».
A cominciare da quelle che lo hanno condotto a un duro scambio di opinioni con Miguel Angel Brindisi, tecnico dell’Espanyol: «Ma io – dice Eduardo senza avere addosso l’aria di chi intenda scusarsi per forza – non sono uno polemico e rissoso come cercano di dipingermi, anzi. Mi piacciono la tranquillità e la chiarezza, indispensabili per giocare il mio calcio».
E, tanto per non creare equivoci sullo spirito con cui è arrivato a Torino, aggiunge: «Mi metto a completa disposizione di Lippi e non voglio entrare assolutamente in competizione con i compagni. Ci mancherebbe altro che pretendessi il posto fisso: devo dimostrare quanto valgo e cercherò di farlo in ogni allenamento».
Intanto, da ragazzo sveglio qual è, Esnaider ha già capito quale sia lo spirito che guida la Juve dei trionfi. Conte e Ferrara lo hanno introdotto nei segreti del “laboratorio-Juve”: «Ho trovato un gruppo di campioni davvero incredibile. Nessun’altra squadra al mondo ne può mettere insieme così tanti in una volta sola. Li ho visti caricatissimi e mi hanno spiegato che qui conta solo vincere, che tutto è finalizzato a quell’obiettivo. Està bien, perché anche per me il massimo è conquistare trofei. E il primo a cui penso è la Champions League. Subito, per fare un regalo ai tifosi bianconeri».
I primi giorni torinesi di Esnaider sono stati densi di impegni (da quelli burocratici legati ai passaporti a quelli logistici per lui e la famiglia, fino alle attività di rappresentanza ufficiali) che, comunque, non gli hanno fatto perdere di vista l’obiettivo principale: il campo di allenamento. L’esordio a Venezia, infatti, è stato più che confortante. Ora Juan Eduardo Esnaider non vuol far altro che lavorare ed entrare sempre di più nei meccanismi bianconeri: «Il problema immediato da risolvere – ha detto – è quello della lingua perché dell’italiano capisco proprio poco. Ma mi aiuteranno Fonseca e Montero e, vedrete, imparerò in fretta».
Intanto è già entrato nel cuore di moltissime tifose bianconere (ma attente: è sposato con Fernanda da cui ha avuto 4 figli) e, c’è da giurarci, farà a gara con Inzaghi e Del Piero nella hit-parade delle preferenze femminili. Ma, e lui lo sa bene, saranno soprattutto i gol che gli permetteranno di fare breccia nel cuore dei tifosi.
Nonostante le premesse e le promesse, la sua esperienza bianconera sarà disastrosa: giocherà pochissimo, 26 presenze e appena 2 goal, uno in Coppa Italia e uno in Coppa Uefa, contro i ciprioti dell’Omonia Nicosia. Comincia una parabola discendente, quasi inarrestabile. Inevitabile la sua partenza e il ritorno a Saragozza, sempre alla ricerca di continuità mai trovata.
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