«Anziano gladiatore di razza giunto da Novara – scrive Renato Tavella – con nel bagagliaio la fama di gran colpitore di testa. Giunto alla corte di Karoly apprende alcuni segreti “per andare su di testa” con migliore profitto e sembra non darsi pace per non averci pensato prima».
Non era molto alto, ma nel gioco di testa risultava quasi imbattibile. Aveva una tecnica sobria ma redditizia; era una macchina sempre in moto e giocava in maniera estremamente corretta. Lo si distingueva immediatamente sul campo, per via di un grande fazzoletto bianco annodato dietro la nuca.
Nel biennio trascorso in bianconero, durante il quale conquista lo scudetto del 1926, mette insieme 44 partite e realizza un goal. Nell’estate del 1927, rientra al Novara.
“IL CALCIO ILLUSTRATO” DEL 3 MARZO 1942
Martedì scorso 24 febbraio, in un tragico incidente, – investito da un treno diretto mentre stava attraversando i binari della stazione di Novara di cui era capo-gestore, – decedeva l’ex-giocatore Mario Meneghetti, che era e rimane la figura più rappresentativa del calcio novarese.
La giovane generazione sportiva non l’ha conosciuto. Fazzoletto attorno alla fronte e chioma al vento, il Meneghetti aveva un giuoco tipicamente italiano, come si usava dire allora, di foga e di slancio inesauribili, ma eccelleva anche in tecnica e specialmente nel giuoco di testa, a quel tempo (sì parla di oltre vent’anni fa) non troppo praticato da noi. Di temperamento espansivo e vivace, trasportava queste sue qualità anche nelle partite, che disputava con una vitalità entusiasmante: per questo era uno di quei giocatori che sapevano accattivarsi la simpatia della folla.
Si mise nettamente in luce nel Novara, che lo aveva tra i suoi difensori fin dal 1912-13, e della cui squadra fu poi per diversi anni l’abile centro-mediano e l’esemplare condottiero, richiamando su di sé l’attenzione dei tecnici federali. Dopo essere stato prescelto nel 1919 per alcuni incontri fra squadre rappresentative, venne incluso d’autorità nella squadra nazionale, nella quale esordì il 13 maggio 1920, a Genova, nella partita con l’Olanda (1-1).
Disputò poi altri tre incontri in maglia azzurra alle Olimpiadi di Anversa di quell’anno: con l’Egitto (2-1) e con la Francia (1-3) rispettivamente negli ottavi e nei quarti di finale, e poi con la Spagna (0-2) nelle semifinali del Torneo di consolazione, E qui finiscono le prestazioni azzurre di Meneghetti, perché intanto andava imponendosi il giovane astro Burlando.
In seguito, per quanto non fosse più tanto giovane essendo ormai prossimo al traguardo della trentina, la Juventus lo prelevò dalle file novaresi, e anche nella nuova squadra – con la quale vinse il campionato italiano della stagione 1925-26, in cui però il centromediano titolare era Viola, ed egli giocò anche da laterale – Meneghetti profuse i tesori della sua energia, lasciando di sé un grato ricordo quando la legge del tempo lo costrinse a cambiar sede.
Ma non si estraniò completamente dallo sport attivo, poiché ritornò al « suo » Novara in veste di giocatore-allenatore, per poi continuare esclusivamente nella carriera di allenatore nel Seregno, nella Pro Patria e, nell’ultimo biennio, nel Dop. Falck, ovunque facendosi apprezzare per la sua opera e per i suoi consigli.
Ufficiale di fanteria nella grande guerra 1915-18, il Meneghetti ebbe la sventura di cadere prigioniero degli austriaci il 14 gennaio 1916 a Oslavia. Ma la sua tempra irrequieta e avventurosa non poteva sopportare la vita del « vigilato », ed eccolo escogitare un piano di fuga dal campo dì concentramento di Mathausen, piano pienamente riuscito dopo non pochi tentativi e non poche peripezie, e che il Meneghetti ebbe a rievocare sulle colonne del nostro giornale.
Ci voleva proprio un crudele colpo del destino per spezzarne la fibra di indomito lottatore! Aveva 49 anni, essendo nato a Novara il 4 febbraio 1893.
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