Volpi arriva dal Mantova – scrive Gianni Giacone su “Hurrà Juventus” del gennaio 1973 – all’indomani del tredicesimo scudetto conquistato proprio con l’indiretto concorso del Mantova, che ha piegato i nerazzurri di Herrera all’ultimissima giornata, non c’è juventino autentico che non ricordi quel primo giugno sessantasette. Sono scampoli di gloria che la pattuglia heribertiana ha ampiamente meritato con lo strenuo impegno e una eccezionale volontà di emergere e lottare; ma sapranno i bianconeri confermare quei sorprendenti risultati nell’anno che li vede contemporaneamente impegnati in Coppa dei Campioni?In estate Heriberto ha chiesto rinforzi, ma in giro chi ha i fuoriclasse se li tiene ben stretti, e perciò arrivano soltanto due pedine di ricambio, Simoni e appunto Volpi, che è centrocampista assai versatile e perciò utilizzabile come «jolly».
Si presenta a Torino con la zazzera impertinente e il volto spensierato di sempre. Dice cose sincere, piene di buon senso: «Se a inizio stagione mi avessero fatto balenare la possibilità di un passaggio alla Juventus, l’avrei presa per uno scherzo. Io mi sentivo già un arrivato nei miei limiti. Contavo di chiudere a Mantova o al massimo alla Sampdoria». Non ha timori: «Un professionista deve essere pronto ad affrontare qualsiasi sacrificio, a me la vita dura non fa paura».
Gigi Simoni garantisce per lui: «La prima volta che giocai con lui in campionato risale al 29 settembre 1963 a San Siro contro l’Inter. In quell’occasione formavamo la coppia di ali del Mantova: Volpi a sinistra, io a destra. Volpi, che in quel periodo figurava prevalentemente come punta o ala tornante, si è poi trasformato definitivamente in un ottimo centrocampista. È un atleta dotato di un’eccezionale vitalità ed è senz’altro adattissimo per la Juventus».
Le presenze di Volpi in quel campionato tutto sommato positivo, anche se pregiudicato da più di una incertezza nella fase centrale, non sono troppo numerose, ma significative: l’ex-mantovano, pur senza avere le capacità per pilotare il gioco della squadra, ha classe sufficiente per ben figurare accanto a colleghi del calibro di Del Sol e Leoncini. Semmai gli fa difetto la grinta, ed è per questo che Heriberto, l’instancabile teorizzatore del «Taça la bala», non lo impiega che saltuariamente.
L’esordio (al Comunale, contro la Roma) è stato positivo, anche se ha coinciso con una sconfitta: Volpi, impiegato su Capello, ha lavorato con discernimento, e non si è mai lasciato sovrastare. Ma neppure ha fatto molto per contrastarlo sul piano dinamico. Le stesse pecche contraddistinguono altre sue prestazioni, contro il Cagliari e contro il Bologna per esempio. L’ultima partita, in primavera, lo vede più autoritario: contro il Vicenza è tra i migliori, la vittoria è anche merito suo.
Ma il suo modo di giocare non convince troppo: alla fine del torneo nessuno sa con precisione attribuirgli una veste tattica precisa, vabbè che era immaginabile che un «jolly» non potesse a un tratto diventare un mediano di spinta o un regista consumato, ma così com’è non serve molto alla Juve.
Molto di più servirebbe l’anno dopo, quando, con l’introduzione del «tredicesimo» in panchina, uno che sappia ricoprire molti ruoli sarebbe manna. Ma in bianconero Volpi non avrà modo di rifarsi. Nella «rivoluzione» che contraddistingue l’estate ‘68 della Juve, con grandi nomi in arrivo e tante partenze, anche Volpi è dirottato altrove.
Di lui juventino rimane il suo modo di correre, elegante quanto atipico, e una finezza di tempi lontani…
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