SIMONE NEGRI, MONDOPRIMA-VERA.IT MARZO 2015
Febbraio del 2009: in Toscana sale la febbre per il consueto appuntamento con il Torneo di Viareggio che, come avviene ogni anno, attira l’interesse di tantissimi appassionati di calcio giovanile e non solo. Ai nastri di partenza della manifestazione c’è anche la Juventus, data tra le favorite per la vittoria finale: i bianconeri dispongono di giovani di assoluto livello, tra i quali ricordiamo Ariaudo, Marrone, Fausto Rossi, Pinsoglio e Immobile. Gli occhi degli addetti ai lavori sono per quest’ultimo, indicato (non a torto, vista la sua carriera negli anni a venire) come uno degli astri nascenti del calcio italiano. Ma il vero e proprio trascinatore della Juventus non è nessuno di questi, bensì un tale chiamato Ayub Daud. Primo calciatore di origine somala a militare in maglia bianconera, Daud arriva in Italia all’età di cinque anni e si stabilisce a Cuneo, dove vive con i genitori e inizia a dare i primi calci al pallone.
La sua bravura lo porta a vestire la maglia della Juventus a nove anni, per un sogno che ha inizio e prosegue negli anni successivi, quando completa la trafila nel settore giovanile bianconero fino ad arrivare all’appuntamento con il Torneo di Viareggio. È qui che Ayub esplode e mette in mostra tutte le proprie qualità: all’esordio realizza una doppietta che stende il Maccabi Haifa, per poi ripetersi due giorni più tardi mettendo a segno il goal che consente ai bianconeri di superare il Parma. Giunti agli ottavi di finale si inizia a fare sul serio, e dopo soli quattro minuti Daud porta avanti la Juventus sulla Lazio in un match che verrà poi vinto ai calci di rigore. Ai quarti arriva il Siena, che si porta in vantaggio a sorpresa ma viene raggiunto e sorpassato ancora grazie a Daud, autore di una doppietta. La Juventus è lanciatissima ma in semifinale arriva il derby con il Torino. Immobile mette a segno due reti, poi tocca all’attaccante somalo firmare il tris che spegne le velleità granata e spedisce i bianconeri dritti in finale. È una finale senza storia: la Juventus si impone per 4-1 sulla Sampdoria e una delle reti viene siglata, manco a dirlo, da Daud, il quale conclude il torneo laureandosi capocannoniere della competizione con otto reti. Tutti si accorgono di lui e il suo nome inizia a circolare sul web, sui giornali e sui campi di tutta Italia. Poche settimane più tardi arriva anche la soddisfazione dell’esordio in Serie A, quando Claudio Ranieri lo spedisce in campo, seppur per pochi secondi, nel corso della sfida con il Bologna.
Anche all’estero si accorgono di Ayub: l’Arsenal lo segue spesso da vicino, ma anche Manchester United, Bayern Monaco, Barcellona e Real Madrid lo monitorano attraverso i propri radar di mercato. Sembra il preludio per una carriera da campioncino, ma non andrà esattamente così. La Juventus decide di farlo crescere altrove, cedendolo in prestito al Crotone, in Serie B, dove il giovane somalo può maturare in un ambiente ideale. In Calabria colleziona undici apparizioni senza mai stupire, tanto che a gennaio rientra alla base per poi ripartire, direzione Lumezzane, dove però va ancora peggio e scende in campo soltanto quattro volte. Una stagione sfortunata può capitare, e ad Ayub viene concessa un’altra occasione: ancora un prestito, stavolta al Cosenza, con quattordici presenze e quattro goal realizzati da settembre a gennaio. In inverno parte di nuovo e si accasa al Gubbio, dove finalmente riesce a esprimere le proprie qualità e realizza ben sette reti in undici partite, contribuendo in maniera pesante alla storica promozione in Serie B della formazione umbra. Troppo poco per la Juventus, che sceglie di non rinnovargli il contratto e lo lascia svincolare. Da potenziale campione a meteora il confine può essere davvero troppo sottile. Per informazioni, chiedere ad Ayub Daud.
MAURIZIO TERNAVASIO, “HURRÀ JUVENTUS” GENNAIO 2009
Il fantasista somalo Ayub Daud, è un peperino in campo e fuori che ha un’incredibile vitalità in corpo e sempre voglia di scherzare: anche se lui dice di essersi calmato, invecchiando. «Credo di essere migliorato nel modo di interpretare la partita sia dal punto di vista mentale, sia da quello tattico. Ma anche, almeno in parte, fisicamente. Ma non sono il solo: tutta la squadra ha acquisito maggior consapevolezza della propria forza e dei mezzi che dispone».
L’inizio è il solito: dicci qualcosa sulla tua storia familiare, scolastica e calcistica. «Nato a Mogadiscio, in Somalia, nel 1990, a cinque anni sono arrivato in Italia con la mia famiglia, destinazione Cuneo. E il Cuneo è stata la mia prima squadra, due anni nella categoria Pulcini, prima di approdare, nove stagioni fa, alla Juve dopo un provino. La scuola? L’ho mollata in seconda superiore: però un giorno o l’altro cercherò di prendere quel maledetto pezzo di carta, cioè il diploma».
Che tipo di giocatore sei? «Non mi piace essere io a descrivermi, preferirei lo facessero altri. Se proprio devo, mi limiterei a dire di essere veloce, abbastanza bravo nel dribbling e dotato di un buon tiro».
Che cosa c’è, per te, oltre il calcio? «Poco, a dire il vero: qualche giretto in centro con i compagni, specie con quelli che vivono con me in pensionato, seguito dalla rituale pizza in allegria: un modo importante per fare gruppo anche fuori dal campo».
Quale è il compagno di squadra con cui leghi maggiormente? «È come se fossi diventato uno “scugnizzo”, nel senso che sono stato adottato dal clan dei napoletani: con Vecchione, De Paola, Immobile e D’Elia facciamo il bello e il cattivo tempo».
Chi vincerà secondo te lo scudetto di Serie A? E chi quello Primavera? «Porta male fare previsioni, la scaramanzia imporrebbe di non sbilanciarsi troppo. L’augurio però è naturalmente quello di un bis per i nostri colori: credo che sia la prima squadra sia la Primavera ne abbiano le possibilità. Per quanto ci riguarda, puntiamo forte al titolo: ma i conti si faranno soltanto a giugno».
Sei tifoso di qualche squadra in particolare? E se sì, acquisito, o da sempre? «A essere sincero no, almeno per quanto riguarda il calcio italiano. Diciamo che guardo le partite e simpatizzo per il bel calcio in genere. Però seguo con grande passione il Barcellona solo perché ci gioca il mio idolo, Thierry Henry. E prima, per la medesima ragione, mi piaceva l’Arsenal».
Cosa c’è, per te, dietro l’angolo calcistico? «Dipende da quello che uno fa in campo, nessuno ti regala niente, il futuro te lo costruisci tu. Mi auguro di far bene quest’anno, per poi andare in prestito in qualche piazza importante: salvo miracoli, ben difficilmente potrò passare direttamente in prima squadra».
A quale campione vorresti assomigliare? Chi pensi invece di ricordare, almeno in parte? «Di Henry l’ho già detto, lo si è capito, ma stravedo anche per Lionel Messi. E non mi sono mai chiesto, ne ho mai pensato, se assomiglio a qualche giocatore in particolare».
La grande amarezza, la gioia più inaspettata. «Riguardano entrambe la stagione disputata con gli Allievi Nazionali di Massimo Storgato. La tristezza di essere usciti negli ottavi contro il Chievo, dopo aver perso una sola partita in otto mesi, quando potevamo tranquillamente vincere il campionato visto che eravamo i più forti. La felicità di aver conquistato, dopo undici anni di tentativi andati a vuoto, il Torneo di Arco di Trento».
Per chiudere in bellezza: quale è la donna più affascinante del mondo, quella per la quale potresti fare follie? «Un nome solo, quello di Carmen Electra. È fantastica, è la classica donna dei sogni, perfetta sotto tutti i punti di vista e in ogni particolare. E non aggiungo altro».
1 commento:
gli ho parlato stasera, a Cuneo è normale vederlo nei bar
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